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La frase di Vincenzo Consolo che unisce prosa e poesia

Questo incipit rappresenta un esempio perfetto del modo in cui  Vincenzo Consolo manipola la lingua per creare un ritmo ipnotico, in cui la prosa si trasforma in poesia.

Vincenzo Consolo, uno dei più significativi scrittori italiani del Novecento, ha saputo coniugare in modo magistrale la prosa con il ritmo della poesia, creando opere di straordinaria intensità lirica e profondità simbolica. Una delle sue creazioni più emblematiche in questo senso è “Retablo” (1987), un romanzo che si distingue per la ricchezza del linguaggio e l’intreccio di suggestioni storiche e culturali. Questo romanzo rappresenta un esempio perfetto del modo in cui  Vincenzo Consolo manipola la lingua per creare un ritmo ipnotico, in cui la prosa si trasforma in poesia.

“Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha ròso, il mio cervello s’è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia”

Vincenzo Consolo e il valore assoluto della lingua

La rosa, da sempre simbolo universale di bellezza, amore e passione, assume in questa frase una valenza multipla e ambigua. Nella tradizione letteraria e poetica, la rosa è un fiore che può rappresentare tanto la purezza quanto la tentazione, il piacere ma anche il dolore. Nelle mani di Consolo, la rosa diventa un simbolo polisemico che racchiude una molteplicità di significati, tutti legati all’esperienza umana.

La ripetizione del nome “Rosa” seguito da una serie di verbi al passato (inebriato, confuso, sventato, ròso) sembra quasi un ritornello, un mantra che porta con sé un’ossessione, una fascinazione che non si esaurisce. La rosa è vista in tutte le sue manifestazioni, non solo come fiore ma come esperienza sensoriale ed emotiva, capace di inebriare, confondere, distruggere e, alla fine, annientare. Questo accostamento di immagini crea una sinfonia di suoni e significati, dove la ripetizione e l’allitterazione accentuano l’effetto ipnotico del linguaggio.

Il valore delle parole in “Retablo”

In “Retablo”, Consolo fa un uso intensivo della parola come strumento di evocazione. La parola diventa suono, colore, odore. Nella frase citata, la rosa non è più solo un fiore, ma si trasforma in altre essenze, altre piante (datura, gelsomino, bàlico, viola, pomelia, magnolia, zàgara, cardenia). Ogni nome evoca un mondo sensoriale differente, e insieme creano un paesaggio immaginario e reale, che è al tempo stesso suggestivo e perturbante.

Consolo utilizza le parole come pennellate di colore in un quadro, creando una sinestesia tra i sensi: la vista, l’olfatto, l’udito, il gusto si fondono in un’unica esperienza estetica. Questa tecnica, che richiama le descrizioni poetiche dei simbolisti e degli scrittori decadenti, sottolinea l’idea che la realtà non è monolitica, ma si compone di sfaccettature infinite, di percezioni soggettive e mutevoli.

Uno degli aspetti più inquietanti e significativi della frase è l’immagine del cervello “che si è mangiato”. Qui la rosa non è più soltanto un fiore, ma diventa un agente di distruzione, un simbolo della follia, dell’ossessione che corrode dall’interno. Questa metafora suggerisce che l’amore, o più in generale il desiderio, può essere tanto creativo quanto distruttivo. Il cervello, organo del pensiero e della razionalità, viene consumato dall’emozione e dalla passione, lasciando l’individuo privo di controllo, alla mercé dei propri sentimenti più oscuri.

La fusione tra poesia e prosa

La frase di Vincenzo Consolo rappresenta un perfetto esempio di fusione tra poesia e prosa. Il ritmo, le ripetizioni, le allitterazioni e le assonanze, insieme alla ricchezza lessicale, fanno sì che la prosa si avvicini al linguaggio poetico. Non c’è una netta separazione tra i due generi, ma piuttosto un dialogo continuo, in cui la prosa acquisisce il lirismo della poesia e la poesia la narrazione della prosa. Questo stile ibrido è una delle caratteristiche distintive di Vincenzo Consolo, che gli permette di esplorare tematiche complesse e universali in modo originale e profondamente evocativo.

La frase di Vincenzo Consolo tratta da “Retablo” è un esempio brillante di come la prosa possa trasformarsi in poesia attraverso l’uso sapiente del linguaggio. La rosa, simbolo centrale della frase, si moltiplica in significati e immagini, diventando allo stesso tempo bellezza e distruzione, piacere e follia. Vincenzo Consolo ci invita a riflettere sulla natura ambigua della realtà, dove ogni esperienza sensoriale ed emotiva può portare con sé tanto il sublime quanto il terribile. In questo modo, “Retablo” si afferma come un’opera in cui la parola diventa strumento di esplorazione poetica, capace di svelare le profondità dell’animo umano.

La rosa, da sempre simbolo universale di bellezza, amore e passione, assume in questa frase una valenza multipla e ambigua. Nella tradizione letteraria e poetica, la rosa è un fiore che può rappresentare tanto la purezza quanto la tentazione, il piacere ma anche il dolore. Nelle mani di Vincenzo Consolo, la rosa diventa un simbolo polisemico che racchiude una molteplicità di significati, tutti legati all’esperienza umana.

La ripetizione del nome “Rosa” seguito da una serie di verbi al passato (inebriato, confuso, sventato, ròso) sembra quasi un ritornello, un mantra che porta con sé un’ossessione, una fascinazione che non si esaurisce. La rosa è vista in tutte le sue manifestazioni, non solo come fiore ma come esperienza sensoriale ed emotiva, capace di inebriare, confondere, distruggere e, alla fine, annientare. Questo accostamento di immagini crea una sinfonia di suoni e significati, dove la ripetizione e l’allitterazione accentuano l’effetto ipnotico del linguaggio.

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