I versi di Vittorio Sereni sugli amori che vanno e vengono

5 Novembre 2025

Leggiamo assieme questi versi di Vittorio Sereni tratti dalla sua poesia "Un posto di vacanza" in cui si narra degli amori che muoiono e rinascono.

I versi di Vittorio Sereni sugli amori che vanno e vengono

Nei versi di Vittorio Sereni tratti da Un posto di vacanza si manifesta una delle immagini più potenti e dolorose dell’amore nella poesia italiana del Novecento. L’amore, in Sereni, non è mai un sentimento pacificato, né una dimensione idealizzata o pura: è un campo di forze contrastanti, dove si intrecciano desiderio e perdita, ricordo e rimpianto, presenza e assenza. In questi versi, l’autore mette in scena la tensione eterna e universale tra la spinta del cuore e la consapevolezza della sua inevitabile sconfitta.

«È il teatro di sempre, è la guerra di sempre.
Fabbrica desideri la memoria,
poi è lasciata sola a dissanguarsi
su questi specchi multipli»

Vittorio Sereni e l’amore che muore e rinasce

La prima frase, «È il teatro di sempre, è la guerra di sempre», stabilisce da subito un tono di riconoscimento e di stanchezza. Sereni parla di un “teatro” e di una “guerra” che si ripetono in eterno: due metafore complementari che evocano la rappresentazione e il conflitto, la finzione e la violenza. L’amore è teatro, perché ogni volta si mette in scena con ruoli, gesti e parole che sembrano nuovi ma che, in realtà, ripetono un copione antico; è guerra, perché comporta inevitabilmente lo scontro, la vulnerabilità, il rischio della ferita.

In questa doppia immagine si riflette il sentimento disincantato di Sereni verso l’esperienza amorosa, che pure continua a esercitare un fascino irresistibile. Il poeta sa che l’amore è una storia già scritta, un dramma senza fine, e tuttavia continua a lasciarsi coinvolgere, come se ogni volta potesse esserci qualcosa di diverso, un varco inatteso nella ripetizione. È qui che si riconosce la modernità di Sereni: nella coscienza che l’amore, pur nella sua circolarità e nelle sue delusioni, resta un bisogno ineliminabile, una forma di resistenza al tempo e all’oblio.

Il secondo verso – «Fabbrica desideri la memoria» – introduce la figura centrale di questa lirica: la memoria, intesa non come semplice ricordo, ma come forza generativa, creativa, capace di dare forma al desiderio. È la memoria che “fabbrica” ciò che si desidera, che ricostruisce e reinventa gli amori perduti, trasformando il passato in una sorgente inesauribile di immagini e di illusioni. Tuttavia, questa “fabbrica” è anche un inganno: il desiderio prodotto dalla memoria è un desiderio senza oggetto reale, un moto che si consuma in sé stesso.

Sereni, come spesso accade nella sua poesia, sembra dire che l’amore vive soprattutto nel ricordo, e che il ricordo, a sua volta, vive di ciò che non c’è più. La memoria non conserva fedelmente, ma trasforma, idealizza, inventa. In questo senso, la “fabbrica dei desideri” è anche la fabbrica delle mancanze: ogni volta che ricordiamo, ricreiamo un’assenza, e nel farlo riaccendiamo la ferita.

Il terzo verso – «poi è lasciata sola a dissanguarsi» – segna la svolta tragica della poesia. La memoria, dopo aver creato i suoi fantasmi, viene abbandonata, lasciata “a dissanguarsi”, come un corpo che ha dato tutto il suo sangue al sogno e ora non ha più vita propria. È un’immagine di straordinaria intensità: la memoria, che sembrava potere salvare, diventa invece la vittima del suo stesso lavoro. La nostalgia, che in un primo momento sembrava dolce, si trasforma in dolore puro, in un lento esaurirsi della forza vitale.

Il verbo “dissanguarsi” richiama il tema della perdita e della consunzione, ma anche quello del sacrificio: la memoria, come l’amore, si consuma per mantenere viva un’immagine che non può più essere reale. Sereni suggerisce così che amare significa anche accettare questa logica crudele del tempo: l’amore non muore mai del tutto, ma sopravvive come eco, come riflesso, come desiderio che non si estingue, e proprio per questo continua a far soffrire.

L’ultimo verso – «su questi specchi multipli» – chiude la scena con una visione di frammentazione. Gli “specchi multipli” sono le superfici su cui la memoria si riflette e si moltiplica, deformando e moltiplicando le immagini del passato. Non c’è più un unico volto, un unico ricordo: tutto si rifrange, si sdoppia, si confonde. È la condizione dell’uomo moderno, prigioniero delle sue immagini, incapace di distinguere tra ciò che è stato e ciò che il desiderio continua a immaginare.

Questi specchi non restituiscono la realtà, ma un labirinto di riflessi, in cui la memoria continua a perdersi. L’amore, così, diventa un gioco di illusioni che si rincorrono all’infinito, e ogni tentativo di afferrarne l’essenza si infrange contro una superficie che rimanda soltanto nuove apparenze. È in questo senso che la poesia di Sereni è profondamente metaforica: parla dell’amore, ma allo stesso tempo parla dell’esperienza umana più generale, del nostro modo di rapportarci al passato, al tempo e alla perdita.

In Un posto di vacanza, Sereni costruisce un mondo in cui la memoria è il luogo della sopravvivenza e del dolore, e l’amore ne è la figura più intensa e più fragile. Questi versi condensano la sua visione più matura: un amore che non salva, ma che resiste; una memoria che non consola, ma continua a produrre desiderio, come una macchina instancabile che alimenta il bisogno di ciò che non si può più avere.

Così, nel “teatro di sempre” e nella “guerra di sempre”, l’amore si rivela per quello che è: una forma di eterna illusione, un movimento che, pur conoscendo la sua fine, non può smettere di ricominciare. E in questa consapevolezza dolorosa ma lucida, Sereni ci consegna una delle più alte e veritiere metafore dell’amore nella poesia italiana contemporanea.

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