Nei versi della poesia “La bellezza del mondo…” Sibilla Aleramo ci consegna una riflessione poetica intensa e luminosa, che sembra nascere dall’esperienza immediata eppure profondamente meditata di uno sguardo che, attraverso il vetro di un’auto in corsa, si apre alla meraviglia del reale. I versi sono questi:
La bellezza del mondo dall’auto in corsa oggi riconosco,
campi e dune e selve melodiose di pini,
città antiche, cattedrali e poi ancora casolari,
e ritrovo il sole, il colore del sole
sui fienili sui greti e negli occhi dei bimbi,
ritrovo l’ampio sussurro del vento,
la sua carezza che fa del mio viso un fiore.
Il viso di Sibilla Aleramo che si fa fiore al vento
L’esperienza che descrive la poetessa è duplice: da una parte c’è il movimento frenetico dell’auto in corsa, simbolo della vita moderna e del tempo che sfugge, e dall’altra c’è il recupero della bellezza del mondo, colta con lo stupore di chi si accorge che essa è ancora lì, presente, intatta e disponibile per chi sa guardare.
Fin dall’incipit, “La bellezza del mondo dall’auto in corsa oggi riconosco”, la poetessa ci introduce in un tempo presente e attivo: non si tratta solo di vedere, ma di riconoscere, cioè di ritrovare qualcosa che già si conosceva, che apparteneva a una dimensione intima e forse dimenticata. La corsa dell’auto è metafora evidente della vita che scorre veloce, ma anche del fatto che il paesaggio può diventare sfondo indistinto, che rischia di non essere più davvero visto. È in questo contesto che il verbo “riconosco” assume un valore profondo: è un atto di coscienza, una presa di posizione dell’anima che sceglie di aprirsi, di lasciarsi toccare dalla bellezza.
Il paesaggio che Sibilla Aleramo ci restituisce nei versi successivi è ampio e variegato: “campi e dune e selve melodiose di pini” evoca una natura viva, armoniosa, musicale. Il termine “melodiose” applicato alle selve rivela una sinestesia che unisce visione e suono, indicando che la bellezza del mondo non è solo visiva, ma si esperisce con tutti i sensi. Le “città antiche” e le “cattedrali” rappresentano invece la storia, l’arte, la memoria collettiva, mentre i “casolari” richiamano l’intimità rurale, il quotidiano semplice.
Questo movimento dall’ampio al particolare, dal monumentale al domestico, è significativo: la bellezza del mondo non si trova solo nei luoghi famosi o artistici, ma anche negli spazi umili, nel mondo contadino, nelle architetture semplici, che sono depositarie di memoria e di luce.
Una delle immagini centrali della poesia è quella del sole: “ritrovo il sole, il colore del sole / sui fienili sui greti e negli occhi dei bimbi”. Il sole è presenza vitale e unificante, fonte di calore e di senso. La sua luce non solo illumina i luoghi, ma li colora, li rende pieni, intensi, vivi. La poetessa lo ritrova non solo nei paesaggi, ma negli occhi dei bambini, dove risiede una luce originaria, uno sguardo puro e incontaminato.
Questa immagine rafforza l’idea che la bellezza non sia un’entità astratta o estetizzante, ma qualcosa che ci parla nel quotidiano, nelle relazioni, nei volti. L’infanzia, con la sua spontaneità e il suo stupore, diventa simbolo della capacità di vedere il mondo con occhi nuovi. Lo sguardo poetico, in fondo, è uno sguardo infantile nel senso più alto: capace di meraviglia, di gratitudine, di ascolto.
Il vento e la trasfigurazione
Nella parte finale della poesia emerge un altro elemento naturale: il vento. “ritrovo l’ampio sussurro del vento, / la sua carezza che fa del mio viso un fiore”. Anche qui la sinestesia è potente: il vento “sussurra”, parla, accarezza. La natura è sentita come un soggetto affettuoso, che entra in relazione con l’io lirico e lo trasforma. Il viso che diventa fiore è un’immagine quasi mistica, una trasfigurazione poetica in cui la persona si fa parte del paesaggio, diventa bellezza a sua volta.
In questo passaggio, Aleramo ci parla di un’identificazione profonda tra il soggetto e il mondo: non c’è più distanza tra chi guarda e ciò che viene guardato, tra chi sente e ciò che è sentito. Il corpo stesso diventa parte dell’armonia naturale, si apre alla carezza del vento, come un petalo si apre al sole.
Nel complesso, questi versi di Sibilla Aleramo possono essere letti come una poesia della riconciliazione: riconciliazione con il tempo che corre, con la natura, con l’infanzia, con sé stessi. Il riconoscimento della bellezza è anche una forma di guarigione, di ritorno a casa, di accettazione del presente.
Non si tratta di una fuga dalla modernità — l’auto in corsa è lì, non viene rifiutata — ma di un invito a non smarrirsi nella velocità, a mantenere attivo lo sguardo, a esercitare la presenza. In questo senso, la poesia assume un valore quasi etico: ci chiede di essere presenti a ciò che ci circonda, di vedere, di sentire, di riconoscere.
“La bellezza del mondo…” è un inno lieve e profondo alla pienezza dell’esistere, un testo che invita a rallentare dentro di sé anche quando fuori tutto corre. Aleramo, attraverso immagini semplici e potenti, ci ricorda che la poesia non è altro che questo: uno sguardo che sa riconoscere la luce, anche nella corsa del tempo, anche nei gesti più umili, anche in un viso che fiorisce al tocco del vento.