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“La città vecchia”, la canzone di De André citata da Papa Francesco

Papa Francesco ha voluto citare dei passi della canzone “La città vecchia” di Fabrizio De André per la prefazione di un libro argentino

Fabrizio De André ha spesso nelle sue canzoni affrontato storie di emarginazione, che ha raccontato la vita dei bassifondi, le difficoltà e i dolori della povera gente. Una caratteristica che non è sfuggita a Papa Francesco, che ha voluto citare dei passi della canzone “La città vecchia” per la prefazione di un libro argentino. Si tratta dell’opera del giornalista italo-argentino Alver Metalli, Cuarentena – Diario dalla ‘peste’ in una bidonville argentina, in uscita esce per le edizioni San Paolo.

Quartieri dove “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”

Papa Bergoglio presenta il libro come ”un diario che racconta giorno dopo giorno la ‘Cuarentena’ vissuta dal giornalista tra le catapecchie de ‘La Carcova’, in una delle villas miseria, le baraccopoli di Buenos Aires dove opera un gruppo di sacerdoti a cui voglio tanto bene.” Una situazione che al Papa ricorda “i versi di un cantautore italiano, Fabrizio de André, che raccontano di quartieri malfamati dove ‘il sole del buon Dio non dà i suoi raggi’ perché troppo impegnato a ‘scaldar la gente di altri paraggi’.”

La città vecchia di Fabrizio De André

Nei quartieri dove il sole del buon Dio
Non da i suoi raggi
Ha già troppi impegni per scaldar la gente
D’altri paraggi
Una bimba canta la canzone antica
Della donnaccia
Quel che ancor non sai tu lo imparerai
Solo qui fra le mie braccia

E se alla sua età le difetterà la campetenza
Presto affinerà le capacità con l’esperienza
Dove sono andati i tempi d’una volta, per Giunone
Quando ci voleva per fare il mestiere
Anche un po’ di vocazione?
Una gamba qua una gamba là

Gonfi di vino
Quattro pensionati mezzo avvelenati
Al tavolino
Li troverai là col tempo che fa
Estate inverno
A stratracannare a strameledir
Le donne il tempo ed il governo

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L’elogio della solitudine di Fabrizio De André ai tempi del Coronavirus

Era il 1998 quando Fabrizio De André tenne, prima di un concerto, uno straordinario discorso sulla solitudine. Le sue parole si confermano, oggi più che mai, come una grande verità

Loro cercan là la felicità
Dentro a un bicchiere
Per dimenticare d’esser stati presi
Per il sedere

Ci sarà allegria anche in agonia
Col vino forte
Porteran sul viso l’ombra di un sorriso
Fra le braccia della morte
Vecchio professore cosa vai cercando
In quel portone

Forse quella che sola ti può dare
Una lezione
Quella che di giorno chiami con disprezzo
Pubblica moglie
Quella che di notte stabilisce il prezzo
Alle tue voglie

Tu la cercherai tu la invocherai
Più d’una notte
Ti alzerai disfatto rimandando tutto
Al ventisette
Quando incasserai delapiderai
Mezza pensione
Diecimila lire per sentirti dire
“Micio bello e bamboccione”

Se ti inoltrerai lungo le calate
Dei vecchi moli
In quell’aria spessa carica di sale
Gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri gli assassini
E il tipo strano

Quello che ha venduto per tremila lire
Sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai
Da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni
Più le spese

Ma se capirai se li cercherai
Fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli
Vittime di questo mondo

 

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