I versi di Franco Arminio su un Aprile che sta finendo

27 Aprile 2025

Franco Arminio, con questi versi tratti dalla sua raccolta di poesie "Cedi la strada agli alberi" ci introduce in una scena d'amore materica, viscerale.

I versi di Franco Arminio su un aprile che sta finendo

In questi versi tratti dalla raccolta “Cedi la strada agli alberi“, Franco Arminio ci accompagna in un’esperienza profondamente intima e al tempo stesso aperta al mondo:

“Ti attraverso in questo giorno d’aprile
in questa luce ampia, ventilata e spinosa.
Sento che siamo arrivati ai giorni semplici,
sento che mi hai tenuto qui ad allenarmi
e ora mi concedi di entrare in te,
di farmi sentire il tuo fiato
che sa di pietra e argilla.”

Franco Arminio e l’amore come regno naturale

Si tratta di una poesia che raccoglie molte delle caratteristiche fondamentali della poetica di Franco Arminio: la relazione con il paesaggio, l’intimità del sentire, la spiritualità laica che si manifesta nel contatto con la natura e le cose semplici. Ma qui, più che altrove, emerge anche la sensazione di un ritorno e di una conquista faticosa e sacra. Il poeta si rivolge a una presenza che sembra essere insieme paesaggio e figura femminile, terra e corpo, tempo e sentimento.

Il primo verso, “Ti attraverso in questo giorno d’aprile”, ci introduce immediatamente in un gesto che è sia fisico che simbolico. Il verbo “attraversare” suggerisce un cammino, un passaggio, una soglia. Ma cosa sta attraversando il poeta? Un luogo? Un corpo? Un’anima? Tutto questo insieme.

Nel giorno d’aprile, in una stagione di passaggio e risveglio, l’“attraversamento” si carica di una valenza esistenziale: attraversare l’altro, il mondo, la natura, è anche attraversare se stessi. Aprile, mese di transizione, richiama la rinascita, la possibilità di un nuovo inizio, la luce che rompe l’inverno. E quella luce è definita in modo straniante: “ampia, ventilata e spinosa”. Non è una luce pacifica: ha un aspetto dinamico, in movimento, e anche pungente. È una luce che porta vita ma anche verità, forse anche dolore.

Nel verso “Sento che siamo arrivati ai giorni semplici”, Arminio enuncia un concetto chiave della sua poetica: la semplicità come traguardo. Non si tratta, però, di un idillio nostalgico o ingenuo. I giorni semplici non sono facili: sono il risultato di un processo, di un allenamento, come suggerisce il verso successivo. La semplicità, in Arminio, è sempre conquista: è un modo di stare nel mondo con consapevolezza, con attenzione, con gratitudine.

“Sento che mi hai tenuto qui ad allenarmi”: è un’immagine potentissima. La vita, o forse la natura, o ancora una persona amata, ha trattenuto il poeta, lo ha spinto ad attendere, a prepararsi. Questo “allenamento” richiama il valore dell’esperienza, della resistenza, della lentezza. Nulla si raggiunge in modo immediato. L’apertura, il contatto autentico, arrivano solo dopo un percorso, dopo una prova.

L’ingresso nell’altro come sacralità

“E ora mi concedi di entrare in te”: il tono qui diventa quasi liturgico. L’altro – sia esso persona, luogo, terra – “concede” l’ingresso. Non è un’azione violenta o automatica. C’è una reciprocità, una benevolenza. L’atto di entrare non è possesso, ma dono. Questo verso, centrale nella poesia, evoca una forte sacralità: entrare nell’altro è entrare in una dimensione sacra, spirituale, che richiede rispetto, preparazione, cura.

E subito dopo, “di farmi sentire il tuo fiato / che sa di pietra e argilla.” Qui si compie il miracolo poetico. Il fiato è quanto di più intimo esista: è la vita stessa, il respiro. Sentire il fiato dell’altro significa percepirne l’anima, la presenza più profonda. Ma quel fiato non è astratto: ha l’odore concreto della pietra e dell’argilla. È la materia della terra, è il corpo del mondo.

Terra, corpo e poesia

L’unione tra pietra e argilla è emblematica. La pietra è solida, dura, resistente. L’argilla è malleabile, viva, pronta a trasformarsi. Insieme evocano la dualità della condizione umana: fermezza e fragilità, resistenza e trasformazione. Il fiato dell’altro – o della terra, o del tempo – sa di queste due sostanze fondamentali. E allora la poesia si fa luogo di riconciliazione tra l’umano e il naturale, tra l’individuo e il paesaggio.

Franco Arminio ha spesso definito sé stesso come “paesologo”, un poeta che osserva, ascolta, documenta la vita dei piccoli paesi, delle terre marginali, della provincia. In questa poesia, però, la paesologia diventa ontologia: l’incontro con la terra è l’incontro con l’essere, con il tempo, con l’amore.

I versi di Arminio ci insegnano una cosa essenziale: la semplicità è un approdo. È la meta di un percorso in cui si impara ad abitare il mondo, a respirarlo, ad attraversarlo senza distruggerlo. La poesia diventa allora una forma di ecologia interiore, un modo per ristabilire il contatto con ciò che è vero, essenziale, vivo.

In questo giorno d’aprile, in questa luce che punge e accarezza, il poeta ci invita ad attraversare il mondo con rispetto, a sentirne il respiro, a vivere i giorni semplici come una conquista e un dono. E allora anche noi, leggendo, possiamo sentire quel fiato che sa di pietra e argilla, e capire che in quella materia primordiale c’è tutta la bellezza del vivere.

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