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Clementino tra rap e letteratura, “Il libro è una chiave della vita”

La giornalista Silvia Grassi ha intervistato il rapper Clementino in occasione del Campania Libri festival

Clemente Maccaro, in arte Clementino. 40 anni a dicembre. Rapper di professione, ex talento prodigio della scena hip hop campana, oggi uno dei rapper più famosi del nostro Paese, lo incontro al Campania Libri festival, dove, da appassionato lettore, tiene una “lectio” su rap e letteratura. Al Teatro Politeama di Napoli, nel cuore della Montedidio di Erri De Luca, Clementino (alias Iena White) sale in cattedra e si racconta con il linguaggio duro della verità, quello del rap. Ai giovanissimi in sala spiega la cultura hip-hop, condivide i meccanismi e le dinamiche del freestyle, tecnica di improvvisazione del rap che lo ha reso celebre e raccomanda di seguire sempre le proprie passioni, a partire dalla scelta del libro giusto “leggete sempre, leggete di più, scegliendo un libro che vi appassiona”.

Il linguaggio universale della musica

Nel teatro, tutto esaurito, Clementino parla il linguaggio universale della musica che “collega i ricordi e gli affetti” e manda un messaggio di “speranza e resilienza” ai ragazzi dei quartieri e dell’hinterland napoletano, in una delle Regioni a più alto tasso di dispersione scolastica “io non mi sono mai arreso. Ho avuto periodi veramente brutti, ma solo se si cade si diventa forti; non smettete mai di lottare e di sognare”.

E poi, tra le ovazioni generali, improvvisa una rima in freestyle, tema Napoli e la letteratura “Sono Clementino rappresento storia stranaun saluto ai ragazzi dentro il Politeamatu già sai come va l’originale…. lo stile di Clementino, arriva alla Nazionale… per quello che ti dò ancora siamo apposto…Leggete Pirandello e pure l’Ariosto… le mie rime sono le poesie di Ungaretti…a Napoli da Benedetto Croce a De Filippo…”.

L’intervista a Clementino

Clementino: rap e letteratura, come si incontrano questi due mondi?

La musica rap fa parte dell’hip hop che è una cultura nata in America, divisa in 4 discipline: la break dance, i murales, lo scratch dei dj e il rap. Il rap è un ramo della musica hip hop. Tra letteratura e musica c’è un legame fortissimo attraverso il libro che è una chiave della vita.

E cosa hanno in comune?

Sicuramente l’uso della parola, la ricerca della verità, il voler mettere in ordine i concetti, uno dietro l’altro. Il linguaggio del rap è “la famosa lingua tagliente”. Ma il rap è anche improvvisazione, freestyle e una gara di freestyle è anche una questione di “sportività”, non c’è tutta questa “controversia”; è una gara di musica che inizia e finisce come una partita di calcio. Anche i pastori abruzzesi, quelli dei primi stornelli, si sfidavano in rima.

E rap e poesia?

Sicuramente hanno in comune la metrica; ma un rapper deve anche infrangere le regole. Il freestyle è anche libertà, soprattutto improvvisazione.

Segreti del freestyle: quanta tecnica c’è dietro all’improvvisazione?

Quando fai una rima devi pensare già a quella successiva. Ci sono delle rime di appoggio, ma è tutta una questione di esperienza. Io lo faccio da quando sono ragazzino, per me è naturale fare free style; è come per un calciatore palleggiare, è la cosa più facile. E’ una questione di allenamento. Per un rapper saper fare freestyle è l’essenziale.

Clementino sei un rapper di professione, ma quando hai iniziato con il freestyle come lo hai spiegato a tua mamma, insegnante di matematica e fisica?

Nel ‘96 mi sono attaccato alla musica rap e non l’ho più mollata. Quando avevo 6 anni mia mamma mi ha iscritto a un corso di chitarra, ma a fare il chitarrista non ci sono mai riuscito, la mia testa voleva qualcos’altro e soprattutto il mio cuore.

La canzone da dove tutto è iniziato?

“Gangsta’s Paradise” di Coolio, che è scomparso proprio l’altro giorno. È stata la prima canzone rap che ho ascoltato. Coolio è sempre stato un artista super significativo per la mia carriera. Nel ’96 ho iniziato a “rappare”, perché guardando Pensieri pericolosi, il film con la grandissima attrice hollywoodiana Michelle Pfeiffer, mi piacque così tanto il film – l’avrò visto 200 volte – che mi sono detto: “io devo far parte di questo mondo colorato, fatto di murales, break dance e freestyle”. E così ho iniziato a fare il rap, il freestyle.

Oggi leggi molti libri, traspare anche dalla tua musica. Quali i tuoi preferiti?

In realtà fino ai 12 anni ho sempre letto solo Topolino e i fumetti. C’è stato un momento in cui aprivo i libri e dopo la quarta pagina mi annoiavo, credevo che la lettura non fosse fatta per me; in realtà, era perché non leggevo i libri giusti. Poi ho scoperto il mio debole, i libri che ti attirano come i romanzi d’avventura, sicuramente il mio genere preferito: da Robinson Crusoe di Daniele Defoe a Il viaggio del mondo in ottanta giorni e Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, fino ai racconti di Dickens. E poi, le autobiografie: da quella di T Joe Vannelli, God is a DJ, a quella di Jim Carrey, Ricordi e bugie; non mi hanno deluso affatto, perché quando un artista ha una carriera alle spalle di 30/40 anni, ha sempre tanto da raccontare.

Ai primi tre posti, Clementino, che libri metti?

Sicuramente Robinson Crusoe di Daniele Defoe, Il viaggio del mondo in ottanta giorni di Jules Verne e Will- Il potere della volontà, l’autobiografia di Willy Smith, perché, nonostante il grande errore sul palco degli Oscar, si è dimostrato un grande scrittore. Anche io ho scritto un libro qualche tempo fa “La profezia di Clementino”, ma è arrivato il momento di farne un altro!

Clementino quali sono i tuoi consigli, per i lettori di Libreriamo?

Scegliete sempre libri che vi portano ad andare avanti e a chiedervi “…e ora cosa succede?”. Scegliete libri vicini a voi, che vi appassionano. Se vi piace la musica leggete l’autobiografia Ed Sheeran. Se vi piace il cinema leggete l’autobiografia di Jim Carrey, di Brad Pitt.

Clementino, tu hai pubblicato 11 dischi, collaborando con nomi come Pino Daniele, Jovanotti, Caparezza e Achille Lauro; sei uno dei pochi artisti che nonostante il successo e la Tv, non vuole che la propria musica diventi “commerciale”. Scelta contro correte, come mai?

Per me, la musica è un’ossessione. Per me, il rap è la cosa più forte di tutte, è ciò che mi ha trasformato: non mi permetterei mai di rovinarlo, è una cosa sacra. Non lo farei mai diventare una musica commerciale. Preferisco essere commerciale presentando programmi, anche molto popolari, come The Voice e Made in Sud, ma non trasformerei mai i miei progetti in “musica usa e getta”. Voglio fare un album come Black Pulcinella ed essere orgoglioso del mio operato, rimanendo coerente con me stesso e con la mia musica. E’ il mio ultimo album, il numero 11, una sorta di ritorno alle origini; forse il più hip hop che abbia mai fatto in questi venti anni, ed è un disco “duro” senza canzoni “radiofoniche”.

Black Pulcinella, è un omaggio alla musica afroamericana “Black” e al Pulcinella, la maschera della tua terra. Napoli, la “città mondo”, quanto conta nelle tue canzoni?

Il legame di Napoli con il rap è fortissimo e passa dallo “slang”: il dialetto napoletano, che è la lingua che si presta meglio, perché avendo tutte parole tronche, senza vocale finale, assomiglia molto al suono del dialetto americano. Con il rap molte parole del dialetto sono diventate accessibili a tutti, hanno superato i loro confini, proprio come i termini hastag e tag che oggi fanno parte del linguaggio comune, così come lo “slang” di Napoli ha superato i propri confini.

Clementino, chi sono i tuoi punti di riferimento nella canzone napoletana e nel rap?

Pino Daniele, con lui ho realizzato un sogno, perché mi ha lasciato la sua ultima canzone nel mio disco, un grande ricordo! Mi ha fatto cambiare totalmente il mio modo di vedere la musica, facendomi capire cos’è la vera musica napoletana. Mi ricordo che ero al Palapartenope, entrai nel camerino e lo vidi intonare il mio pezzo O vient – puoi immaginare la mia faccia, quando mi disse – “Clementino, questo pezzo ha le mie pennellate”. Sono emozioni che non hanno prezzo! Da lì ho capito che avevo un punto di riferimento nella musica, il “napoletan power”: Pino Daniele, Tullio De Piscopo, Tony Esposito. Se devo scegliere il rapper che è stato il mio punto di riferimento, dico sicuramente Snoop Dogg. Quando ho iniziato avevo la voce come la sua, ero un po’ lo Snoop Dogg di Napoli, per il mio rap calmo, palleggiato, quando tutti strillavano.

La trap, è una degenerazione del rap o una fotografia di quello che c’è la fuori, nei vicoli delle periferie americane come in quelle napoletane?

Altro che “trap”, io faccio il “crap”: il comedy rap. Sono nato negli anni ‘90 come rapper “intrattenitore”: facevo la musica da strada usando la lingua tagliente del rap, in modo ironico. Serviva un intrattenitore e certo non poteva nascere un rapper copia della copia, della copia. Io dovevo essere originale. Un freestyler che faceva intrattenimento con l’uso della parola, che poteva raccontare le cose di tutti i giorni, collegandosi anche alla letteratura e ai libri, ma che doveva essere anche un intrattenitore per party e feste. Così’ è nato il mio personaggio di Iena White, e poi da lì, tutto il resto.

Clementino, hai mai temuto di perdere la “tua voce”?

Ci sono stati periodi in cui ho temuto di perdere tutto. I momenti di passaggio dall’underground al mainstream. Nel passaggio da Iena White del 2010 a quello con Fabri Fabri nel 2012, ho avuto paura, ma poi la voglia e la disperazione di farmi conoscere mi hanno portato a prendere un treno per Milano e a non perdere mai la speranza, e nemmeno “la voce”. Perché un’artista non parla mai solo con la sua, è sempre, anche, la voce degli altri.

Nella tua vita cadute e risalite. Hai sperimentato la droga e hai ammesso che “uscirne è stata un’odissea”. Ai giovani, per cui sei un modello, che messaggio vuoi dare?

C’è stata una fase veramente brutta della mia vita, in cui ho anche sofferto di depressione; mi hanno dovuto raccogliere “con la paletta”. Ma non mi sono mai arreso, perché solo se cadi, diventi forte. Ai ragazzi che vogliono fare i cantanti, dico di lavorare tanto perché la concorrenza è spietata. Bisogna studiare e lavorare, senza fermarsi al primo ostacolo, senza mai scoraggiarsi. Fare almeno 50 canzoni all’anno perché prima o poi arriva quella “bomba”. E soprattutto, non smettere mai di lottare e di sognare.

Silvia Grassi

 

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