Una frase di Susan Sontag sulla noia e sulla fascinazione

28 Ottobre 2025

Leggiamo assieme questa citazione della scrittrice e saggista statunitense Susan Sontag sulle condizioni di noia e fascinazione.

Una frase di Susan Sontag sulla noia e sulla fascinazione

La citazione di Susan Sontag, tratta da una delle sue riflessioni più profonde sul comportamento umano e sull’esperienza estetica, recita: «La noia non è che il contrario della fascinazione: entrambe dipendono dall’essere al di fuori piuttosto che dentro una situazione, e l’una conduce all’altra.

In poche righe, la scrittrice e filosofa statunitense (1933–2004) ci offre un’analisi sorprendentemente lucida di due stati mentali apparentemente opposti — la noia e la — rivelando come, in realtà, siano due facce della stessa condizione esistenziale. Non si tratta di due emozioni inconciliabili, ma di due modi diversi di rapportarsi alla realtà, accomunati dal fatto di collocarsi “fuori” da essa.

Susan Sontag: dentro le situazioni

A prima vista, noia e fascinazione sembrano appartenere a universi emotivi lontanissimi. La noia è stasi, apatia, assenza di stimoli; la fascinazione è movimento, attrazione, intensità percettiva.

Eppure, secondo Susan Sontag, entrambe nascono dallo stesso luogo psicologico: l’essere al di fuori di una situazione, cioè il sentirsi osservatori piuttosto che partecipi.

Quando siamo annoiati, guardiamo ciò che accade senza trovarvi significato, come se la realtà scorresse davanti a noi inerte, priva di vitalità. Quando siamo affascinati, invece, la stessa distanza si trasforma in tensione contemplativa: il mondo ci cattura proprio perché ci appare altro, misterioso, fuori dalla nostra portata.

In entrambi i casi, dunque, non viviamo la realtà dall’interno, ma la osserviamo dal margine, in una condizione di sospensione.

La differenza sta nel tono emotivo con cui percepiamo questa distanza: nella noia, la distanza diventa vuoto; nella fascinazione, diventa vertigine.

Essere dentro o fuori: la prospettiva esistenziale

L’opposizione tra “essere dentro” e “essere fuori” di una situazione è uno dei grandi temi della modernità, su cui hanno riflettuto filosofi, romanzieri e artisti.

Sontag, in linea con il pensiero fenomenologico e con la tradizione esistenzialista, suggerisce che l’autenticità dell’esperienza nasce solo quando si è immersi, quando si partecipa attivamente alla vita invece di limitarsi a guardarla.

Essere “fuori” significa trovarsi in una posizione di spettatore — e lo spettatore, per definizione, è passivo.

Questa passività è ciò che genera la noia, ma anche la fascinazione. Chi è fuori non agisce, ma contempla: può essere risucchiato dall’indifferenza o, al contrario, travolto dal fascino dell’oggetto osservato.

Susan Sontag individua così una verità sottile: la noia e la fascinazione non sono due stati opposti, ma due gradi diversi dello stesso distacco.

Da un lato, chi è annoiato può improvvisamente essere catturato da un dettaglio, da un bagliore, da un gesto e trasformare la propria apatia in stupore.

Dall’altro, chi è affascinato può perdere quell’incanto e ricadere nella noia, quando ciò che prima era misterioso diventa familiare.

Noia e fascinazione come esperienza estetica

Questa riflessione si lega strettamente alla concezione estetica che attraversa tutta l’opera di Susan Sontag.

Nei suoi saggi — da Contro l’interpretazione a Sotto il segno di Saturno — la scrittrice insiste sulla necessità di un rapporto sensoriale e diretto con l’arte, contrapposto alla distanza razionale del giudizio critico.

Anche in campo estetico, la noia e la fascinazione nascono da un modo di guardare. L’arte, per esempio, può apparire noiosa quando la si affronta in modo analitico, cercando di “capirla” invece che viverla.

Ma può diventare affascinante quando ci si lascia travolgere dall’esperienza sensoriale, accettando di non possedere ciò che si guarda.

In entrambi i casi, tuttavia, restiamo spettatori: non entriamo nell’opera, ma la contempliamo.

Susan Sontag, con questa citazione, ci invita a riconoscere che il vero coinvolgimento non si ha nell’osservazione, ma nella partecipazione.

L’arte, come la vita, smette di annoiarci o di affascinarci solo quando la viviamo dall’interno, quando non siamo più davanti al quadro, ma dentro di esso.

La noia come preludio alla fascinazione

Un altro aspetto fondamentale della riflessione di Sontag è la continuità dinamica tra i due stati. “L’una conduce all’altra”, scrive, sottolineando come la noia possa trasformarsi in fascinazione, e viceversa.

La noia, infatti, non è solo un vuoto sterile: è anche una soglia di attesa.

Nei momenti di apparente immobilità, la mente si prepara a cogliere qualcosa di nuovo. Il tempo rallenta, e basta un frammento di luce o un suono inatteso perché l’attenzione si accenda.

È come se la noia fosse un terreno fertile, da cui la fascinazione può germogliare.

Lo stesso accade nel processo creativo: molti artisti descrivono la noia come una fase necessaria, un momento di sospensione che precede l’ispirazione. È proprio nel silenzio dell’animo, quando nulla sembra accadere, che può scaturire la meraviglia.

Una lezione per la modernità

Nell’epoca contemporanea, dominata da stimoli continui e da un flusso ininterrotto di immagini, il pensiero di Susan Sontag acquista un valore ancora più attuale.

Viviamo immersi in una cultura che tende a cancellare la noia e a confondere la fascinazione con l’intrattenimento. Ma, eliminando la noia, perdiamo anche la possibilità del suo opposto: l’incanto.

Essere sempre “dentro” uno schermo, sempre distratti da qualcosa, significa non essere mai davvero presenti. La noia, allora, non è un nemico da evitare, ma una condizione da comprendere: essa ci segnala la distanza tra noi e la vita, e ci invita a colmarla.

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