Nei versi tratti dalla poesia “La ruota”, contenuta nella raccolta Quaranta poesie, William B. Yeats scrive:
“Durante l’inverno invochiamo la primavera,
E in primavera invochiamo l’estate,
E quando le siepi traboccanti risuonano
Diciamo che l’inverno è il migliore di tutti.”
Queste poche righe racchiudono una profonda e universale verità sulla natura umana: il nostro perpetuo scontento, il nostro continuo desiderare altro, il nostro rimpianto per ciò che si è perso o non si è ancora raggiunto. William Yeats, con la sua finezza psicologica e il suo talento nell’estrarre immagini potenti dalla quotidianità, coglie con precisione quel movimento incessante dello spirito umano che, sempre proteso verso un domani ideale, si trova a rimpiangere, nel momento stesso in cui cambia stagione, l’apparente semplicità e bellezza del passato.
William B. Yeats e le contraddizioni dell’essere umano
Nel ciclo delle stagioni, metafora della vita stessa, Yeats intravede l’eterno rincorrersi dei desideri e delle nostalgie. L’inverno, duro e freddo, ci spinge a invocare la rinascita primaverile; eppure, giunta la primavera, l’animo umano già anela ai torridi abbandoni dell’estate. Quando infine la natura trabocca di vita, quando le siepi risuonano di canti e fruscii, è il cuore stesso che, stanco di tanta pienezza, torna a desiderare la quiete malinconica dell’inverno.
Non si tratta semplicemente di un lamento malinconico, ma di una riflessione più ampia sulla condizione umana: l’impossibilità di vivere pienamente il presente. Yeats, con questa poesia, non giudica questa dinamica; la osserva con un misto di ironia e tenerezza, accettandola come parte dell’esperienza universale. Nel suo sguardo, vi è la consapevolezza che l’uomo è fatto così: incapace di fermarsi, sempre in cerca di qualcosa che non può possedere del tutto.
Questa oscillazione continua tra desiderio e rimpianto, tra illusione e disillusione, percorre tutta l’opera di Yeats, ed è inseparabile dalla sua complessa esperienza biografica e intellettuale.
La vita e la formazione di un poeta universale
William Butler Yeats nacque a Dublino nel 1865 e, sin da giovane, si immerse in un mondo culturale profondamente influenzato da correnti simboliste, occultiste e folkloriche. Cresciuto tra l’Irlanda e Londra, Yeats fu inizialmente legato al movimento preraffaellita, alla poesia visionaria di Shelley e alla mistica di William Blake. Ma accanto a queste suggestioni nobili e alte, Yeats si lasciò affascinare anche da correnti più ambigue e nebulose: la teosofia di Madame Blavatsky, l’occultismo, le dottrine ermetiche.
Negli anni della sua giovinezza, Yeats contribuì attivamente al cosiddetto “crepuscolo irlandese”, un movimento letterario che cercava di riscoprire e valorizzare la tradizione mitologica e folklorica dell’Irlanda. Questo primo Yeats, legato a un’immagine idilliaca e sognante del suo paese natale, viene spesso frainteso come poeta esclusivamente nostalgico e provinciale. Ma la sua grandezza sta proprio nell’essere riuscito a superare quei limiti iniziali, trasformando materiali eterogenei – leggende, simbolismi, misticismi – in poesia universale.
Nonostante le sue radici irlandesi, Yeats non si è mai lasciato intrappolare in una dimensione provinciale. Anzi, la sua opera ha saputo trascendere ogni barriera di nazionalità, religione o ideologia politica. La forza istintiva della sua poesia, capace di attingere a una profondità archetipica, ha reso la sua voce una delle più potenti della letteratura inglese degli ultimi secoli, al punto da essere avvicinato ai grandissimi come Shakespeare, Milton e Donne.
Le ombre e le contraddizioni
Non si può parlare di Yeats senza accennare alle ombre che hanno attraversato la sua vita e il suo pensiero. In un certo senso, Yeats visse sempre immerso in una tensione fra aspirazioni altissime e compromessi talvolta discutibili. Nella maturità, la sua visione del mondo si fece più cupa e deterministica: la storia gli appariva come un susseguirsi inevitabile di cicli di ascesa e decadenza. In quest’ottica, il violento individualismo e persino la dittatura sembravano a Yeats manifestazioni inevitabili di una nuova fase storica.
Fu anche per questo che, negli anni Trenta, il poeta mostrò simpatia per certi movimenti autoritari e persino si recò a Roma per parlare all’Accademia d’Italia. Tuttavia, anche in queste scelte Yeats mantenne sempre una distanza critica. Non fu mai un vero ideologo: piuttosto, si può leggere questo suo avvicinamento come l’espressione estrema del suo bisogno di ordine, della sua ossessiva ricerca di una forma che potesse contenere il caos del mondo.
Questa tendenza alla contraddizione si rifletteva anche nei suoi interessi culturali. Pur avendo fondato una società esoterica come l’«Aurora Dorata» e pur credendo nel potere medianico della scrittura automatica della moglie, William Yeats stesso ammise, negli ultimi anni, che considerava tutto il suo complesso sistema cosmologico come una “disposizione stilistica dell’esperienza”, più vicina all’arte astratta che alla verità religiosa.
In fondo, anche nel delirio esoterico, Yeats cercava non il dogma, ma l’immagine poetica: una verità simbolica, non letterale.
La grandezza poetica
A rendere William Yeats un poeta immenso sono stati il suo straordinario senso della forma, la sua capacità di dominare il tumulto delle immagini e dei concetti entro schemi di perfetta armonia, e il suo prodigioso senso della musicalità della parola. I suoi versi, spesso complessi e stratificati, risuonano di ritmi inconsueti ma perfettamente calibrati, e si imprimono nella memoria come melodie antiche.
Inoltre, William Yeats non ha mai perso un certo senso dell’umorismo, un distacco ironico che gli permetteva di sorridere – pur dolorosamente – di sé stesso e del suo stesso bisogno di costruire sistemi, sette, teorie. Questa consapevolezza lo ha salvato dall’autoindulgenza e gli ha consentito di raggiungere, nei suoi ultimi anni, una poesia limpida, dura, fatta di immagini essenziali e potenti.
I versi sul desiderio di nuove stagioni, e il rimpianto del passato, sono lo specchio fedele della visione di William Yeats: una visione in cui l’uomo, consapevole della propria inesausta inquietudine, continua a cercare, a desiderare, a creare. In questo perpetuo moto di tensione tra l’illusione e il disincanto, tra il caos e la forma, sta il miracolo della sua poesia: un miracolo che, ancora oggi, ci parla con voce limpida e necessaria.