“Il modo in cui chiami le cose è il modo in cui finisci per viverle.”
Con queste parole, pronunciate in un video per Mondadori, Michela Murgia raccontava il senso più intimo di “Tre ciotole”, il suo ultimo libro e, oggi, il suo lascito più vivo. Da un gesto quotidiano — apparecchiare la tavola, dividere lo spazio del cibo in tre ciotole — nasceva un modo di dare ordine al disordine dell’esistenza; ed è proprio di questo parla il film “Tre ciotole”, diretto da Isabel Coixet e uscito nelle sale il 9 ottobre 2025 con Vision Distribution.
Al centro c’è Marta, interpretata da Alba Rohrwacher, e accanto a lei Elio Germano nel ruolo di Antonio: due corpi che imparano, attraverso la perdita e la malattia, a nominare di nuovo la realtà. Perché, come ricordava Murgia, “hai diritto di dare i nomi alle cose che devi vivere. Non farteli dare dagli altri. È molto meglio scegliere tu che nome dare alla tua realtà, perché poi la abiti meglio.”
Dal libro al film: cosa cambia e perché funziona
Nel romanzo pubblicato nel 2023, Michela Murgia aveva costruito un mosaico di dodici racconti: frammenti di crisi, piccole rivoluzioni interiori, momenti in cui la vita costringe a ridefinirsi. Il film ne raccoglie l’essenza e la traduce in un’unica storia: quella di una donna che perde l’appetito dopo una separazione, si ammala, e attraverso la malattia riscopre la fame, non solo di cibo ma di presenza, di parola, di legame.
Isabel Coixet, regista catalana da sempre attenta ai mondi interiori femminili, lavora per sottrazione: lascia parlare i silenzi, gli oggetti, la materia domestica. Le tre ciotole diventano un simbolo visivo — misura e rito, disciplina e consolazione — proprio come lo erano nella scrittura di Murgia.
Il corpo come specchio della crisi
Dopo un litigio, Marta e Antonio si separano. Lei smette di mangiare, di parlare, di desiderare. Una visita medica e una diagnosi improvvisa la costringono a rivedere tutto: il tempo, la casa, la sua idea di amore. Attorno a lei si muove una piccola costellazione di figure — colleghi, sorelle, studenti — che le restituiscono il mondo a frammenti. Ogni gesto diventa un modo per nominare la realtà e ricominciare ad abitarla.
La fotografia di Guido Michelotti trasforma la luce di Roma in un respiro sospeso: le finestre, i corridoi, le mani sui piatti parlano quanto i dialoghi. Tutto è misurato, come nelle frasi brevi e necessarie del libro.
Coixet, Rohrwacher, Germano: il linguaggio della delicatezza
Coixet non tradisce Murgia, la interpreta. Alba Rohrwacher offre un ritratto fisico e spirituale di Marta: un corpo che si contrae e si riapre, che ritrova appetito e voce. Elio Germano le dà una controparte vulnerabile, un uomo che impara a lasciare andare. La regista costruisce intorno a loro un film fatto di dettagli minimi — il tintinnio di una ciotola, il suono dell’acqua, la pausa tra due respiri — e proprio in questa misura sta la sua forza.
Dove il romanzo si ferma, il film continua
“Questo racconto è la storia di una donna che sceglie i nomi del suo mondo.”
Così Murgia concludeva il video in cui spiegava “Tre ciotole”. È una frase che il film sembra raccogliere e rilanciare: Marta sceglie i nomi delle sue paure, dei suoi dolori, ma anche dei suoi ritorni; e in quel gesto di nominazione — di rinascita linguistica — c’è il senso più profondo dell’opera di Michela Murgia, che ha sempre creduto nel potere trasformativo della parola.
Il film diventa allora non solo un adattamento, ma un dialogo postumo tra autrice e regista: la Coixet traduce in immagini l’etica della nominazione, l’idea che ogni crisi sia un’occasione per ribattezzare la vita.
Le prime reazioni e l’eredità di una voce
Dopo l’anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, “Tre ciotole” è stato accolto come un film di pudore e precisione. La critica ha sottolineato la delicatezza della regia e la coerenza con il pensiero di Murgia: la libertà di chiamare le cose con il proprio nome, anche quando il mondo preferisce tacerle.
Nel film e nel libro, le tre ciotole restano un gesto simbolico ma concreto: tre spazi per dividere il passato, il presente e il futuro; tre contenitori per ciò che resta, ciò che finisce e ciò che rinasce. È l’immagine di una cura, e insieme una lezione: nominare è resistere.
Le reazioni del pubblico: un film che si guarda col cuore
Sui social, da TikTok a Instagram, le reazioni a “Tre ciotole” si somigliano tutte nel tono: quello di chi non riesce a parlare solo del film, ma sente di parlare anche di Michela Murgia.
Molti spettatori e spettatrici raccontano di averlo vissuto come un’esperienza quasi intima, “una magia, una pozione d’amore”, in cui rivedere qualcosa di una persona cara. C’è chi parla di commozione, chi di gratitudine, chi semplicemente di un senso di vicinanza che travalica la sala. Nelle loro parole torna spesso la stessa idea: “Tre ciotole” non è un film sulla malattia, ma sulla vita piena, sulle relazioni che resistono al tempo e sull’urgenza di nominarle. Certo non è passata inosservata la presenza di Lorenzo Terenzi, marito e amico di Michela nella vita reale, che interpreta il socio del personaggio di Germano: un dettaglio che ha commosso molti.
Guardarlo è stato per il pubblico come ritrovare una voce che continua a risuonare, un gesto di affetto collettivo verso chi ha insegnato che “parlare d’amore è politica” e che anche nel dolore si può riconoscere un atto di resistenza.