Nei versi intensi e dolorosi della poesia Torture di Wislawa Szymborska, poetessa polacca premio Nobel per la letteratura nel 1996, si avverte con forza una consapevolezza lucida e amara: la sofferenza umana è una costante nella storia, e in particolare la tortura — forma estrema di violenza fisica e psicologica — rimane immutata nel suo orrore, attraversando epoche e civiltà come un’ombra indelebile.
“Nulla è cambiato.
Il corpo trema, come tremava
prima e dopo la fondazione di Roma,
nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo,
le torture c’erano, e ci sono, solo la terra è più piccola
e qualunque cosa accada, è come dietro la porta.”
Questi versi sono un’accusa universale, ma anche una constatazione impotente. La poetessa non alza il tono, non cerca lo scandalo: parla con pacata freddezza, come chi guarda la realtà e non può che nominarla per quella che è. E proprio questa assenza di retorica, questa asciuttezza, rende il messaggio ancora più potente. La poesia non vuole scioccare: vuole far riflettere.
Wislawa Szymborska e il bisogno di allontanarsi dalla retorica becera
Il primo verso – “Nulla è cambiato” – è una sentenza che pesa come una pietra. In un’epoca che si illude del progresso, della civiltà come garanzia morale, Wislawa Szymborska denuncia una verità scomoda: la sofferenza inflitta all’altro essere umano non è diminuita, non si è evoluta in compassione, non è stata superata dalla storia. È rimasta intatta, resistente al tempo come una malattia incurabile.
La poetessa mette a nudo la fragilità del corpo, il suo tremare oggi come ieri. “Il corpo trema, come tremava prima e dopo la fondazione di Roma”. La storia dell’uomo, con le sue glorie, le sue conquiste, le sue rivoluzioni scientifiche e filosofiche, non ha cambiato il modo in cui un essere umano reagisce al dolore, alla minaccia, alla violenza. Il corpo ha una memoria che attraversa i millenni e la tortura sa risvegliare in lui la paura più antica.
La geografia del male
Ma ciò che davvero colpisce nei versi della Szymborska è questa frase: “solo la terra è più piccola / e qualunque cosa accada, è come dietro la porta.” La poetessa ci dice che il mondo è diventato più piccolo — le distanze si sono accorciate, le notizie viaggiano in tempo reale, Internet ci collega a ogni angolo del pianeta — eppure, la tortura resta invisibile, nascosta “dietro la porta”. È una realtà che sappiamo esistere, ma che preferiamo non vedere.
C’è una denuncia implicita qui, non solo verso chi esercita la violenza, ma anche verso chi sceglie di ignorarla. La società contemporanea, pur avendo accesso a informazioni e testimonianze, mantiene una distanza emotiva: sappiamo, ma non agiamo. È la tragedia dell’indifferenza: le urla soffocate di chi viene torturato sono un’eco che resta dietro la soglia della nostra coscienza.
Il paradosso del progresso
Wislawa Szymborska, come spesso accade nella sua produzione poetica, non ha bisogno di grandi impalcature ideologiche per esprimere il proprio pensiero: le bastano pochi versi per demolire l’illusione del progresso morale. Possiamo aver abolito la schiavitù, scritto dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo, firmato convenzioni internazionali, ma la verità è che la tortura esiste ancora: nei regimi autoritari, nelle carceri segrete, nei campi di prigionia, persino negli interrogatori sotto mentite spoglie.
L’orrore non è mai scomparso: ha solo cambiato forma, ha messo la cravatta, ha preso un linguaggio burocratico, si è nascosto nei luoghi dove la legge non arriva o finge di non vedere. E il corpo, quel corpo tremante di cui parla la poetessa, è il testimone muto di questa persistenza.
La poesia come atto di memoria
Con Torture, Wislawa Szymborska compie un atto civile, ma lo fa con lo strumento più potente e sottile: la poesia. In un tempo in cui l’orrore si consuma nella velocità dei media, nella banalizzazione dell’atroce, la poesia può fermare il tempo e costringere alla riflessione. Quei pochi versi sono come una lente che ci obbliga a guardare da vicino ciò che preferiremmo ignorare.
La sua voce non è quella di un tribunale, ma quella di una coscienza che non può dimenticare. Non chiede vendetta, non invoca giustizia: si limita a ricordare. E proprio questo gesto – il ricordare, il non lasciar passare sotto silenzio – è ciò che fa della poesia un atto etico.
La responsabilità dell’essere umano
I versi di Torture sono un monito e un richiamo. Ci ricordano che, malgrado ogni conquista, l’essere umano resta capace di infliggere sofferenza a un altro essere umano. E ci pongono davanti a una domanda scomoda: che cosa facciamo, noi, di fronte a questa consapevolezza? Siamo capaci di superare l’indifferenza? O restiamo, come suggerisce la poesia, chiusi nelle nostre stanze, mentre dietro la porta si consuma l’ennesima tragedia?
Wisława Szymborska non dà risposte. Ma ci costringe a non dimenticare. E in questo, la sua poesia diventa uno specchio: non del passato, ma del nostro presente.