“Nuremberg” il remake da non perdere con Rami Malek

3 Novembre 2025

Il 18 dicembre al cinema debutta il remake di "Nuremberg", il processo più famoso della Storia. Con Rami Malek, vincitore del Premio Oscar con Bohemian Rapsody.

"Nuremberg" il remake da non perdere con Rami Malek

Che cosa si nasconde dietro gli occhi di un criminale di guerra? È follia, obbedienza cieca o una volontà consapevole e spietata di annientare? Il nuovo film “Nuremberg”, in uscita nelle sale italiane dal 18 dicembre con Eagle Pictures, esplora una delle domande più oscure degli ultimi ottant’anni attraverso un faccia a faccia tra due uomini agli antipodi, ma ugualmente cruciali nella comprensione del male del Novecento.

Diretto e scritto da James Vanderbilt, già autore di sceneggiature come Zodiac e Truth, il film è tratto dall’omonimo saggio di Jack El-Hai, che ricostruisce l’incredibile vicenda dello psichiatra americano Douglas Kelley e del suo paziente più inquietante: Hermann Göring, ex gerarca nazista e braccio destro di Hitler, arrestato e imprigionato in attesa del processo di Norimberga.

Nel cast spiccano due premi Oscar: Rami Malek, nel ruolo di Kelley, e Russell Crowe, che interpreta Göring con la potenza magnetica che lo contraddistingue. A loro si aggiunge Michael Shannon nel ruolo del giudice Robert H. Jackson, figura chiave nella costituzione del tribunale di Norimberga.

Una storia vera che brucia ancora

Il film si apre nel 1945, con l’Europa in macerie e l’umanità costretta a guardare in faccia l’abisso dell’Olocausto. Le truppe alleate hanno catturato alcuni dei principali leader del regime nazista. Tra loro, c’è Göring: arrogante, colto, vanitoso, capace di parlare fluentemente inglese e dotato di una personalità istrionica che gli ha permesso per anni di manipolare chiunque gli stesse intorno.

A Douglas Kelley, psichiatra dell’esercito americano, spetta l’incarico di valutare la sanità mentale di questi uomini. La domanda non è banale: si possono processare individui che non sono in grado di intendere e volere? E cosa succede se questi individui, pur lucidi, sono espressione di una follia collettiva?

Kelley, a sua volta giovane e ambizioso, si avvicina a Göring con la speranza di comprendere la “psicologia del male”, convinto che analizzando la mente di un gerarca nazista potrà arrivare a una verità universale. Ma lo scambio tra i due diventa ben presto un duello psicologico, in cui le linee tra terapeuta e paziente, accusatore e accusato, si fanno sempre più labili.

Una riflessione sulla colpa, la giustizia e l’umano

Ciò che rende “Nuremberg” un’opera potente e necessaria è la sua capacità di interrogare le radici del male, senza mai cadere in una facile spettacolarizzazione. Non siamo di fronte a un semplice film di guerra o a una cronaca processuale: siamo dentro una stanza, tra quattro mura, dove le parole diventano armi e ogni silenzio pesa come una condanna.

Il film mette in scena la nascita della giustizia internazionale, con il tribunale di Norimberga che, per la prima volta nella storia, giudica un intero regime sulla base di crimini contro l’umanità. Ma il centro emotivo del racconto è lo scontro tra Kelley e Göring: uno vuole capire, l’altro vuole sedurre, con l’intelligenza e la teatralità di un uomo che non si considera né pazzo né colpevole.

In questo senso, la pellicola riflette su una domanda che ancora oggi ci perseguita: i carnefici del nazismo erano automi al servizio di un potere assoluto, o erano perfettamente consapevoli della loro crudeltà?

Norimberga e la nascita della “Giustizia internazionale”

Per comprendere la portata del film, bisogna ricordare che Norimberga non fu solo un processo, ma la nascita del diritto penale internazionale. Per la prima volta nella storia, un tribunale giudicava un intero regime in nome dell’umanità violata.

I concetti di “crimine contro l’umanità”, “genocidio” e “responsabilità individuale” vennero formalizzati proprio lì, sotto gli occhi del mondo.

Il vero Douglas Kelley partecipò a quella stagione pionieristica non come giurista, ma come testimone della mente. Applicò test psicologici – tra cui il Rorschach e il Wechsler – ai gerarchi nazisti, nella speranza di individuare un “profilo comune del male”.

Non trovò un mostro, ma uomini normali, dotati di intelligenza, disciplina, vanità.

Questa scoperta lo perseguitò per tutta la vita, fino al suicidio nel 1958, con lo stesso veleno usato da Göring per sfuggire all’impiccagione: un dettaglio reale che il film lascia echeggiare come tragico cortocircuito tra vittima e carnefice.

Il linguaggio della manipoolazione

Ogni dialogo tra i due protagonisti è un atto di potere. Göring usa l’intelligenza come arma: risponde alle domande con ironia, piega la logica, ribalta la posizione dell’interlocutore. Kelley, a sua volta, tenta di mantenere il controllo scientifico, ma finisce col riconoscersi in alcune sfumature del suo paziente: l’ambizione, la sete di comprensione, il bisogno di dominare l’altro.

Il film mostra come il male sappia affascinare, non solo spaventare, e come la comprensione possa trasformarsi in attrazione. È un dialogo claustrofobico, girato con luce radente e colori terrosi, in cui il non detto pesa più delle parole.

Le interpretazioni: due giganti a confronto

Rami Malek, dopo aver vinto l’Oscar per Bohemian Rhapsody, mostra ancora una volta la sua versatilità, costruendo un Kelley introverso, determinato e profondamente umano, lacerato tra il dovere scientifico e l’orrore morale. È il classico “osservatore coinvolto”, testimone di un abisso che lo segna nel profondo.

Russell Crowe, invece, offre una delle sue interpretazioni più disturbanti e magnetiche: il suo Göring è carismatico, ironico, feroce, un uomo che non chiede perdono, ma ammirazione, convinto di aver servito una causa storica.

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