“Mary Poppins”, tra magia e memoria: i due film a confronto

30 Settembre 2025

Mary Poppins compie gli anni: da Julie Andrews a Emily Blunt, confronto tra il classico del 1964 e il sequel del 2018. Due film, una magia che resiste.

"Mary Poppins", tra magia e memoria: i due film a confronto

Julia Elizabeth Wells, in arte Julie Andrews, è una delle grandi icone del cinema musicale del Novecento. Nata nel 1935 a Walton-on-Thames, in Inghilterra, iniziò come interprete teatrale e trionfò a Broadway in musical come “My Fair Lady”.

Il 1964 segnò la svolta: con la sua prima interpretazione cinematografica, nel ruolo di Mary Poppins diretta da Robert Stevenson, vinse l’Oscar e conquistò il pubblico internazionale.

Mary Poppins o Julie Andrews? L’icona che ha dato un volto alla magia

Da allora la Andrews rimase legata a figure leali e comprensive, spesso imprigionata in ruoli “asessuati”, ma sempre capace di portare vivacità e autoironia. La sua voce cristallina le ha permesso di spaziare dal musical al doppiaggio animato (“Shrek” — la madre della principessa Fiona —, “Cattivissimo me” — Marlenaa Gru —), mentre con “Victor/Victoria” ottenne una nuova nomination all’Oscar. Nel 2019 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera, suggellando un percorso che va ben oltre Mary Poppins, ma che proprio da lì ha preso la forma di un mito.

E non dimentichiamo che la vera voce di Lady Whisteldown — “Bridgeton” — è la sua.

“Mary Poppins” (1964): la leggerezza contro il rigore

Ambientato nella Londra edoardiana, il film del 1964 racconta la vicenda della famiglia Banks, prigioniera delle regole inflessibili di George, integerrimo banchiere, e della leggerezza distratta della moglie, impegnata nelle battaglie femministe.

Jane e Michael, i due bambini, cercano invece affetto e gioco: lo troveranno in Mary Poppins, la tata piovuta dal cielo con l’ombrello volante.

Mary è molto più di una governante: è l’antitesi di George, il vento che porta desiderio e immaginazione contro il peso della legge e della disciplina. Con lei i bambini imparano che si può cantare e ridere persino mentre si fa ordine, che la fantasia può convivere con la regola, e che la famiglia può ritrovare equilibrio non nel rigore ma nella leggerezza.

Il film, diretto da Robert Stevenson e interpretato da Julie Andrews, David Tomlinson e Dick Van Dyke, vinse 5 premi Oscar (tra cui miglior attrice e miglior colonna sonora) e ottenne 13 candidature complessive. La forza del musical sta nell’essere una favola educativa e satirica: una parabola sul rapporto tra istituzione e desiderio, tra potere e gioco.

“Mary Poppins Returns” (2018): un ritorno tra nostalgia e rinnovamento

Più di cinquant’anni dopo, Disney ha riportato Mary Poppins sullo schermo con “Mary Poppins Returns”, diretto da Rob Marshall. Questa volta a indossare il cappotto e ad aprire l’ombrello magico è Emily Blunt, affiancata da Lin-Manuel Miranda.

Il film si ambienta negli anni ’30 e racconta la nuova generazione della famiglia Banks: i figli ormai adulti di Michael si trovano in difficoltà dopo la perdita della madre e il rischio di perdere la casa. Mary ritorna, con lo stesso spirito fermo e affettuoso, per restituire gioia, meraviglia e fiducia in un mondo che sembra schiacciato dalla crisi.

Il sequel raccoglieva un’eredità pesantissima e la Blunt ha scelto di reinterpretare il personaggio senza imitare Julie Andrews, puntando su un’ironia più tagliente e un atteggiamento più deciso. Il film è stato candidato a 4 Oscar, 4 Golden Globe, 2 BAFTA, e ha incassato più di 12 milioni di euro in Italia nelle prime settimane di programmazione. È un’opera che gioca molto con la nostalgia, riproponendo numeri musicali e scenografie in stile classico, ma con una sensibilità moderna, adatta a un pubblico diverso da quello del 1964.

Due Mary Poppins a confronto

Il confronto tra i due film è inevitabile. La Mary Poppins di Julie Andrews rappresentava una rottura: un personaggio nuovo, sospeso tra ironia e grazia, in grado di riformulare la favola tradizionale e portarla dentro la modernità degli anni ’60. Quella di Emily Blunt, invece, è un ritorno consapevole: un tributo all’originale, con meno innovazione e più celebrazione della memoria.

Eppure entrambe le Mary hanno in comune un cuore narrativo: la capacità di insegnare che la vera forza non è nell’ordine cieco, ma nell’equilibrio tra responsabilità e immaginazione. L’ombrello che vola e il cucchiaio di zucchero restano simboli universali di come la fantasia possa guarire le ferite più profonde.

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