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Vittorio Gassman, gli aforismi più belli a 101 anni dalla sua nascita

In occasione dell'anniversario della nascita di Vittorio Gassman, ecco le sue frasi più belle

101 anni fa nasceva Vittorio Gassman. Attore, sceneggiatore, regista, scrittore, doppiatore, conduttore televisivo… Un artista a tutto tondo, che ci ha lasciato opere di rara bellezza, tanto in ambito cinematografico, quanto in ambito teatrale.

Basti pensare a capolavori del calibro di “Riso amaro”, in cui l’attore interpretava l’antagonista pregiudicato, o “Profumo di donna”, che ha ottenuto 2 candidature agli Oscar ed è stato premiato al Festival di Cannes, ai Nastri d’Argento e ai David di Donatello.

Nato a Genova il 1° settembre del 1922, Vittorio Gassman è stato il comico per eccellenza – soprannominato “il Mattatore” per via dell’omonimo spettacolo televisivo che lo ha reso iconico fra gli italiani -, ma si è anche speso moltissimo per il teatro.

Fu lui, infatti, a fondare e a dirigere il “Teatro d’arte italiano”, impegnandosi a diffondere l’idea di un teatro culturalmente impegnato, sia coi i classici che con testi teatrali di autori nazionali, attraverso pièces che si basassero sull’integrità dei testi teatrali stessi.

In occasione del centenario dalla nascita di questo grande artista, condividiamo con voi i suoi aforismi più belli.

Vittorio Gassman, gli aforismi più belli

Vede, l’attore è come una scatola vuota e più vuota è meglio è; interpreta un personaggio e la scatola si riempie, poi il lavoro finisce e la scatola si svuota. Mi hanno raccontato che una volta Gary Cooper ancora ragazzo guardava fisso davanti a sé in silenzio. La mamma gli domandò: che pensi? Rispose: non penso assolutamente a nulla. E la mamma: allora sarai un buon attore. Vede, l’attore non dev’essere particolarmente colto e nemmeno particolarmente intelligente; dev’essere – forse – anche un po’ idiota. Sì, sì, se fosse anzi completamente idiota sarebbe un grandissimo attore.

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Un attore perfettamente sano è un paradosso.
 
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Un attore vero non si vaccina contro il bacillo istrionico; lo coltiva invece e ne sfrutta l’irrazionale virulenza fino a farlo esplodere nella pestilenza metaforica di cui parla Artaud.
 
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È incongruo che si muoia. Che non ci venga data un’altra vita per farla meglio.
 
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La morte è l’angostura, la goccia di amaro, il catalizzatore di tutto il resto. Poche chiacchiere: una gran fregatura. Un errore di calcolo del Padre Eterno.
 
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Come è brutta, Roma. Brutta di questa sua accecante bellezza, su cui risaltano i segni dello sfacelo come una voglia di barbabietola su un volto purissimo.
 
photocredits: Elena Torre
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