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“La bianchezza della balena” di Vinicio Capossela, inno a Moby Dick e alla fragilità dell’uomo

Con questo suggestivo brano, Vinicio Capossela concepisce una poesia in musica ispirata al capitano Achab e alla sua ossessione per Moby Dick, la balena bianca che nasconde uno sconfinato universo simbolico.

Il 1° agosto 1819 nasceva a New York Herman Melville, autore di uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale, “Moby Dick”, che ha ispirato autori e artisti di tutti i tempi.

Vinicio Capossela, per esempio, nel suo album “Marinai, profeti e balene”, ha dedicato un brano all’ossessione del Capitano Achab per la balena bianca. “La bianchezza della balena” non è una semplice canzone, ma una poesia musicata che ci trasporta nel mondo di Moby Dick, alla scoperta delle nostre paure più profonde e della nostra fragilità, che ci rende speciali.

Il bianco, colore di purezza e di fragilità

Con “Marinai, profeti e balene”, Vinicio Capossela ha dato vita a un album magico, dalle atmosfere surreali, che attraverso l’incanto e il mistero del mare racconta sogni, paure e fragilità degli esseri umani. “La bianchezza della balena” prende spunto dal 42esimo capitolo di “Moby Dick”, di cui condividiamo un breve estratto:

“È forse perché con la sua indefinitezza, adombra i vuoti e le immensità disumane dell’universo e, in tal modo, ci colpisce alle spalle con il pensiero dell’annullamento, quando contempliamo le bianche profondità della Via Lattea? O è forse perché, nella sua essenza, il bianco non è tanto un colore quanto l’assenza visibile del colore e, al tempo stesso, la fusione di tutti i colori; è forse per questi motivi che c’è una così muta vacuità, piena di significato, in un vasto paesaggio nevoso –  un incolore onnicolore d’ateismo dal quale rifuggiamo?”

Anche Vinicio Capossela, nel suo brano, si concentra sulla valenza del colore bianco. Di solito lo associamo a tutto ciò che è delicato, puro, sincero: “i veli di sposa, l’innocenza”, “la lana”… Ma il capitano Achab guarda oltre. La bianchezza della balena è “terribile”. Spaventa come farebbe uno spettro, perché sa di assenza, di vuoto abissale, di caducità e incertezza. Nel ricordare tutto questo, ci ricorda, a sua volta, quanto siamo fragili e soli. E ci terrorizza.

“La bianchezza della balena” di Vinicio Capossela

“Sebbene sia bianco il signore degli elefanti bianchi
Che i barbari Pegu pongono sopra a ogni cosa
E bianche le pietre che i pagani antichi donavano
in segno di gioia, per un giorno felice
Bianche cose nobili e commoventi,
Come i veli di sposa
L’innocenza, la purezza, la benignità dell’età

Sebbene abiti bianchi vengano dati ai redenti
Davanti a un trono bianco,
Dove il santissimo siede, bianco come la lana
Sebbene sia associato a quanto di più dolce,
Onorevole e sublime

La bianchezza della balena
Niente è più terribile di questo colore,
Una volta separato dal bene,
Una volta accompagnato al terrore
La bianchezza dello squalo bianco,
L’orrida fissità del suo sguardo
che demolisce il coraggio
La fioccosa bianchezza dell’albatro,
nelle sue nubi di spirito

La bianchezza dell’albino bianco
E cosa atterrisce dell’aspetto dei morti
se non il pallore
Bianco sudario colore?
Spettri e fantasmi immersi in nebbie di latte

Il re del terrore avanza nell’apocalisse
Su un cavallo pallido
E pallidi i cappucci della pentecoste
E il mare nel suo richiamo abbissale
Nell’antartico, bianco sconfinato cimitero,
il bianco sogghigna nei suoi monumenti di ghiaccio
Il pensiero del nulla si spalanca nella profondità lattea del cielo

Bianco l’inverno bianco, la neve bianca,
bianca la notte
Bianca l’insonnia bianca, la morte bianca
e bianca la paura è bianca
L’universo vacuo e senza colore
Ci sta davanti come un lebbroso

Anche questo è la bianchezza della balena
La bianchezza della balena
Capite ora la caccia feroce? Il male abominevole,
l’assenza di colore”.

 

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