Dalla fiaba al balletto di Natale: la storia de “Lo schiaccianoci”

16 Novembre 2025

Un viaggio nella storia de Lo schiaccianoci: dalla fiaba di Hoffmann al balletto di Čajkovskij, fino alle versioni moderne che lo rendono il simbolo del Natale.

Dalla fiaba al balletto di Natale: la storia de “Lo schiaccianoci”

Ogni dicembre, da New York a Napoli, da Londra a Roma, una fiaba spunta come per magia sui cartelloni dei teatri: “Lo schiaccianoci”. È un balletto, ma prima ancora è una storia teatrale che attraversa due secoli: nasce come racconto romantico, diventa spettacolo di danza, si moltiplica in adattamenti, riscritture, versioni “pop” e sofisticate.

Oggi è quasi sinonimo di Natale – un po’ come l’albero, il presepe o i film di rito – ma dietro le luci e i fiocchi c’è una vicenda sorprendentemente ambigua, politica, persino perturbante.

Di cosa parla davvero “Lo schiaccianoci”

Alla base di tutto c’è il racconto “Lo schiaccianoci e il re dei topi” di E.T.A. Hoffmann, pubblicato nel 1816. Protagonista è una bambina (Marie, che nel balletto spesso diventa Clara) che riceve a Natale un soldatino-schiaccianoci. Di notte, il giocattolo prende vita, guida un esercito di soldatini contro il Re dei Topi, viene ferito e, dopo la vittoria, conduce la bambina in un regno incantato popolato da dolci, giocattoli e danze.

Questa è la trama che tutti conosciamo, ma in Hoffmann i toni sono più neri: la guerra con il Re dei Topi è inquietante, l’animarsi dei giocattoli ha qualcosa di allucinato, e la trasformazione finale dello Schiaccianoci in principe non è solo lieto fine sentimentale, ma vera e propria iniziatrice di Marie all’età adulta. Il confine fra sogno e realtà rimane volutamente sfumato: nemmeno lei, al risveglio, è certa di ciò che è accaduto.

Quando nasce “Lo schiaccianoci”: dalla pagina al palcoscenico

Il racconto di Hoffmann: una fiaba per bambini… e per adulti

Hoffmann, giurista e scrittore prussiano, non pensava alla sua storia come a una “fiaba zuccherosa”. Critici moderni sottolineano come “Lo schiaccianoci e il re dei topi” sia anche una reazione al modo in cui la borghesia educava i figli: bambini trattati come piccoli adulti, circondati da giocattoli costosi ma privati della libertà di immaginare.

La fiaba metteva in scena una crisi molto concreta: l’infanzia compressa tra aspettative sociali, regole, buone maniere. E lo faceva in un contesto storico segnato dalle guerre napoleoniche e da un forte senso di precarietà in Europa centrale, che in Hoffmann si traduce spesso in un continuo oscillare tra realtà brutale e fuga nel fantastico.

Dumas e la versione “addolcita”

Alcuni decenni dopo, Alexandre Dumas padre riscrive la storia in francese, alleggerendo i toni cupi: semplifica la psicologia dei personaggi, attenua gli elementi più macabri, accentua la parte festosa e onirica. È su questa versione che Marius Petipa, grande maestro del balletto imperiale russo, si basa per creare il libretto di “Lo schiaccianoci” destinato a Čajkovskij.

Il balletto-féerie del 1892

La prima del balletto “Lo schiaccianoci” si tiene il 18 dicembre 1892 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, come doppio programma con l’ultima opera di Čajkovskij, Iolanta. Il libretto è di Petipa, la musica ovviamente di Pëtr Il’ič Čajkovskij; la coreografia viene completata in gran parte dall’assistente di Petipa, Lev Ivanov, perché il maestro si ammala durante le prove.

È un balletto-féerie in due atti: nel primo prevale la narrazione (la festa di Natale, l’arrivo di Drosselmeyer, la battaglia con il Re dei Topi), nel secondo i personaggi si spostano nel Regno dei Dolci, dove la trama lascia spazio a una successione di numeri danzati – dal Valzer dei Fiocchi di Neve alla Danza della Fata Confetto.

Curiosamente, all’epoca il successo non è travolgente: parte della critica russa trova la struttura sbilanciata, con troppa “sfilata di danze” e poca drammaturgia; al pubblico piace la musica ma lascia perplessi l’uso di bambini in scena nei ruoli principali.

Cosa voleva trasmettere: tra pedagogia, satira e sogno

La critica alla famiglia borghese

Nel passaggio dal racconto al balletto, gran parte della componente satirica e psicologica va persa, ma le radici restano. Hoffmann – spiegano alcuni studi – usava la figura della bambina e dello Schiaccianoci per criticizzare la superficialità dell’educazione borghese, fatta di oggetti e premi materiali più che di ascolto e libertà.

La casa dei genitori, con il suo albero perfetto e il controllo ossessivo sui doni, è quasi una gabbia; il viaggio con lo Schiaccianoci apre a Marie un orizzonte in cui la fantasia ha finalmente diritto di cittadinanza. In questo senso, “Lo schiaccianoci” è anche un racconto politico: contrappone l’ordine rigido della società adulta a un mondo alternativo dove le gerarchie si sciolgono e comandano i bambini, i giocattoli, la creatività.

L’ombra della storia

Altri interpreti hanno letto nel clima del racconto di Hoffmann anche l’eco delle guerre napoleoniche e della violenza che aveva investito la Prussia: il conflitto con il Re dei Topi può essere visto come trasfigurazione fiabesca di un’Europa occupata e traumatizzata, in cui la casa diventa l’unico rifugio, ma mai del tutto sicuro.

Dal lato oscuro al grande giocattolo scenico

Il balletto, specie nelle versioni novecentesche, tende però a smussare gli spigoli: la guerra diventa scenografia spettacolare, i topi sono grotteschi più che minacciosi, e la parte psicologica della trasformazione di Clara si traduce in un sogno romantico, spesso con un principe adulto al posto del “fratello maggiore” giocattolo.

Non per questo “Lo schiaccianoci” è un racconto vuoto: continua a parlare di crescita, desiderio, paura di lasciare l’infanzia, ma lo fa attraverso la grazia del balletto e la potenza sonora di Čajkovskij.

Quanto è stato amato: da opera minore a colosso natalizio

All’inizio, “Lo schiaccianoci” non è certo il capolavoro più amato di Čajkovskij. Per decenni resta un titolo di repertorio, spesso ridotto o adattato, considerato meno “serio” di “Il lago dei cigni” o “La bella addormentata”.

La svolta avviene nel Novecento: nel 1934 la prima integrale del balletto fuori dalla Russia va in scena a Londra, seguita da nuove edizioni; poi, nel 1944, la San Francisco Ballet porta in scena la prima versione completa negli Stati Uniti; e nel 1954 George Balanchine firma a New York una nuova coreografia per il New York City Ballet, destinata a diventare un classico: ancora oggi questa produzione attira oltre 100.000 spettatori a stagione e ha fissato l’immaginario visivo di intere generazioni.

Da quel momento in poi, Lo schiaccianoci diventa progressivamente il balletto più rappresentato al mondo e, soprattutto negli Stati Uniti, una fonte di sostentamento fondamentale per le compagnie: un vero e proprio “salvagente” economico, grazie al pubblico di famiglie che lo sceglie come appuntamento festivo.

Come e perché viene riproposto così spesso

Una macchina perfetta per le compagnie di balletto

Dalla prospettiva teatrale, “Lo schiaccianoci” è un titolo ideale perché offre ruoli a tutti i livelli della compagnia, partendo dai solisti al corpo di ballo, permette di coinvolgere scuole di danza e allievi nei ruoli dei bambini, ha una partitura ricchissima ma immediatamente riconoscibile, che consente sia versioni sinfoniche ridotte che grandi produzioni con orchestra, ed è modulabile: dai teatri d’opera con centinaia di interpreti alle piccole compagnie regionali con scenografie più leggere.

Per molte realtà, soprattutto in Nord America, il periodo di “Lo schiaccianoci” copre una quota enorme degli incassi annuali: un “classico da cassetta” che finanzia lavori più sperimentali durante il resto della stagione.

Un laboratorio infinito di riscritture

Il fatto che la trama sia relativamente semplice rende il titolo ideale anche per reinterpretazioni.

Alcune versioni filologiche riprendono in parte la coreografia di Ivanov e Petipa, altre letture, più psicologiche, insistono sulla trasformazione di Clara/Marie, e delle trasposizioni geografiche (come il recente “Nutcracker in Havana” di Carlos Acosta), spostano l’azione in altri luoghi (è il caso della Cuba del primo Novecento), mescolando il balletto classico alla danza del posto (per esempio la danza afro-cubana e contemporanea, che racconta la storia di un Paese in crisi).

Il risultato è che “Lo schiaccianoci” non è mai lo stesso: ogni produzione riflette lo sguardo di un’epoca sul Natale, sull’infanzia, sulla famiglia.

“Lo schiaccianoci” come simbolo del Natale

Perché proprio questo titolo è diventato il balletto natalizio? La risposta è semplice e complessa insieme.

Da un lato, la storia è ambientata alla vigilia di Natale, con albero, regali, neve, dolci, danze in maschera: tutti elementi che si prestano a un immaginario festivo, facilmente condivisibile da bambini e adulti. Il secondo atto, con il Regno dei Dolci, è una celebrazione del piacere infantile, quasi una versione danzata del “Paese di Cuccagna”.

Dall’altro lato, “Lo schiaccianoci” è diventato una tradizione culturale: nel solo New York City Ballet si contano decine di recite ogni dicembre; a Londra, Chicago, Parigi e in moltissimi teatri europei è il cuore della programmazione di fine anno.

Il pubblico, sapendo di poter contare su quel rituale, lo trasmette alle generazioni successive: così come per i newyorchesi il Christmas Spectacular delle Rockettes è un appuntamento fisso, per molti appassionati di danza Lo schiaccianoci è il luogo in cui “iniziare” i bambini al teatro.

Anche il personaggio dello Schiaccianoci-soldatino è diventato un’icona: lo vediamo trasformato in decorazioni, statuette, biscotti, poster. È il simbolo di un Natale che tiene insieme tradizione borghese, gusto per il vintage e nostalgia per un’infanzia un po’ idealizzata.

La prima pièce teatrale e le scene italiane di oggi

La prima assoluta del 1892

Come si è detto, la prima del 1892 al Mariinskij non fu un trionfo immediato, ma fu comunque un evento: doppio spettacolo con Iolanta, musiche nuove di Čajkovskij, scenografie ricchissime, danzatori di punta dell’Imperial Ballet, tra cui Antonietta Dell’Era come Fata Confetto.

Quella “prima pièce teatrale” fissa alcuni elementi che sopravvivono ancora oggi: la struttura in due atti con festa/viaggio, l’uso di danze di carattere (spagnola, araba, cinese, russa), il valzer finale che riunisce tutti i personaggi. Ma molte cose cambiano: oggi quasi tutte le produzioni scelgono interpreti adulti per Clara e il Principe, e spesso accentuano la loro dimensione romantica, seguendo il solco tracciato nel Novecento dalla versione di Vasilij Vainonen e da altre riletture.

“Lo Schiaccianoci” nei teatri italiani

In Italia, “Lo schiaccianoci” è ormai un pilastro della stagione invernale. Alcuni esempi recenti:

  • Teatro dell’Opera di Roma: inaugura la stagione di danza 2025/26 proprio con Lo schiaccianoci, nella versione fiabesca coreografata da Paul Chalmer, in scena dal 17 al 31 dicembre 2025. La produzione insiste sull’atmosfera incantata e lascia sullo sfondo gli aspetti più oscuri del racconto originale, privilegiando un Natale “da sogno” per famiglie.
  • Teatro di San Carlo di Napoli: propone regolarmente il balletto fra dicembre e i primi di gennaio (nel 2024/25 dal 20 dicembre al 3 gennaio), confermandolo come appuntamento cardine delle feste.
  • Piccolo Teatro di Milano: nel cartellone 2025/26 figura uno Schiaccianoci che gioca esplicitamente sul dialogo fra musica e teatro di prosa, segno di quanto il titolo sia duttile anche fuori dall’alveo del balletto classico.
  • Teatro alla Scala: oltre alle tradizionali produzioni di balletto, propone progetti educativi come “Il metodo Schiaccianoci”, pensati per avvicinare bambini e famiglie alla musica di Čajkovskij e alla grammatica della danza.

Questo mosaico mostra quanto “Lo schiaccianoci” non sia solo un “importato” dal repertorio russo, ma una forma che i teatri italiani usano per intercettare pubblici diversi: appassionati di danza, famiglie, scuole, turisti.

Un classico che cambia con noi

Parlare di “Lo schiaccianoci” come opera teatrale significa riconoscere che non c’è un solo Schiaccianoci, ma una costellazione di testi e spettacoli: la fiaba romantica di Hoffmann, la riscrittura di Dumas, il balletto ottocentesco, le versioni moderne che giocano con le ambientazioni (da Havana a nuove periferie) o con il linguaggio (mixando danza, teatro, circo, multimedia).

La sua forza sta proprio in questa apertura: è insieme sogno di Natale e critica dell’infanzia borghese, fiaba di iniziazione e grande giocattolo spettacolare, rito familiare e laboratorio di coreografi. Ogni volta che si apre il sipario su un albero di Natale che cresce, su un esercito di topi, su un Valzer dei fiori, il pubblico rientra in una storia conosciuta – ma con occhi leggermente diversi.

In un’epoca in cui parliamo spesso di fragilità infantile, di ansia, di bisogno di mondi immaginari in cui rifugiarsi, “Lo schiaccianoci” ci ricorda che la fantasia non è evasione, ma strumento per guardare meglio la realtà. È forse questo il suo vero messaggio, più forte di qualsiasi lettura politica o satirica: concedere a una bambina (e, con lei, a noi spettatori) il diritto di attraversare la notte, affrontare mostri e paure, e tornare a casa con uno sguardo nuovo.

Ed è per questo che, a ogni dicembre, nei teatri di mezzo mondo si continua a sentire la stessa promessa: allo scoccare della mezzanotte, tra neve finta e orchestra dal vivo, i giocattoli torneranno in vita. E noi, adulti perplessi e bambini incantati, ci saremo di nuovo ad applaudirli.

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