“Centro di gravità permanente” (1981) di Franco Battiato, il valore di trovare sé stessi

28 Giugno 2025

Scopri il vero significato di “Centro di gravità permanente” di Battiato: tra filosofia, Gurdjieff, Matteo Ricci e le tribù culturali degli anni ’80.

"Centro di gravità permanente" (1981) di Franco Battiato, il valore di trovare sé stessi

Centro di gravità permanente di Franco Battiato è una delle canzoni più famose e cantate dell’artista siciliano, il ritornello del pezzo è diventato un’icona transgenerazionale capace di unire giovani e adulti. Ma dietro un grande successo della musica pop, come è accaduto spesso per il grande maestro, c’è una profonda ricerca spirituale e letteraria.

Una canzone che invita a ritrovare sé stessi, a riscoprire la propria identità, quel centro di gravità permanente che ogni essere umano può toccare, gestire e possedere, a patto di non lasciarsi travolgere dalle molteplici influenze che la vita inevitabilmente mette sul cammino di ognuno di noi.

Un significato che va ben oltre la semplice introspezione: è una ricerca più profonda, spirituale, ma anche sociologica, come vedremo più avanti. Un messaggio che si inserisce perfettamente nel sentire e nelle inquietudini esistenziali degli anni ’80, epoca in cui questa canzone fu scritta e pubblicata.

Il testo della canzone infatti esprime la sua passione per il pensiero di Georges Ivanovič Gurdjieff, mistico e filosofo armeno, grande ispiratore di molti artisti e intellettuali tra cui, appunto, Battiato. Ma, nelle frasi della canzone c’è la perfetta miscela di letteratura, filosofia, storia e spiritualità, creando un testo che è insieme poetico e iniziatico, ironico e profondissimo.

Centro di gravità permanente è un brano musicale scritto da Franco Battiato e Giusto Pio e venne pubblicato all’interno dell’album La voce del padrone nel 1981.

Leggiamo il testo della canzone di Franco Battiato per comprenderne il significato e la profonda sensibilità filosofica e letteraria del grande maestro siciliano.

Centro di gravità permanente di Franco Battiato 

Una vecchia bretone
Con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù
Capitani coraggiosi
Furbi contrabbandieri macedoni
Gesuiti euclidei
Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori
Della dinastia dei Ming
Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Avrei bisogno di
Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Over and over again
Per le strade di Pechino erano giorni di maggio
Tra noi si scherzava a raccogliere ortiche
Non sopporto i cori russi
La musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese
Neanche la nera africana
Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Avrei bisogno di
Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Over and over again
You are a woman in love
Baby I need your love
I want your love
Over and over again
Come in into my life
Baby, I want to give you my soul
Baby, I need your love
Fonte: LyricFind
Compositori: Franco Battiato / Giusto Pio
Testo di Centro di gravità permanente © Sony/ATV Music Publishing LLC

Il significato di Centro di gravità permanente di Franco Battiato

Centro di gravità permanente è una canzone di Franco Battiato dal grande significato sociologico e che esprime nei suoi versi le convinzioni ideologiche e spirituali del grande genio siculo. Quando nel 1981 uscì la canzone l’Italia e l’Europa stavano attraversando una fase di trasformazione culturale, sociale e spirituale senza precedenti.

Apparentemente pop e ironica, la canzone è in realtà un manifesto esistenziale e filosofico, un invito potente alla riscoperta di sé, carico di riferimenti letterari, storici, spirituali e sociologici. Il testo è un inno alla voglia di ritrovare la propria identità personale e culturale, in un momento storico, quali furono la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 in cui le ideologie da un lato e le mode dall’altro spingevano i giovani e non solo ad inseguire un modo di vivere la propria umanità senza nessun principio di volontà.

Una canzone che invita a ritrovare sé stessi

Centro di gravità permanente è quindi prima di tutto una canzone che invita a ritrovare sé stessi, a riscoprire la propria identità autentica, quel centro interiore che ogni essere umano può toccare, gestire e possedere.
Un centro che si costruisce solo imparando a non lasciarsi travolgere o traviare dalle molteplici influenze che inevitabilmente entrano in gioco nella vita, soprattutto quando si è più giovani, ma che allo stesso modo coinvolge anche gli adulti.

Il senso del brano, però, va ben oltre questa lettura psicologica. È un messaggio più profondo, spirituale, ma anche sociologico, come vedremo più avanti. Resta il fatto che questo bisogno di stabilità interiore si inserisce perfettamente nel clima esistenziale e culturale degli anni ’80, periodo in cui la canzone fu scritta e pubblicata.

I simboli letterari che denunciano la crisi identitaria di una generazione

La canzone si apre con una sequenza di immagini visionarie e stranianti:

Una vecchia bretone con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù…

Qui emerge una possibile metafora della vecchia Europa. Una “vecchia signora” affaticata, carica di storia e tradizioni, ma confusa nella sua identità. Il riferimento all’ombrello orientale, fatto di carta di riso e bambù, suggerisce una fascinazione superficiale per l’Oriente, come se l’Europa stesse cercando nuove risposte spirituali o estetiche fuori da sé stessa, senza però riuscire ad andare oltre un’esotica apparenza.

Per comprendere fino in fondo il senso di “Centro di gravità permanente”, è fondamentale collocarla nel clima culturale degli anni ’80, un’epoca in cui l’Occidente – e in particolare l’Europa – sviluppò una vera e propria ossessione collettiva per le filosofie orientali.

Dopo gli anni di contestazione del ’68, il disincanto politico degli anni ’70 e la crisi delle grandi ideologie, gli anni ’80 segnarono un’esplosione di interesse verso tutto ciò che proveniva dall’Oriente: buddismo zen, taoismo, meditazione trascendentale, yoga, sufismo, dottrine esoteriche e percorsi di ricerca interiore.

I giovani e gli intellettuali europei cercavano nell’Oriente quell’equilibrio, quella spiritualità e quella saggezza millenaria che sembravano ormai assenti nelle società materialiste e consumistiche dell’Occidente.

Nei negozi di dischi spopolavano musiche etniche e sonorità orientali, nelle librerie apparivano in massa manuali di meditazione, testi di filosofia indiana. La moda stessa cominciava ad assorbire elementi estetici orientali: kimono, sete, simboli buddisti, colori ispirati ai templi e alle spezie. Non dimentichiamo che negli anni ’80 testi come il Kamasutra e L’Arte della guerra di Sun Tzu erano diventati dei bestseller. Non potevi non avere quei libri e non potevi non conoscerli.

In questo contesto, Battiato osservava il fenomeno con la sua consueta lucidità e ironia. Non a caso nel testo della canzone troviamo immagini e riferimenti orientali, ma anche una sottile critica verso l’Oriente vissuto come moda, come travestimento, come soluzione facile a un disagio più profondo.

“Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming” diventa così una metafora perfetta di questa tendenza occidentale ad adottare esteticamente i simboli dell’Oriente senza un reale lavoro interiore, senza un vero processo di trasformazione spirituale.

Battiato, invece, indica un altro percorso: non una fuga estetica o culturale, ma un autentico viaggio interiore, alla ricerca di un centro stabile che non si lasci più influenzare dalle mode, dalle ideologie o dalle maschere sociali.

Le citazioni storiche e filosofiche: Kipling, contrabbandieri e Matteo Ricci

Per esplicitare il suo pensiero in musica, Franco Battiato elenca figure e archetipi di culture diverse:

Capitani coraggiosi
Furbi contrabbandieri macedoni
Gesuiti euclidei
Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori
Della dinastia dei Ming

“Capitani coraggiosi” fa riferimento all’omonimo romanzo di Rudyard Kipling, simbolo del viaggio di formazione e dello smarrimento giovanile.

Il verso “furbi contrabbandieri macedoni” apre a una serie di suggestioni culturali e simboliche. La Macedonia, storicamente, è una terra di confine, crocevia tra Oriente e Occidente, tra Cristianesimo e Islam, tra culture balcaniche, greche e ottomane. Un luogo dove le identità si mescolano, dove i confini sono sempre stati porosi e instabili, sia sul piano geografico che culturale.

I “contrabbandieri”, per loro natura, vivono ai margini della legalità, si muovono tra zone grigie, attraversano frontiere, sfidando le regole imposte dalle autorità. In questa immagine, Franco Battiato sembra voler evocare l’idea di una transizione continua, di uno stato di perenne passaggio tra mondi diversi, tra sistemi di valore contrastanti.

Simbolicamente, questi “contrabbandieri macedoni” rappresentano le identità fluide, ibride, non facilmente classificabili, proprio come quella dell’uomo moderno in cerca di un centro stabile. In un mondo fatto di contrasti, di sovrapposizioni culturali, di contaminazioni, anche l’identità personale rischia di diventare “di contrabbando”, sfuggente, difficile da definire.

Per Battiato, inserire questa immagine nel testo significa riconoscere la complessità del nostro tempo, ma anche mettere in guardia da una continua migrazione interiore senza una direzione precisa:
senza un “centro di gravità permanente”, si rischia di restare sempre ai margini di sé stessi.

“Gesuiti euclidei”: chiaro richiamo a Matteo Ricci, missionario gesuita italiano del XVI secolo, famoso per essere stato uno dei primi occidentali a entrare nella corte imperiale cinese durante la dinastia Ming.
Matteo Ricci fu un simbolo vivente di questa unione tra fede e ragione.

Si presentava vestito come un bonzo, adottando l’estetica orientale per ottenere accettazione e ascolto. Allo stesso tempo, portava con sé la geometria euclidea, traducendo in cinese gli Elementi di Euclide insieme al matematico cinese Xu Guangqi, come strumento per dialogare con gli intellettuali cinesi.

Una figura di mezzo guarda caso quella di Matteo Ricci, in grado di porsi al centro tra i due opposti, diventandone elemento unico. Il missionario marchigiano è capace di adattarsi culturalmente, ma senza mai perdere il rigore della propria struttura logica e spirituale.

È la razionalità al servizio della fede, la strategia culturale al servizio della missione, la geometria della mente al servizio della trasformazione interiore. Emerge in modo tangibile l’importanza di costruire dentro di sé un centro solido e strutturato, fatto di consapevolezza, coerenza e logica interiore, pur nel continuo confronto con culture, idee e influenze esterne.

Franco Battiato, che da sempre amava i paradossi creativi,  mostra come anche nella ricerca spirituale più profonda serva una struttura razionale, un ordine geometrico dell’anima, proprio come quello di Euclide.

La crisi collettiva degli anni ’80: le tribù culturali e il bisogno di identità

Il periodo in cui fu scritta Centro di gravità permanente esprime l’essenza di quella generazione, diventa forse il primo vero “manifesto” ideologico e musicale di Franco Battiato, contro il “canto delle sirene” del materialismo e dell’apparenza dell’epoca.

Non dimentichiamo che negli anni ’80 nascono le “tribù culturali” giovanili, ognuna alla disperata ricerca di un’identità. New Romantic, Post punk, New Wave, Dark, Paninari, Ravers e Clubbers, solo per citare alcune delle tribù, denotavano la voglia di una generazione di trovare i propri simboli e i propri miti e appartenerli.

Franco Battiato osserva tutto questo con distacco e lucidità, rifiutando ogni adesione a queste mode e cercando una verità interiore più profonda.

La lezione di Gurdjieff e della “Quarta Via”

Dietro il testo si intravede chiaramente l’influenza della filosofia di Gurdjieff, trasmessa in Occidente dal libro La Quarta Via di P.D. Ouspensky.

Gurdjieff sosteneva che l’uomo vive in uno stato di sonno interiore, frammentato in mille “Io” diversi e contraddittori. Solo attraverso un lungo lavoro su sé stessi, fatto di auto-osservazione e consapevolezza, si può costruire un centro stabile di coscienza, appunto un “centro di gravità permanente”.

La canzone del Maestro Battiato diventa così un invito pop alla consapevolezza esistenziale. La critica alle mode e alla cultura di massa diviene esplicita, non a caso, nel testo il cantautore denuncia ironicamente le mode musicali:

“Non sopporto i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz, punk inglese, neanche la nera africana…”

In tal senso esprime una dichiarazione di indipendenza intellettuale e artistica, una reazione contro la superficialità delle tendenze culturali e musicali.

Tutto ciò diventa evidente nell’ultima parte del testo della canzone, che con la finta love song in inglese, offre  una provocazione consapevole:

You are a woman in love
Baby I need your love
I want your love
Over and over again
Come in into my life
Baby, I want to give you my soul
Baby, I need your love

Sembra emergere nella sua massima evidenza, una critica al vuoto della cultura pop commerciale, in perfetta coerenza con il messaggio del brano.

Un messaggio più attuale che mai

A distanza di oltre quarant’anni, “Centro di gravità permanente” resta un brano attualissimo.
In un’epoca di identità liquide, crisi globali e frammentazione culturale, il bisogno di un centro interiore solido, autentico e non negoziabile è ancora più urgente.

La lezione di Franco Battiato è chiara, il vero lavoro da fare è su sè stessi. Costruire un centro. Non farsi travolgere. Svegliarsi. Essere presenti. Diventare reali.

Come suggeriva Gurdjieff e come Battiato canta, con la sua inconfondibile voce visionaria: “Cerco un centro di gravità permanente.”

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