The Life of Chuck, il film basato sul racconto omonimo di Stephen King

20 Settembre 2025

Basato su Stephen King, The Life of Chuck è un film che esplora la vita, la morte e il valore dei ricordi. Una storia che commuove e fa riflettere.

The Life of Chuck, il film basato sul racconto omonimo di Stephen King

Quando pensi a un film tratto da Stephen King, forse ti vengono in mente orrori, inquietudini soprannaturali, creature oscure. “The Life of Chuck“, diretto da Mike Flanagan, puoi trovarlo ora al cinema, sposta il focus verso qualcosa di più intimo: amore, perdita, memoria, l’eco del vivere, anche quando il mondo pare finire. È una storia che scorre al contrario, come un fiume che risale verso la sorgente.

“The Life of Chuck “: il viaggio al contrario che ricorda cosa significa vivere davvero

“The Life of Chuck” è un film dolce-amaro, che riflette su cosa siamo stati e su cosa saremo, e lo fa con una delicatezza che pochi adattamenti di King tentano.

Mike Flanagan abbandona (in parte) il terrore esplicito per abbracciare il mistero dell’esistenza ordinaria. Il risultato è una storia che resta appiccicata addosso.

Se il cinema serve anche a ricordarci che ogni vita è fatta di “piccole cose”, che ogni gesto conta, allora “The Life of Chuck” è una delle esperienze cinematografiche più profonde del 2025.

Trama a ritroso: morte, vita e tutto ciò che sta in mezzo

Il film segue Charles “Chuck” Krantz, narrato in tre atti che viaggiano al contrario nel tempo. Si parte da un futuro apocalittico, da una morte che coincide con la fine dell’universo, per tornare indietro fino all’infanzia di Chuck.

Dalla sua stanza d’ospedale, la malattia del cervello, alla vita quotidiana fatta di sogni, prime volte, crisi, danze, rapporti familiari, con la nonna, il nonno, la scuola.

Ogni capitolo è un frammento che ricostruisce la persona che Chuck è diventato: il ragazzo attratto dal ballo, il bambino che grida sull’asfalto, il giovane che impara il valore della memoria.

Flanagan prende la novella del 2020 di King, meno di 100 pagine,  e la trasforma: non tanto espandendola in modo tradizionale, ma dilatandola in tono, atmosfera, sentimento.

Cast e protagonisti: volti che restano

Tom Hiddleston è Chuck da adulto, ma è nel suo contrasto con le versioni più giovani che il film trova la sua forza emotiva.

Jacob Tremblay, Benjamin Pajak (Chuck da adolescente e da bambino), Mia Sara (la nonna Sarah), Mark Hamill (il nonno Albie) sono gli interpreti che danno forma a questa vita sfumata, fatta di memoria e attesa.

E la voce narrante di Nick Offerman aggiunge quella distanza malinconica che serve per capire: il tempo, alla fine, è anche ciò che perdiamo.

Temi che risuonano: memoria, morte, urgenza del presente Memoria

Chuck impara fin da bambino che la vita è fatta di ricordi, di ferite che non si chiudono, di case (come la cupola proibita) che contengono fantasmi propri, quelli della perdita o della promessa.

Flanagan mette in scena come la memoria non sia un optional, ma il tessuto di ciò che siamo.

Vita e morte: non è un film horror, ma l’ombra della morte è costante: il padre, la madre, il futuro che si sgretola, la malattia. Si torna al passato sapendo che c’è un epilogo inevitabile, ma questo crea non rassegnazione, bensì valore: ogni gesto, ogni danza, ogni amore diventa fragile e prezioso.

Desiderio di vivere davvero: un conto è sopravvivere, un altro è ballare quando il dolore è vicino, scegliere la felicità anche quando il destino sembra scritto. Il film tiene alto questo desiderio, quasi ostinatamente, e lo fa con semplicità: un raggio di danza, una risata, un ricordo che torna vivo.

Aspetti formali: ritmo, struttura, magia nera ed emozione

Struttura inversa: partire dalla fine per ricostruire l’inizio non è solo un trucco narrativo. Serve a mostrarci il peso del passato sul presente, quanto siamo costruiti da ciò che abbiamo vissuto.

Tono magico-fantascientifico: nonostante la trama intimista, ci sono crepe del reale: l’universo che collassa, le visioni, l’internet che muore, gli oggetti che sembrano avere un patto con il passato. Il film non spaventa come un horror classico, ma inquieta: la fine è vista non come incidente, ma come destino che ci riguarda.

Musica e corpo: note emergono nelle sequenze di danza, nella musica che collega Chuck al mondo. Non è solo colonna sonora: è parte della narrazione, ciò che salva, che rende visibile l’invisibile.

Punti deboli e critiche: sentimenti e rischio di melassa

Non tutto è perfetto. Alcuni critici segnalano che il film, pur avendo momenti vibranti, a volte cade in sentimentalismi troppo espliciti, o in scene che sembrano costruite solo per commuovere piuttosto che per stupire.

Alcune transizioni tra passato e futuro possono confondere; alcuni desiderano che la narrazione fosse più asciutta, meno espansa. Ma questi limiti fanno parte del rischio che Flanagan accetta: rendere il racconto umano, con tutte le sue imperfezioni.

Perché vederlo

Se ti piace un cinema che emoziona, che non nasconde le lacrime, ma che sa che le lacrime sono dignità, questo film è per te.

Se ami le storie che non danno risposte pronte, ma che interrogano,sul passato, sull’identità, sull’amore, “The Life of Chuck” può essere una sorpresa.

E anche se non sei fan di King, o non ami il fantastico, qui non serve né mostro né sangue. Serve solo vita, nella sua forma pura: ricordo, dolore, celebrazione. Un promemoria che ogni momento conta.

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