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I versi di Fernando Pessoa sull’essenza della vita

In cosa consiste l'essenza della vita? La risposta nella frase incipit della poesia "Tabaccheria" di Fernando Pessoa, contenuta nella raccolta "Poesie di Alvaro de Campos"

In cosa consiste l’essenza della vita? A dare una possibile risposta รจ in questa frase, incipit della poesia “Tabaccheria”,ย Alvaro de Campos, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa, poeta portoghese nato il 13 giugno 1888 e scomparso il 30 novembre 1935.

“Non sono niente. Non sarรฒ mai niente. Non posso volere d’esser niente. A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo”

L’essenza della vita

Lโ€™incipit della poesia รจ una completa negazione che paradossalmente serve al poeta per affermare la percezione del proprio essere: nonostante il poeta afferma di non essere niente oggi e in futuro, tuttavia afferma di avere in sรฉ tutti i sogni del mondo, lโ€™aspirazione allโ€™infinito e allโ€™immortalitร .

Quello che il poeta delinea in questo incipit, in cui sintetizza ciรฒ che verrร  meglio argomentato nei versi successivi, รจ la figura dellโ€™ antieroe, che usa il mezzo poetico per sfogarsi, per filosofeggiare sul senso della sua esistenza tra le quattro mura dalla sua stanza, metafora della dimensione dellโ€™io divisa fra realtร  e sogno, ovvero fra anima e corpo.

L’io poetico non si sente padrone di se stesso: non ha nessuna certezza nรฉ riferimento, e qualsiasi cosa volesse fare sarebbe sempre e comunque condizionata dal destino, che ha il potere assoluto su tutto. E’ questa l’essenza della vita secondo Pessoa: siamo potenzialmente i padroni del mondo, ma รจ poi il destino (o il caso) piรน forte della volontร  umana a condurci in una direzione o nell’altra opposta.

La poesia proseguirร  in un flusso di coscienza senza freni, ma la riflessione iniziale dell’autore resta chiara e inequivocabile: dentro di noi abbiamo tutti i sogni e i desideri possibili da realizzare, ma รจ poi la realtร  dei fatti, condizionata dal destino, che indirizza la nostra esistenza e ci consente di realizzare tutti quei sogni, alcuni di essi, o addirittura nessuno. E’ questa l’essenza della vita secondo Alvaro de Campos, ovvero per Fernando Pessoa.

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L’aspirazione del poeta

La frase oggetto di analisi รจ l’incipit della poesia “Tabaccheria”. Nei primi versi Fernando Pessoa, attraverso le parole di Alvaro de Campos, utilizza la negazione del sรฉ per affermare paradossalmente la presenza del proprio essere e l’aspirazione massima di ogni poeta: raggiungere l’infinito e divenire immortale.

In un bellissimo articolo pubblicato sul blog Translature, dedicato ai lettori appassionati, si legge: “Lโ€™ioย poetico che parla cosรฌ delineaย la figura dellโ€™inetto novecentesco, inadatto alla vita, antieroe, per il quale la poesia in questione rappresenta uno sfogo, un momento personale per poter filosofeggiare fra le quattro mura dalla sua stanza (che simboleggiano la propria identitร , lo spazio personale in cui potersi muovere, la dimensione dellโ€™io divisa fraย realtร ย eย sogno, ovveroย animaย eย corpo) guardando attraverso la finestra che lo collega con il mondo esterno e sostanzialmente reale (o quello che si presentaย comeย la realtร ) e da cui vede una tabaccheria dove si svolge inesorabilmente ilย quotidiano, ilย comune.

Alvaro de Campos รจ un nichilista disilluso e disincantato, deluso da se stesso e dalla realtร  che lo circonda, privo di qualsiasi punto di riferimento se non la poesia, che pure, perรฒ, definisce “inutile”. Il suo filosofeggiare doloroso sembra quasi non essergli di conforto, รจ un semplice sfogo nel quale si arrovella seguendo il flusso dei suoi pensieri. Eppure al massimo della negazione di sรฉ e delle proprie aspirazioni future, Alvaro de Campos riesce a creare una “bolla” nella quale si mette in movimento trovando ristoro e forza: i sogni. Il valore che attribuisce loro รจ salvifico, รจ un’apertura alla mondo al pari della finestra dalla quale si affaccia per vedere la tabaccheria e per intuire e osservare l’energia vitale che fluisce per le strade di Lisbona.

Tabaccheria di Alvaro de Campos

Non sono niente.
Non sarรฒ mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.
Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi รจ
(e se sapessero chi รจ, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umiditร  nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.

Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la veritร .
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nellโ€™avvio.

Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtร  che devo
alla Tabaccheria dallโ€™altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto รจ sogno, come cosa reale dal di dentro.

Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto รจ stato niente.
Dallโ€™insegnamento che mi hanno impartito,
sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma lร  ho incontrato solo erba e alberi,
e quando cโ€™era, la gente era uguale allโ€™altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarรฒ, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!
E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene cosรฌ tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
e la storia non ne rivelerร , chissร ?, nemmeno uno,
non ci sarร  altro che letame di tante conquiste future.
No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono piรน sano o meno sano?
No, neppure in meโ€ฆ
in quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a questโ€™ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -,
sรฌ, veramente alte, nobili e lucide -,
e forse realizzabili,
non verranno mai alla luce del sole reale nรฉ troveranno ascolto?

Il mondo รจ di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.

Ho sognato di piรน di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico piรน umanitร  di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarรฒ sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarรฒ sempre quello che non รจ nato per questo;
sarรฒ sempre soltanto quello che possedeva delle qualitร ;
sarรฒ sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dellโ€™Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nรฉ in niente.

Che la Natura sparga sulla mia testa scottante
il suo sole, la sua pioggia, il vento che trova i miei capelli,
e il resto venga pure se verrร  o dovrร  venire, altrimenti non venga.
Schiavi cardiaci delle stelle,
abbiamo conquistato tutto il mondo prima di alzarci dal letto;
ma ci siamo svegliati ed esso รจ opaco,
ci siamo alzati ed esso รจ estraneo,
siamo usciti di casa ed esso รจ la terra intera,
piรน il sistema solare, la Via Lattea e lโ€™Indefinito.

(Mangia cioccolatini, piccina; mangia cioccolatini!
Guarda che non cโ€™รจ al mondo altra metafisica che i cioccolatini.
Guarda che tutte le religioni non insegnano altro che la pasticceria.
Mangia, bambina sporca, mangia!
Potessi io mangiare cioccolatini con la stessa concretezza con cui li mangi tu!
Ma io penso e, togliendo la carta argentata, che poi รจ di stagnola,
butto tutto per terra, come ho buttato la vita.
Ma almeno rimane dellโ€™amarezza di ciรฒ che mai sarร 
la calligrafia rapida di questi versi,
portico crollato sullโ€™Impossibile.
Ma almeno consacro a me stesso un disprezzo privo di lacrime,
nobile almeno nellโ€™ampio gesto con cui scaravento
i panni sporchi che io sono, senza lista, nel corso delle cose,
e resto in casa senza camicia.

(Tu, che consoli, che non esisti e perciรฒ consoli,
Dea greca, concepita come una statua viva,
o patrizia romana, impossibilmente nobile e nefasta,
o principessa di trovatori, gentilissima e colorita,
o marchesa del Settecento, scollata e distante,
o celebre cocotte dellโ€™epoca dei nostri padri,
o non so che di moderno โ€“ non capisco bene cosa -,
tutto questo, qualsiasi cosa tu sia, se puรฒ ispirare che ispiri!
Il mio cuore รจ un secchio svuotato.
Come quelli che invocano spiriti invoco
me stesso ma non trovo niente.

Mi avvicino alla finestra e vedo la strada con assoluta nitidezza.
Vedo le botteghe, vedo i marciapiedi, vedo le vetture passare,
vedo gli esseri vivi vestiti che sโ€™incrociano,
vedo i cani che anche loro esistono,
e tutto questo mi pesa come una condanna allโ€™esilio,
e tutto questo รจ straniero, come ogni cosa.
Ho vissuto, studiato, amato, e persino creduto,
e oggi non cโ€™รจ mendicante che io non invidi solo perchรฉ non รจ me.
Di ciascuno guardo i cenci e le piaghe e la menzogna,
e penso: magari non ho mai vissuto, nรจ studiato, nรจ amato, nรจ creduto
(perchรฉ si puรฒ creare la realtร  di tutto questo senza fare nulla di tutto questo);
magari sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda
e che รจ irrequietamente coda al di qua della lucertola.

Ho fatto di me ciรฒ che non ho saputo,
e ciรฒ che avrei potuto fare di me non lโ€™ho fatto.
Il domino che ho indossato era sbagliato.
Mi hanno riconosciuto subito per quello che non ero e non ho smentito, e mi sono perso.
Quando ho voluto togliermi la maschera,
era incollata alla faccia.
Quando lโ€™ho tolta e mi sono guardato allo specchio,
ero giร  invecchiato.
Ero ubriaco, non sapevo piรน indossare il domino che non mi ero tolto.
Ho gettato la maschera e dormito nel guardaroba
come un cane tollerato dallโ€™amministrazione
perchรฉ inoffensivo
e scrivo questa storia per dimostrare di essere sublime.
Essenza musicale dei miei versi inutili,
magari potessi incontrarmi come una cosa fatta da me,
e non stessi sempre di fronte alla Tabaccheria qui di fronte,
calpestando la coscienza di esistere,
come un tappeto in cui un ubriaco inciampa
o uno stoino rubato dagli zingari che non valeva niente.

Ma il padrone della Tabaccheria sโ€™รจ affacciato sulla porta e vi รจ rimasto.
Lo guardo con il fastidio della testa piegata maleย e con il disagio dellโ€™anima che sta intuendo.
Lui morirร  ed io morirรฒ.
Lui lascerร  lโ€™insegna, io lascerรฒ dei versi.
A un certo momento morirร  anche lโ€™insegna, e anche i versi.
Dopo un poโ€™ morirร  la strada dove fu stata lโ€™insegna,
e la lingua in cui furono scritti i versi.
Morirร  poi il pianeta che gira in cui tutto ciรฒ accadde.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente
continuerร  a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne,
sempre una cosa di fronte allโ€™altra,โ€จsempre una cosa inutile quanto lโ€™altra,
sempre lโ€™impossibile, stupido come il reale,
sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie,
sempre questo o sempre qualche altra cosa o nรจ una cosa nรฉ lโ€™altra.

Ma un uomo รจ entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtร  plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con lโ€™intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica รจ una conseguenza dellโ€™essere indisposti.

Poi mi allungo sulla sedia
e continuo a fumare.
Finchรฉ il Destino me lo concederร , continuerรฒ a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaiaโ€จmagari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia.
Vado alla finestra.
Lโ€™uomo รจ uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: รจ Esteves senza metafisica.
(Il padrone della Tabaccheria sโ€™รจ affacciato allโ€™entrata.)
Come per un istinto divino Esteves sโ€™รจ voltato e mi ha visto.
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e lโ€™universo
mi si รจ ricostruito senza ideale ne speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.

Poesie di Alvaro de Campos

Questa poesia รจ contenuta all’interno di “Poesie“, raccolta pubblicata da Adelphi nel 1993, con la traduzione di Antonio Tabucchi, considerato uno dei maggior conoscitori e critici di Fernando Pessoa e della sua poetica.

Nella presentazione dell’edizione italiana si legge:

Fra tutti i poeti che Pessoa ha disegnato Alvaro de Campos spicca e si impone, forse anche perchรฉ la sua figura sfuggรฌ totalmente al suo creatore, guadagnandosi un’esistenza superiore a quella degli altri eteronimi. Per capire la vastitร  e la risonanza dell’esperienza di Alvaro de Campos occorre vederla nel suo insieme, nel suo sviluppo, come un’opera a sรฉ. E’ questo che per la prima volta ci offrono Antonio Tabucchi e Maria Josรฉ de Lancastre. Il volume raduna infatti testi di tutti i periodi di Alvaro de Campos accompagnandolo fino alla morte che coincide, nel 1935, con quella di Fernando Pessoa.

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Fernando Pessoa e i suoi eteronimi

Fernando Pessoa รจ stato uno dei piรน grandi poeti portoghesi del XX secolo, oltre a essere uno straordinario scrittore e aforista. Cresciuto in Sudafrica, imparรฒ l’inglese che gli servรฌ in ambito lavorativo e nella sua carriera di traduttore. Fu giornalista, pubblicitario e corrispondente commerciale. Morรฌ precocemente a 47 anni, a causa di problemi epatici.

Conosciuto per la sua intensa attivitร  di poeta e scrittore, Fernando Pessoa รจ stato una figura enigmatica, che scisse la sua personalitร  in diversi eteronimi o semi-eteronimi. Alvaro de Campos era un ingegnere meccanico e navale, caratterizzato da un senso di totale estraneitร  al mondo; Ricardo Reis era un medico, latinista e monarchico, ossessionato dalla morte; Alberto Caeiro, analfabeta e contadino, fautore della non-filosofia; e Bernardo Soares, semi-eteronimo di Fernando Pessoa, che definรฌ Soares come “una semplice mutilazione della mia personalitร : sono io senza il raziocinio e l’affettivitร ”.

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