Sei qui: Home » Intrattenimento » Cinema » “Barbie”, i messaggi del film tra femminismo e patriarcato

“Barbie”, i messaggi del film tra femminismo e patriarcato

Incassi da record sin dalla prima serata al cinema, attori da candidatura agli Oscar e sceneggiatura fresca e potente. "Barbie", il nuovo film di Greta Gerwig, è sulla bocca di tutti. Scopriamo perché.

Sta facendo numeri esplosivi al box office, come mai si era visto negli ultimi anni. Il successo era annunciato ma non così scontato per “Barbie“, l’ultima pellicola diretta dalla talentuosa Greta Gerwig  che, dietro al pink power e all’ambientazione pop e in apparenza frivola, veicola interessanti spunti di riflessione sulla società in cui viviamo.

Barbie, la rivoluzione della bambola pop

La protagonista del film la conosciamo un po’ tutti, chi più, chi meno. La prima fashion doll della storia è entrata in commercio il 9 marzo 1959, ideata da Ruth Handler mentre guardava la figlia Barbara giocare coi suoi bambolotti a cui affibbiava ruoli da adulto. Sebbene il marito di Ruth, cofondatore della casa di giocattoli “Mattel”, all’inizio non fosse convinto al cento per cento dell’idea della moglie, dovette presto ricredersi, perché il primo modello di Barbie vendette 350000 esemplari in un solo anno.

Da quel lontano 1959, Barbie ha percorso un bel po’ di strada. A lei vanno diversi meriti ed altrettante critiche. La fashion doll ha certamente costituito una vera e propria rivoluzione nel mondo del gioco: le bambine, fino al suo arrivo, giocavano per lo più con i bambolotti, assumendo il ruolo che ci si aspettava avrebbero occupato nella società in età adulta: mogli e madri in miniatura, già pronte ad accudire, rassettare, obbedire.

Con Barbie, al centro non c’è più il ruolo sociale precostituito, ma l’aspirazione delle bambine che, giocando con le infinite varietà della bambola in commercio – ce n’è una per ogni professione – si specchiano in un futuro luminoso fatto di sogni e potere. Perché, in fondo, la Barbie può essere anche ritenuta un simbolo del potere femminile, un modo per sovvertire la società maschilista in cui viviamo.

Come in ogni situazione, tuttavia, esiste il rovescio della medaglia: bellissima, magra, bionda, perfetta in tutto, la Barbie è anche un paradosso, una bambola che promuove canoni estetici irraggiungibili, demoralizzando e sminuendo le bambine.

Il film

Ma parliamo del film che è sulla bocca di tutti negli ultimi giorni. Diretto da Greta Gerwig, già celebre e apprezzata per pellicole del calibro di “Ladybird” e “Piccole donne”, e prodotto da David HeymanMargot RobbieTom AckerleyRobbie Brenner, “Barbie” è il primo live action della storia dedicato alla fashion doll.

Si tratta di un racconto di formazione classico che procede sviluppandosi attraverso codici nuovi, dai tratti leggeri, colorati, in apparenza tutt’altro che profondi. Il film vede al centro della scena Barbie Stereotipo, interpretata da una luminosa Margot Robbie. Barbie vive a Barbieland, un luogo che rappresenta il mondo dei sogni delle bambine, la città ideale dove si muovono giochi e fantasie, e dove ogni bambola della Mattel vive in funzione dell’essere umano che gioca con lei.

Per Barbie, “ogni giorno è un giorno perfetto”: la casa dei sogni, il mestiere dei sogni, la vita e le amiche dei sogni. In questo magnifico universo di plastica, perfino le leggi della fisica seguono la realtà ludica: le bambole non scendono giù per le scale, ma saltano giù dalle loro dimore rosa proprio come se fossero guidate dalle mani di una bambina; nuotano in oceani di plastica blu; mangiano e bevono senza che cibo e liquidi siano realmente ingeriti.

E poi c’è Ken, che a Barbieland esiste solo in funzione della fashion doll e, a differenza di quest’ultima, non ha dei tratti definiti in base alla sua professione, ma in base al suo stile. Per lui, il giorno perfetto esiste, ed arriva “quando Barbie lo guarda”. Tutto procede a meraviglia, almeno finché non cominciano ad apparire i primi segni di uno strano malessere nella protagonista, che perde la sua patina di perfezione insieme alla capacità di stare sempre sulle punte dei piedi, comincia ad intravedere i segni della cellulite sulle gambe e fa strani pensieri di morte.

Non vi riveliamo molto altro se non che, per risolvere la questione e tornare alla normalità, Barbie Stereotipo dovrà creare un varco per arrivare al mondo reale e trovare la bambina che gioca con lei, causa dei suoi pensieri negativi e delle sue nuove e terribili imperfezioni.

I livelli di lettura di “Barbie”

In molti si sono recati in sala a vedere “Barbie” pensando ad un live action leggero e un po’ frivolo, perfetto per fare qualcosa di diverso in una calda serata estiva. In realtà, il film cela molto altro, e lo si comprende sin dall’incipit, particolarmente riuscito, che rimanda ad un altro grande successo cinematografico: “2001: Odissea nello spazio”.

Il mondo in cui vive Barbie Stereotipo è l’esatto opposto di quello in cui viviamo noi, e rappresenta appieno il mondo dei sogni delle bambine. Funziona perché le bambole che lo abitano sono convinte che anche il mondo reale funzioni allo stesso modo, che dappertutto le donne possano costruire il loro futuro a immagine e somiglianza dei loro sogni.

Fra i molteplici livelli di lettura che coesistono nella pellicola di Greta Gerwig, il più potente è probabilmente quello della riflessione sulle differenze di genere e sulla rappresentazione dei sessi, tanto nella realtà quanto nella finzione letteraria e cinematografica.

Lo si nota soprattutto quando l’incantesimo che mantiene intatto Barbieland si frantuma all’arrivo della bambola e del suo accompagnatore in California. La realtà è diametralmente opposta al mondo del gioco. Barbie si confronta con un primo pianto liberatorio e doloroso al tempo stesso, mentre Ken trova una ragione di esistere nella scoperta del patriarcato. Barbieland è un mondo femminista e matriarcale tanto quanto il mondo reale è maschilista e patriarcale. Dove sta il giusto? Forse in un’uguaglianza ancora troppo distante da raggiungere?

Un’altra importante chiave di lettura risiede nella forte satira sociale presente in Barbie, nell’affresco di una realtà capitalistica in cui nulla vale più della ricchezza e del potere: lo si vede guardando alla rappresentazione della Mattel, la casa produttrice della celeberrima fashion doll, ma anche nella costruzione frivola, plastica e fortemente materialistica di Barbieland, che nasce dalla mente delle bambine.

I commenti e il gradimento del pubblico

La forza di “Barbie” risiede nel suo essere trasversale, perfetto per tutte le fasce d’età e il tipo di spettatore. Leggero e colorato, critico e satirico, il live action vive di più anime, e in molti hanno sottolineato come valga la pena di vederlo già soltanto per la potenza visiva, la sceneggiatura brillante e i diversi riferimenti cinematografici che si nascondono al suo interno.

Sono arrivate anche diverse manifestazioni di dissenso, dovute al fatto che gli spunti di riflessione critici siano, appunto, soltanto degli spunti e non molto di più. Forse un po’ di politically correct che strizza l’occhio alla critica e alla capacità di attrarre quante più categorie di pubblico possibili? Inoltre, anche la rappresentazione della Mattel sembra quasi frutto di un tentativo di “pulizia d’immagine” utile al mercato.

Sta di fatto che “Barbie” sia un film da vedere in ogni caso, che si colloca molto bene nella carriera di Greta Gerwig e, già solo per le interpretazioni di Robbie e Gosling, le atmosfere, la sceneggiatura e la leggerezza che trasmette, può a diritto essere ritenuto un ottimo prodotto cinematografico. Che poi cerchi di andare un po’ più lontano, nel bene o nel male, ci sembra possa essere soltanto un valore aggiunto.

© Riproduzione Riservata