Getting older is wonderful è un documentario di Federico Polpettini che è stato presentato a Cinemazero in occasione di Dedica, il festival letterario a Pordenone con protagonista Kader Abdolah, intervenuto assieme al regista e a Riccardo Costantini a commentare il film.
“Per me è una prima visione assoluta – ha precisato l’autore iraniano – dal momento che non mi piace vedermi né in televisione né al cinema”.
Getting older is wonderful
Il film-documentario su lingua, persone e tradizioni
Polpettini, che ha anche una casa di produzione francese “La bête”, spiega di aver scelto come soggetto del suo documentario Abdolah, attratto dalla sua storia di lingue, tradizioni e persone. “Tutta la sua vita – spiega Polpettini – è stata dedicata alla traduzione: il padre era sordomuto e perciò ha dovuto imparare il linguaggio dei segni e poi, dopo l’esilio, si è dovuto adattare al nederlandese”.
“E’ una storia intima e allo stesso tempo collettiva, perché, anche se lontana nel tempo, parla del mondo di oggi, del tema delle migrazioni, dei rifugiati e dei difetti dell’Europa alle prese con le conseguenze del neocolonialismo”. Il film è costruito non solo con materiale contemporaneo ed interviste all’autore e alla sua famiglia, ma attingendo al vastissimo patrimonio cinematografico iraniano, da “La mucca” un classico di Darhiush Mehrjui a “Decadence and downfall” di Mazlar Bahari, a rappresentare l’intreccio della vita di Abdolah con le vicende del suo paese dalla caduta dello Scià al regime degli ayatollah.
Il punto di partenza è appunto l’esilio: Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani diventa Kader Abdolah, nome scelto in omaggio a due suoi compagni di lotta morti in Kurdistan. Il vecchio nome è quello del passaporto:”un’identità – dice l’autore – in cui non mi riconosco più e di conseguenza anche la lingua non poteva più essere il persiano, ma diventa faticosamente l’olandese. I Paesi Bassi mi hanno accolto e io certamente mi sono adattato alla loro società, ma come tutti i migranti sono qui per dare il mio contributo e cambiare, anche solo con la mia presenza, la comunità”.
Kader Abdolah, una vita dedicata alla letteratura
Primo di sei figli, Kader Abdolah cresce in una famiglia di stretta osservanza religiosa vicino a “La casa della moschea”, come nel suo omonimo romanzo e vicino allo zio Aga Jan, come nel libro, produttore di tappeti. Il padre è sordomuto e questo lo esime dall’obbligo di imparare a memoria il Corano e gli concede una libertà di formazione che lo porta a leggere i classici russi ed europei e ad avvicinarsi alla letteratura.
Nel 1972 inizia a studiare fisica all’università di Teheran e ottiene un posto di direttore in una fabbrica di imballaggi. È in questa epoca che si interessa di scrittura, con la produzione di numerosi testi in lingua persiana. Dopo aver pubblicato due raccolte di racconti, adottando lo pseudonimo di Kader Abdolah, le autorità scoprono in lui un membro attivo dell’opposizione, una circostanza che lo costringe ad abbandonare il suo paese nel 1985, insieme alla moglie, per trasferirsi in Turchia. Vi rimane tre anni, fino a quando entra in contatto ad Ankara con una delegazione olandese delle Nazioni Unite.
Decide così di rifugiarsi nei Paesi Bassi dove ottiene lo status di rifugiato politico. E qui inizia la sua carriera “ maggiore” di scrittore in olandese, una lingua in cui inizialmente fa tantissimi errori ma che poi piega a raccontare il mondo da cui proviene e anche una sua personalissima traduzione del Corano. “Un libro di fiction – spiega con ironia – dettato da Allah a un profeta Maometto, che è un uomo con le sue debolezze e le sue passioni”.
“Maometto mi affascina, ma come uomo: un sognatore, un narratore, un uomo che amava la donna, il cibo, capace di creare una narrazione per cambiare la società”, ha detto Abdolah, che considera la Torah, la Bibbia e il Corano “le più grandi creazioni letterarie della storia. L’Islam che amo non è quello dei sovrani sauditi o degli ayatollah iraniani, ma quello che si nutre di letteratura, narrazione e umanità. La religione non è la chiesa o la moschea, ma una necessità purissima dell’essere umano, non un sistema di potere”.
Nel film come nelle sue parole a Dedica, Kader Abdolah racconta il suo difficile passato con ironia ed ottimismo, da lui definito il più grande potere dell’umanità e lo fa a partire da un aneddoto: a Parigi si trovò a bere vino con Farah Diba, principessa in esilio e concordarono che, proprio per quello che avevano passato, la vita è meravigliosa.