Dopo l’incursione pop-sensuale di “Challengers”, Luca Guadagnino cambia registro e firma un dramma accademico a combustione lenta. “After The Hunt” ha debuttato fuori concorso alla 82ª Mostra di Venezia (29 agosto) con standing ovation di 6 minuti, ed è passato poi al New York Film Festival, dove il regista ha legato il film ai nodi del presente senza ridurlo a una semplice “storia da hashtag”.
In Italia lo vedremo al cinema dal 16 ottobre con Eagle Pictures, che ha diffuso anche trailer e materiali in italiano. Negli USA l’uscita limitata è fissata al 10 ottobre con espansione la settimana successiva — distribuzione Amazon MGM / Sony International.
Di cosa parla?
Siamo nell’ecosistema iper-competitivo dell’alta accademia di Yale. Alma Imhoff (Julia Roberts), professoressa brillante e rispettata, viene travolta dall’accusa di violenza che una sua dottoranda, Maggie Resnick (Ayo Edebiri), muove al collega e amico Hank Gibson (Andrew Garfield).
L’indagine ufficiale si intreccia con la “indagine morale” della protagonista: la gestione dell’allieva, la lealtà verso il collega, la pressione dell’ateneo, i media e — soprattutto — un passato irrisolto che riaffiora. Il film preferisce la tensione psicologica alla tesi a effetto: meno pamphlet, più tragedia dei rapporti umani.
Cast e squadra creativa
La triade Roberts–Garfield–Edebiri regge il cuore drammatico; intorno, Michael Stuhlbarg (marito psichiatra di Alma) e Chloë Sevigny (referente studenti), volti perfetti per l’ambiguità morale che il film mette in scena. La sceneggiatura è di Nora Garrett; fotografia su pellicola 35mm firmata da Malik Hassan Sayeed; musica di Trent Reznor & Atticus Ross — una scelta che sposta la colonna sonora dalla seduzione melodica all’ansia interiore. Producono Imagine Entertainment, Frenesy, Big Indie; in USA/Canada distribuisce Amazon MGM Studios, all’estero Sony Pictures Releasing International.
Il tipo di film scelto da Guadagnino
Guadagnino fa due mosse nette. Primo: evita sia la commedia satirica sia il legal drama procedurale. After The Hunt posa la macchina sulle zone grigie: i gesti, i silenzi, le omissioni, la politica degli uffici, gli sguardi nei corridoi. Secondo: non cerca il verdetto, ma lo scarto tra verità e percezione.
Più “Tár in campus” che pamphlet su #MeToo, ma con un esito meno saggistico e più emotivamente fratturato, come hanno notato diverse recensioni americane (talvolta dividendosi su tenuta e coerenza).
I temi che “ After The Hunt” mette in campo sono densi e scivolosi, come se ogni scena fosse una lastra di ghiaccio sotto i piedi dei personaggi. Al centro c’è il rapporto fra potere e protezione: un mentore può davvero difendere un allievo senza esercitare una forma di possesso? Guadagnino si muove in quella zona ambigua dove il gesto di cura può diventare controllo, e la responsabilità affettiva si confonde con quella professionale.
Le istituzioni non escono indenni dal quadro: la verità, nel mondo accademico del film, sembra avere valore solo se coincide con la gestione dell’immagine. L’università diventa un teatro dove ogni parola pesa, ogni silenzio costruisce reputazioni, e nessuno può permettersi di perdere la faccia.
A intrecciare tutto, la memoria: il passato di Alma riaffiora come un’eco che scompagina le certezze, ridefinendo continuamente i ruoli di vittima e complice. Anche il conflitto fra generazioni si gioca sul corpo e sulla carriera, non più sulle idee astratte: gli allievi chiedono ascolto, i docenti difendono il loro spazio.
Raccontata con un tono trattenuto e privo di consolazione, questa materia fa di After The Hunt una tragedia morale più che un film “a tesi”: un’indagine sulle sfumature della colpa e sull’impossibilità di restare del tutto innocenti.
Perché tutti parlano di Julia Roberts
La stampa americana ha insistito su una Julia Roberts ipnotica, “miglior prova dai tempi di Erin Brockovich”, capace di lasciare in campo una protagonista contraddittoria, mai “piaciona”, che tiene il fuoco tra empatia e opacità.
Garfield dondola tra fascino e abisso; Edebiri evita l’icona generazionale e costruisce una studentessa intelligente e ferita. Anche nelle interviste promozionali, Roberts ha raccontato l’intensità del primo faccia a faccia sul set con Garfield (“mi ha lasciata sudata”), mentre il passaggio a NYFF ha confermato l’alchimia del trio.
Dalla sala stampa: accoglienza ai festival e prime recensioni
A Venezia applausi prolungati e dibattito acceso (6 minuti). I critici si dividono: c’è chi vede un ritorno d’autore per Roberts e una regia di grande eleganza morale; altri parlano di “film meno compiuto”, con qualche nodo di scrittura e un tono volutamente anemico. Questa polarizzazione, però, è in parte la natura dell’opera: Guadagnino sposta continuamente il baricentro fino a farci dubitare del nostro stesso sguardo.
Lo stile: dalla sensualità di “Challengers” al rigore di “After The Hunt”
Se “Challengers” era corpo, sudore, desiderio che corre sulla racchetta—un melodramma sportivo lucidissimo — qui il regista chiude l’inquadratura e toglie ossigeno. Scelta coerente con lo spazio universitario: uffici, cucine, auto in sosta, aule vuote diventano la vera scena del delitto.
Il 35mm di Sayeed dà grana e peso ai volti; la musica di Reznor/Ross lavora per sottrazione, correggendo le attese melodiche in un brivido sottopelle. Sono decisioni che distanziano “After The Hunt” tanto dalle rondini sentimentali di “Chiamami col tuo nome” quanto dall’horror visionario di “Suspiria”: qui domina il freddo morale.