I versi di Vittoria Colonna, tratti dal sonetto CXXXVIII, rappresentano uno dei momenti più toccanti della poesia della poetessa rinascimentale. Questi versi parlano di perdita, di dolore e dell’impatto che l’assenza della persona amata ha sulla vita dell’autrice.
Con uno stile profondamente introspettivo, Vittoria Colonna esprime il senso di vuoto e di malinconia che permea la sua esistenza ora che l’amore della sua vita non è più accanto a lei.
Sovente Amor, che mi sta sempre a lato,
“Mi dice: Miserella, quale or fia
La vita tua, poi che da te si svia
Lui che soleva far lieto il tuo stato?”
Il dardo d’Amore colpì anche Vittoria Colonna
Questi versi riflettono l’esperienza personale di Vittoria Colonna, vedova di Ferrante d’Avalos, Marchese di Pescara, che morì in giovane età. Colonna è celebre per la sua poesia dedicata alla memoria del marito e alla sofferenza provocata dalla sua assenza. In questi versi, ella descrive l’esperienza della perdita come una conversazione silenziosa con “Amor”, che le sta accanto come una sorta di compagno fedele, ma anche doloroso, poiché le ricorda costantemente la sua solitudine.
“Amor” non è più solo il sentimento d’amore o la figura mitologica, ma diventa una voce interiore che sussurra alla poetessa domande angoscianti e retoriche sulla sua futura esistenza. Questo “Amor” la accompagna come un’ombra, rappresentando tanto la memoria di un passato felice quanto la consapevolezza del presente malinconico. La domanda “quale or fia / La vita tua” indica un’incertezza profonda e la paura di un futuro senza gioia, poiché il marito, colui che rendeva lieta la sua vita, si è allontanato da lei per sempre.
Vittoria Colonna si inserisce nella tradizione dell’amore cortese e dell’amor platonico, ma con un’interpretazione personale e profondamente sentita. Nella tradizione medievale e rinascimentale, l’amore era spesso idealizzato, visto come un sentimento nobile che eleva l’anima e il pensiero. Tuttavia, in Colonna, l’amore diventa anche un’esperienza concreta di sofferenza e vuoto. La figura del marito, ormai scomparso, non è solo l’oggetto di un amore spirituale, ma è anche il ricordo di una felicità terrena ormai perduta.
L’amore cortese, nelle opere di altri poeti, era spesso legato alla speranza e alla devozione verso una dama lontana, o all’adorazione di una figura ideale. In questo caso, invece, Colonna scrive dell’amore come di un dolore che accompagna e che si manifesta nella quotidianità dell’assenza. Non c’è più speranza di rivedere l’amato: c’è solo un “Amor” che rimane come memoria di un passato che non tornerà.
Uno degli aspetti più interessanti di questi versi è la presenza di una “voce” interiore che parla alla poetessa, dando voce ai suoi dubbi e alla sua sofferenza. Questo dialogo interno è un tratto tipico della poesia introspettiva di Colonna, che esplora il proprio dolore come mezzo per comprendere meglio se stessa e la propria esistenza. “Amor”, dunque, è sia il sentimento che prova, sia una sorta di coscienza che le fa domande, quasi a volerla costringere a riflettere su cosa significhi continuare a vivere senza la persona amata.
La poetessa si descrive come “Miserella,” termine che sottolinea la sua condizione di vulnerabilità e sofferenza. Colonna non è solo una vedova, ma una donna che sente profondamente la solitudine e la perdita, rendendo questo dolore una parte centrale della propria identità. L’uso di un linguaggio semplice ma emotivamente denso permette al lettore di percepire l’intensità di questa sofferenza e di entrare in empatia con la poetessa.
La malinconia come tema centrale
La malinconia è uno dei temi principali della poesia di Vittoria Colonna e si manifesta pienamente in questi versi. La perdita della persona amata non è solo un evento isolato, ma una condizione permanente che trasforma ogni aspetto della vita. Questa malinconia pervade la sua esistenza e diventa un filtro attraverso il quale ella guarda al mondo. Colonna non può fare a meno di soffrire, poiché l’amore che provava per il marito è ancora vivo, sebbene non possa più essere corrisposto.
In questo contesto, la malinconia non è solo dolore, ma anche una sorta di devozione all’amato. È un modo per tenere vivo il ricordo del marito e per continuare a nutrire quel sentimento, anche in assenza di un riscontro concreto. La poetessa sembra quasi trovare conforto nella sofferenza, poiché attraverso di essa riesce a mantenere un legame con l’amato defunto.
Questi versi sono un esempio della profondità emotiva e della delicatezza con cui Vittoria Colonna tratta il tema dell’amore e della perdita. La sua poesia si distingue per la sua autenticità e per la capacità di esprimere sentimenti complessi in maniera diretta e accessibile. Colonna è una delle poche poetesse del Rinascimento italiano ad aver ottenuto riconoscimento e stima dai suoi contemporanei, grazie alla sua abilità di trasmettere emozioni profonde senza retorica.
In questi versi, ella riesce a cogliere l’essenza della sua sofferenza, rendendola universale. Il lettore può identificarsi con la sua esperienza di perdita, riconoscendo in essa un sentimento comune e condivisibile. La sua poesia non è solo un omaggio al marito defunto, ma anche una meditazione sull’amore, sulla solitudine e sul significato della vita dopo una perdita irreparabile.
La frase “quale or fia / La vita tua” riassume il senso di vuoto e di incertezza che domina la poesia di Vittoria Colonna. La sua opera rappresenta una riflessione sulla fragilità della felicità e sulla caducità delle gioie terrene. In un certo senso, Colonna anticipa i temi della poesia moderna, dove l’interiorità e la sofferenza diventano centrali, e dove il mondo esterno è solo uno sfondo su cui si proiettano le emozioni umane.
I versi di Vittoria Colonna offrono al lettore una visione intima e sincera della sua esperienza di perdita, trasformando il dolore in una forma di bellezza e di profondità emotiva. La sua poesia è un esempio di come l’arte possa dare voce alle emozioni più intime e aiutare a comprendere il significato della sofferenza e della nostalgia. Anche oggi, le sue parole risuonano come un richiamo alla bellezza dell’amore e alla difficoltà di accettare la sua assenza, ricordandoci la potenza eterna dei sentimenti umani.
Ecco qui l’intero sonetto sonetto CXXXVIII
Sovente Amor, che mi sta sempre a lato,
Mi dice: Miserella, quale or fia
La vita tua, poi che da te si svia
Lui che soleva far lieto il tuo stato?Io gli rispondo: E tu perchè mostrato
L’hai a questi occhi, quando il vidi pria,
Se ne dovea seguir la morte mia,
Subito visto e subito rubato?Ond’ei si tace, avvisto del suo fallo,
Ed io mi resto preda del mio male,
Quanto mesta e vogliosa il mio cor sallo!E, perch’io preghi, il mio pregar non vale,
Per ciò che a chi devrebbe ed a chi fállo
O poco o nulla del mio danno cale.