“Natale senza babbo”, una commedia con Alessandro Gassmann

18 Dicembre 2025

Su Amazon Prime Video sbarca Babbo Natale in burnout. Una commedia tra ironia e malinconia con Alessandro Gassmann: "Natale senza babbo".

“Natale senza babbo”, una commedia con Alessandro Gassmann

Quest’anno c’è un problema: Babbo Natale, l’uomo invincibile delle feste, quello sempre sorridente e inesauribile, è in burnout. A intervenire per fermare la crisi non è un elfo, ma la moglie, costretta a entrare in campo per gestire la frattura di chi, fino a un attimo prima, sembrava aver tutto sotto controllo.

Questa è l’idea di base di “Natale senza babbo”, un’idea furba perché non chiede allo spettatore di credere alla favola, ma di riconoscere un dettaglio umano dentro la favola: il burnout, la pressione del “dover essere” che diventa insostenibile e che Babbo Natale non riesce più a sostenere.

Qui il titolo trova il suo doppio senso. “Natale senza babbo” non riguarda solo l’assenza del personaggio più iconico delle feste, ma l’assenza come stato emotivo: esserci fisicamente e non esserci davvero, spegnersi mentre gli altri continuano a chiedere, aspettare, pretendere addirittura. Il tutto, ovviamente, in una cornice natalizia, che di solito è il regno delle soluzioni rapide.

Tra commedia e crisi esistenziale

La trama, per come viene presentata, segue una logica semplice e precisa. Il protagonista precipita in un malessere che non riesce più a mascherare e la crisi diventa un detonatore domestico. La moglie, interpretata da Luisa Ranieri, entra nel racconto come forza di contenimento e di decisione, non come semplice “spalla”: deve proteggere i figli, tenere insieme la casa, affrontare la realtà senza gli alibi della festa.

Questo passaggio è decisivo, perché evita che la storia si riduca a una gag allungata: il punto non è “che ridere, Babbo Natale è stanco”, ma “che cosa succede a un nucleo familiare quando il perno cede”.

Da qui si apre lo spazio per un Natale più terreno: una favola contemporanea che mette in scena difficoltà quotidiane e paure riconoscibili, senza rinunciare del tutto al lessico del “mito” (Babbo Natale, la Befana, Santa Lucia). In questo senso la commedia lavora su un equilibrio: prendere la tradizione e farla scendere di quota, portarla dentro un appartamento, tra figli, gestione del tempo, aspettative e quel tipo di stanchezza che spesso non si ammette finché non esplode.

Cast e personaggi, la famiglia come campo di battaglia

Il cast è costruito per reggere i toni misti. Alessandro Gassmann è un interprete che può passare dall’ironia alla frattura emotiva senza cambiare maschera ogni due minuti; Luisa Ranieri, quando le viene affidata una parte “di tenuta”, riesce a dare corpo a un’autorità che non è rigidità, ma necessità. Attorno a loro, la presenza di Caterina Murino e Valentina Romani suggerisce un gioco di figure femminili con pesi diversi, mentre Diego Abatantuono porta spesso con sé quel tipo di ruvidità capace di trasformare una battuta in un giudizio morale, o il contrario, a seconda di come viene scritto e diretto.

L’idea, dichiarata anche a livello di “mitologia natalizia” interna al film, è che il protagonista non sia solo: nella storia compaiono personaggi come la Befana e Santa Lucia, chiamate a “dirottare” la traiettoria delle feste.

Dietro la macchina da presa, Stefano Cipani e la scrittura di Michela Andreozzi

Sul versante autoriale, “Natale senza babbo” mette insieme la regia di Stefano Cipani e la sceneggiatura di Michela Andreozzi, con una produzione Amazon MGM Studios e Gaumont Italia e distribuzione Prime Video.

Questo dato produttivo dice molto del tipo di film: un titolo che nasce già pensando a un pubblico ampio, da piattaforma, e che quindi deve essere emotivo quanto basta, capace di agganciare sia chi cerca una commedia natalizia sia chi, in quel periodo dell’anno, è più disposto ad ascoltare storie di famiglie che si sfilacciano e provano a ricucirsi.

La scrittura di Andreozzi, almeno per come viene presentata nei materiali, sembra voler evitare la morale facile. Il rischio del genere è sempre quello: trasformare una crisi in una lezione edificante. Qui invece la crisi viene trattata come una cosa “presente”, non come un ostacolo da spazzare via con due frasi ispirazionali. Ed è un punto a favore, perché il burnout è uno di quei temi che o lo banalizzi o lo rispetti: non ha molto spazio per le scorciatoie narrative.

Un film natalizio che parla anche di lavoro, ansia e colpa

“Natale senza babbo” sembra intercettare un’ansia contemporanea: l’idea di dover funzionare sempre. Il Natale diventa il palco perfetto per questa pressione, perché è la festa delle prove generali: si cucina, si organizza, si compra, si viaggia, si sorride, si perdona, si “sta bene”. E se non ci riesci, la colpa è immediata, quasi infantile: come se avessi rovinato qualcosa di sacro.

Il film prova a ribaltare questa retorica. La festa non è un dovere morale, è un momento che dovrebbe contenere anche le fragilità. Un Babbo Natale che crolla, in questo senso, è un’immagine paradossale ma chiara: perfino chi, per definizione, deve “dare” può svuotarsi. E il punto non è trovare un sostituto, ma guardare in faccia ciò che quel crollo rivela nella vita di tutti i giorni.

Dove si colloca “Natale senza babbo” nella stagione dei film di Natale

Negli ultimi anni il cinema (e soprattutto le piattaforme) hanno moltiplicato i titoli natalizi che si divertono a sporcare la cartolina: Babbi Natale disillusi, famiglie che si detestano, feste che saltano, traumi che risalgono proprio quando “non dovrebbero”.

“Natale senza babbo” sembra inserirsi in questa scia, ma con un taglio italiano riconoscibile: meno cinismo, più commedia di caratteri, e un’attenzione particolare alla dinamica di coppia, al lavoro emotivo delle donne, alla fatica domestica che spesso resta invisibile.

Il fatto che la storia metta al centro la moglie che “interviene” non è secondario: sposta la prospettiva su chi, nelle crisi, non ha il lusso di crollare perché c’è già qualcuno da tenere in piedi. Se il film riesce a far passare questa tensione senza trasformarla in retorica, allora avrà davvero qualcosa da aggiungere al genere.

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