In questi versi tratti da Poesia della scure (Song of the Broad-Axe), Walt Whitman esprime con slancio lirico uno dei temi portanti della sua poetica: l’accoglienza della molteplicità e la celebrazione dell’unità nel molteplice. Il poeta americano, tra i più originali e influenti dell’Ottocento, è noto per aver dato voce a un’idea di America inclusiva, democratica, spirituale e profondamente umana. Eppure, la portata di questi versi va ben oltre il confine geografico o storico degli Stati Uniti, abbracciando una visione del mondo che oggi potremmo definire cosmopolita, ecologica e interculturale.
«Benvenute tutte le terre del mondo, con le loro diversità,
Benvenute le terre dei pini e delle querce,
Benvenute le terre dei limoni e dei fichi,
Benvenute le terre dell’oro,
Benvenute le terre del grano e del mais – benvenute quelle dell’uva.»
L’elogio della diversità nei versi di Walt Whitman
Il primo verso — «Benvenute tutte le terre del mondo, con le loro diversità» — apre il passaggio con una dichiarazione programmatica. L’aggettivo “benvenute” si ripete come un’invocazione rituale, come una formula cerimoniale, e indica una disposizione mentale e spirituale all’accoglienza. Walt Whitman non teme la differenza, anzi la cerca, la chiama, la celebra. In un’epoca in cui il concetto di “razza”, di “superiorità culturale” e di “imperialismo” si affermavano con forza nella politica internazionale, egli opponeva una visione inclusiva, nella quale ogni terra, ogni popolo, ogni cultura contribuisce a costruire il volto della civiltà umana.
La parola “diversità” è qui centrale: Whitman la percepisce come una ricchezza, non come una minaccia. Questo atteggiamento anticipa molte riflessioni contemporanee, dall’ecologia alla filosofia della convivenza, dal pensiero postcoloniale al dialogo interreligioso. L’autore di Leaves of Grass ci ricorda che il mondo non è fatto per essere uniforme, ma per essere condiviso nella pluralità.
Il paesaggio come simbolo
Nei versi seguenti, Whitman passa dalla dichiarazione universale all’invocazione concreta di paesaggi specifici: «le terre dei pini e delle querce», «le terre dei limoni e dei fichi», «le terre dell’oro», «del grano e del mais», «quelle dell’uva». Ognuna di queste immagini richiama una zona del mondo, un clima, una cultura agricola, una specificità geobotanica. Non si tratta solo di alberi o colture: si tratta di simboli di appartenenze.
Il pino e la quercia evocano le foreste del nord, resistenti e austere. Il limone e il fico parlano del Mediterraneo, della luce e della dolcezza del sud. L’oro è simbolo delle ricchezze minerarie, forse dell’America o dell’Africa. Il grano e il mais sono le colture dei campi fertili, della nutrizione, della terra madre. L’uva infine richiama la vite, la cultura del vino, la festa e la convivialità.
Whitman costruisce così una geografia poetica in cui ogni elemento è parte di un’armonia universale. Le terre diventano persone da salutare, da ringraziare, da accogliere. È una sorta di liturgia laica della Terra e dei suoi frutti, in cui la poesia assume una funzione rituale e sacra.
Una visione democratica della poesia
La Poesia della scure, da cui provengono questi versi, è uno dei testi più emblematici di Whitman, in quanto coniuga l’idea della costruzione della nazione americana con una riflessione più ampia sul lavoro umano e sulla creazione poetica. La scure, strumento di abbattimento ma anche di costruzione, diventa metafora dell’azione poetica: tagliare, scolpire, plasmare, edificare.
In questo contesto, l’accoglienza di tutte le terre si collega all’ideale democratico che Whitman ha sempre perseguito. La poesia, come la scure, lavora per costruire un mondo nuovo, fatto non di gerarchie ma di coesistenza, non di dominio ma di cooperazione. La scure diventa simbolo dell’uomo che trasforma, ma anche della parola che modella la realtà.
Un messaggio per il presente
I versi di Whitman risuonano oggi con una forza rinnovata. In un tempo segnato da crisi ecologiche, conflitti geopolitici, migrazioni forzate e rigurgiti nazionalistici, questa poesia ci invita a una visione opposta: quella dell’apertura, dell’accettazione, della gratitudine per la varietà del mondo.
Nella ripetizione del “benvenute” c’è una gentilezza ostinata, una volontà di dire sì al mondo anche nella sua complessità. Non si tratta di un semplice elogio del multiculturalismo, ma di una vera e propria teologia della Terra, dove ogni pezzo del pianeta ha un valore intrinseco, indipendente dalla sua utilità economica o strategica.
«Benvenute tutte le terre del mondo, con le loro diversità»: questi versi di Walt Whitman sono un inno alla pluralità, alla vita e alla poesia come strumenti di comunione. In un mondo che rischia di chiudersi per paura del diverso, la voce di Whitman ci ricorda che solo accogliendo possiamo davvero costruire. Accogliere le terre, accogliere i popoli, accogliere le culture — e accogliere la poesia come linguaggio universale della fratellanza umana.