I versi iniziali della poesia “Domenica dopo la guerra” di Vittorio Sereni racchiudono una delle immagini più dense e struggenti della poesia italiana del secondo Novecento. In pochi versi, Sereni riesce a condensare una molteplicità di esperienze collettive e personali: la fine del conflitto, la possibilità di rinascita, il trauma della guerra, la speranza intima e universale che, anche dopo tanta distruzione, qualcosa possa fiorire di nuovo.
“Per due che si ritrovano in una
domenica dopo la guerra
allora può
rifiorire il deserto del mare?”
La cornice storica e personale di Vittorio Sereni
Per comprendere pienamente il significato di questi versi, è importante tenere presente la biografia dell’autore e il contesto storico in cui scrive. Vittorio Sereni (1913-1983), poeta, traduttore, intellettuale raffinato, visse in prima persona l’esperienza della Seconda guerra mondiale: venne fatto prigioniero dagli Alleati in Tunisia nel 1943 e internato in campi di prigionia in Algeria e Marocco fino al 1945. Questo vissuto personale segna profondamente la sua opera, in particolare la raccolta “Diario d’Algeria” (1947), da cui è tratta “Domenica dopo la guerra”.
La poesia si colloca dunque in una dimensione postbellica, in un’Italia ancora ferita, ma che tenta di risollevarsi, di ritrovare se stessa. È in questo scenario di rovina e rinascita che due persone – due amanti, due amici, due sopravvissuti – si incontrano in una domenica qualunque, ma anche eccezionale, perché segnata da una nuova possibilità di vita.
Il “deserto del mare”
Uno degli elementi più affascinanti dei versi è l’immagine paradossale del “deserto del mare”. Il mare, per antonomasia simbolo di fluidità, vastità e movimento, viene qui descritto come un deserto: arido, vuoto, ostile. Si tratta di un ossimoro che riflette lo stato interiore dei protagonisti e, per estensione, dell’intero dopoguerra. Il mare-deserto è l’esperienza della perdita, del tempo sospeso, del trauma che ha svuotato i luoghi della loro vita quotidiana, rendendoli irriconoscibili.
Ma il verso si spinge oltre: “allora può / rifiorire il deserto del mare?” — una domanda, non un’affermazione. È l’interrogativo centrale del testo: può davvero rinascere qualcosa là dove tutto sembrava perduto? Può la vita, nel suo senso più profondo, rigenerarsi? È la speranza, fragile ma tenace, che trapela in questi versi: la possibilità che, nell’incontro umano, nel ritrovarsi, anche ciò che era inaridito possa tornare a dare frutto.
Il tema del ritrovarsi
Il ritrovarsi, “per due che si ritrovano”, è l’azione che innesca tutta la poesia. Non si tratta di un incontro occasionale, ma di un evento esistenziale. Dopo la disgregazione, la fuga, la morte, il ritorno all’altro è già di per sé una forma di resistenza. In quella “domenica dopo la guerra”, la giornata del riposo e della tregua per eccellenza, si apre uno spiraglio di normalità, ma anche di intimità. L’elemento amoroso è solo accennato, ma è presente, ed è proprio nell’amore – in tutte le sue forme – che Sereni sembra individuare un possibile punto di partenza.
Non a caso, i protagonisti non sono l’intera collettività, ma due persone: la rinascita, per quanto incerta, non comincia da progetti grandiosi o istituzionali, ma da un gesto piccolo, umano, reale.
Il linguaggio della fragilità
La poesia è dominata da un linguaggio essenziale, spezzato, frammentato. La disposizione stessa dei versi crea una sospensione, un ritmo meditativo, come se le parole faticassero a uscire dopo tanta violenza. È il linguaggio della fragilità, della domanda che non pretende risposta, ma che ha bisogno di essere posta. Il tono non è enfatico, né eroico: è discreto, sommesso, come chi parla a bassa voce, dopo aver attraversato l’irreparabile.
Questa modalità espressiva è tipica della poetica di Sereni, che rifiuta ogni retorica, anche quella del dolore, per costruire un discorso lirico e umano dove l’essenziale trova spazio tra i silenzi e le omissioni.
Una speranza cauta
In definitiva, i versi iniziali di “Domenica dopo la guerra” offrono una visione cautamente speranzosa della condizione umana nel dopoguerra. Non c’è trionfalismo, ma neanche disperazione. La domanda finale resta aperta: il mare-deserto potrà rifiorire? Sereni non risponde. Lascia che siano i lettori a completare, ciascuno nel proprio vissuto, quel movimento poetico.
Nella sua semplicità, la poesia tocca corde profonde: la solitudine dell’uomo, il bisogno di legami, la forza dell’incontro, la possibilità di riscatto anche dopo le catastrofi. In un tempo come il nostro, segnato da nuove guerre e nuove ferite, queste parole di Sereni continuano a parlarci, a suggerire che forse, se ci ritroviamo, se ci riconosciamo, il deserto del mare può rifiorire. Anche oggi.