Vittoria Colonna (1490-1547) è una delle figure più affascinanti del panorama letterario del Rinascimento italiano. Poetessa di straordinaria sensibilità, espressione della lirica petrarchesca declinata al femminile, Colonna è nota per la sua produzione poetica dedicata al marito, il marchese di Pescara, e per la sua profonda spiritualità. Nei suoi versi, il dolore, l’amore e la fede si intrecciano in un’intensa meditazione esistenziale, come avviene nel sonetto LXXVI, dal quale sono tratti i versi:
Prima ch’io giunga al mezzo della strada
Del nostro uman viaggio, il fin pavento:
Ma dolce sì nella memoria ‘l sento
Passar, che questo amaro ancor mi aggrada,E perchè nel cammin non pieghi o cada
Sotto il peso, non muovo il passo lento
Dietr’a quel mio gransol, ch’è sempre intento
Col suo lume a mostrarmi ove ch’io vada.
Vittoria Colonna e il mezzo del cammin di sua vita
In questi otto versi, ovvero le prime due quartine del sonetto, Vittoria Colonna costruisce un’immagine del viaggio umano che richiama la tradizione letteraria dantesca e petrarchesca, con una forte componente spirituale. Analizzando il testo, emergono due temi principali: il timore della fine della vita e il sostegno della fede come guida sicura nel cammino dell’esistenza.
L’incipit richiama immediatamente uno dei versi più celebri della letteratura italiana: Nel mezzo del cammin di nostra vita di Dante Alighieri (Inferno, I, 1). Il riferimento è evidente, ma Vittoria Colonna introduce subito una variazione personale. Se Dante si trova nel punto centrale della vita, smarrito in una “selva oscura”, Colonna invece parla di un momento precedente: prima ch’io giunga al mezzo della strada, sottolineando il timore di ciò che la attende. Il “fin pavento” è un’ammissione di paura per la morte, che appare come un destino inevitabile e inquietante.
Tuttavia, accanto a questa paura, la poetessa introduce un contrasto sorprendente: il passato è dolce nella memoria, tanto che anche l’amarezza del presente (questo amaro) diventa sopportabile e, in un certo senso, persino gradita. L’ossimoro che emerge – il dolore che diventa accettabile grazie al ricordo – è una raffinata espressione del sentimento umano, che si nutre di memorie piacevoli per affrontare le difficoltà del presente.
Questo passaggio evidenzia una sensibilità petrarchesca: la tensione tra gioia e dolore, tra il passato felice e il presente gravoso, è un motivo ricorrente nel Canzoniere di Petrarca, che spesso riflette sulla fugacità del tempo e sulla nostalgia per un amore irraggiungibile. Vittoria Colonna, tuttavia, rielabora questa tensione in chiave più spirituale, come si vede nella seconda parte del brano.
Nei versi successivi, la poetessa introduce l’immagine del viaggio come percorso di fatica e rischio: E perchè nel cammin non pieghi o cada sotto il peso, non muovo il passo lento. Qui si avverte il senso del peso della vita, un cammino faticoso che può condurre alla caduta. Tuttavia, Colonna afferma con decisione che non rallenta il passo, suggerendo una determinazione interiore che la sostiene.
La chiave della sua forza risiede nella figura del gransol, cioè il “grande sole”, metafora della divinità o della fede. L’immagine della luce che illumina il cammino è fortemente biblica e richiama la funzione guida della spiritualità nella vita dell’uomo. Il sole, costantemente intento a mostrare la via, rappresenta una presenza costante e rassicurante, un riferimento assoluto che impedisce alla poetessa di perdersi.
Questo aspetto spirituale distingue la poesia di Vittoria Colonna dalla lirica amorosa petrarchesca: se per Petrarca l’oggetto di devozione è Laura, e la tensione è tra amore terreno e desiderio di elevazione spirituale, per Colonna la tensione è risolta nella fede cristiana, che diventa guida e conforto.
L’eredità di Dante e Petrarca
Il tema del cammino della vita, della paura della morte e della guida spirituale è profondamente radicato nella letteratura italiana. Dante, con la sua Divina Commedia, aveva costruito un percorso di salvezza attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, sottolineando come la guida di Virgilio prima e di Beatrice poi fossero fondamentali per non perdersi.
Petrarca, invece, nel suo Canzoniere, aveva esplorato il tema della fragilità umana, dell’inquietudine e della ricerca di un senso in una vita segnata dall’assenza e dalla malinconia. Vittoria Colonna raccoglie entrambe queste tradizioni e le fonde in una visione profondamente personale, dove il cammino è allo stesso tempo fisico e spirituale, e dove la guida della fede diventa la chiave per affrontare l’inevitabilità della fine.
I versi del sonetto LXXVI di Vittoria Colonna offrono una riflessione intensa sul significato della vita e sul ruolo della memoria e della fede nel percorso esistenziale. Il contrasto tra il timore della fine e la dolcezza del ricordo, unito alla ferma convinzione che la fede possa illuminare il cammino, rende questa poesia un esempio straordinario di lirismo spirituale.
In un mondo in cui l’incertezza e la paura della fine sono temi universali, la voce di Vittoria Colonna risuona ancora oggi con forza. La sua poesia, radicata nella tradizione ma profondamente personale, ci invita a riflettere sul valore della memoria, sulla forza dell’animo umano e sulla possibilità di trovare una guida sicura nella nostra esistenza.