I versi di Trilussa tratti dalla poesia La crisi de coscienza rappresentano uno degli esempi più limpidi della capacità del poeta romano di unire ironia, saggezza popolare e riflessione morale profonda. La sua lingua, apparentemente leggera e colloquiale, è in realtà un veicolo potentissimo di critica sociale. Nei versi:
«La crisi de coscienza pô succede
da un dubbio che te rode internamente
come ridà’ la fede a un miscredente,
pô rilevalla a quello che ce crede.In politica è uguale. Quanta gente
che ciaveva un principio in bona fede,
s’accorge piano piano che je cede
e je viè fòra tutto diferente?»
si concentra una doppia riflessione: la fragilità della fede individuale e quella della fede politica. Trilussa, fedele a una poetica che mescola comicità e disincanto, mette in scena una verità intramontabile: la coscienza umana è un terreno in continua oscillazione, spesso attraversato da dubbi che possono minare anche le convinzioni più profonde.
Il dubbio come tarlo interiore
«La crisi de coscienza pô succede / da un dubbio che te rode internamente».
Sin dal primo verso, Trilussa individua il motore della crisi: un dubbio, qualcosa di piccolo e invisibile, ma capace di erodere lentamente le certezze. L’immagine del tarlo è implicita ma potente: il dubbio non irrompe come una tempesta, ma “rode”, lavora in silenzio, quasi di nascosto.
La scelta del romanesco (“te rode internamente”) accentua l’intimità della scena. Non è un dubbio filosofico astratto: è un fastidio umano, quotidiano, simile a quelli che ognuno di noi conosce. È un dubbio che scava, che cresce, che costringe a guardarsi dentro — e, come spesso accade, porta a un confronto con ciò che si credeva incrollabile.
La fede perduta e la fede ritrovata
«come ridà’ la fede a un miscredente,
pô rilevalla a quello che ce crede.»
Qui Trilussa gioca magistralmente sulla simmetria: ciò che toglie fede a un miscredente può restituirla a chi crede, e viceversa. Il meccanismo della crisi di coscienza non procede in un’unica direzione: il dubbio, pur essendo un principio destabilizzante, può condurre anche a una forma più autentica di convinzione.
È un’immagine modernissima: la coscienza come luogo dinamico, in cui caduta e rinascita convivono. Per Trilussa, la fede — non necessariamente religiosa, ma morale — è qualcosa che può essere messa in discussione, persa, recuperata, trasformata. La crisi non è quindi solo distruzione: è anche rivelazione.
Questo ribaltamento è uno dei punti più profondi del testo: la crisi di coscienza, pur dolorosa, è anche un’opportunità. Non distrugge soltanto, ma rivela, “rilevalla”, cioè riporta alla luce ciò che era rimasto nascosto o oscurato.
La traslazione in politica: una satira che non invecchia
Dopo aver delineato il meccanismo individuale del dubbio, Trilussa sposta il discorso verso la politica:
«In politica è uguale. Quanta gente
che ciaveva un principio in bona fede,
s’accorge piano piano che je cede
e je viè fòra tutto diferente?»
Qui la poesia assume un valore universale e ancora attualissimo. La crisi di coscienza personale diventa metafora di quella politica. Quanti elettori, sostenitori, militanti hanno abbracciato idee e ideali con buona fede, per poi vederli svuotati, contraddetti, traditi?
L’osservazione è sottile: non è solo chi governa a cambiare, ma anche chi crede nel governo o nei principi politici. Il cedimento non è improvviso, ma graduale (“piano piano”): si tratta di un lento logoramento, un accorgersi progressivo che qualcosa non torna.
Trilussa, con la sua ironia amara, sa che la politica è spesso terreno fertile per le disillusioni. Eppure non parla di inganni clamorosi: parla del momento in cui ci si rende conto che un principio, pur abbracciato con sincerità, “cede”, cioè non regge più di fronte alla realtà.
«e je viè fòra tutto diferente?»
Il verso finale è una domanda, ma è una domanda retorica. Tutti sanno che succede: nella politica, come nella vita, ciò che sembrava limpido si rivela opaco, ciò che sembrava coerente si rivela contraddittorio. Il “tutto diferente” non è semplicemente un cambiamento, ma una trasformazione profonda della percezione.
Eppure, nella poetica di Trilussa, questo disincanto non è mai soltanto negativo. È amaro, certo, ma è anche un modo per riportare l’individuo alla sua responsabilità morale: se le certezze cadono, occorre ricostruirle; se il principio cede, occorre interrogarlo; se la fede politica vacilla, è necessario ritrovare un senso più autentico della partecipazione.
L’attualità di Trilussa
Ciò che rende questi versi straordinari è la loro capacità di parlare a ogni epoca. In un mondo che cambia rapidamente, in cui i sistemi politici oscillano tra euforia e sfiducia, in cui le convinzioni sono costantemente messe alla prova, Trilussa ci ricorda che la crisi di coscienza non è un fallimento: è una fase naturale dell’essere umano.
È un invito alla vigilanza, all’onestà con se stessi, alla capacità di interrogare le proprie certezze. E, soprattutto, alla consapevolezza che la crisi — personale o politica — può essere anche una forma di risveglio.
La crisi de coscienza non è solo una poesia: è una lezione di psicologia morale e di sociologia politica travestita da romanesco. Trilussa, con la sua apparente leggerezza, ci mostra come il dubbio possa trasformare la fede, come le convinzioni possano crollare o rinascere, e come la politica possa riflettere — talvolta in modo comico, talvolta tragico — le fragilità dell’animo umano.
La sua ironia non serve a sminuire, ma a illuminare: a mostrare che la coscienza, quando entra in crisi, parla. E ciò che dice può essere doloroso, ma anche profondamente liberatorio.