Questi versi di Rupi Kaur, tratti dalla poesia “Responsabilità”, condensano in poche parole un tema universale e complesso: il meccanismo di proiezione e il difficile compito dell’auto-assunzione di responsabilità nella vita di ciascuno. La poesia della scrittrice canadese di origine punjabi è nota per la sua capacità di racchiudere, in testi brevi e potenti, verità profonde sull’interiorità, le relazioni e il vissuto femminile e collettivo. Qui Rupi Kaur ci invita a guardarci dentro con onestà, ponendo l’accento su una dinamica psicologica comune: la tendenza a colpevolizzare gli altri per mancanze che in realtà ci appartengono.
Molte volte
ce la prendiamo con altri
perché non fanno ciò
che dovevamo fare da soli.
Rupi Kaur e le responsabilità eluse
In ambito psicologico, questo comportamento viene definito proiezione: attribuiamo ad altri le responsabilità che non vogliamo (o non possiamo ancora) riconoscere come nostre. Rupi Kaur fotografa perfettamente questo processo con un linguaggio scarno, diretto, accessibile. Il punto centrale non è tanto l’errore in sé, quanto il fraintendimento emotivo che ci porta ad aspettarci che qualcun altro faccia per noi quello che, alla fine, spetta soltanto a noi fare. Spesso si tratta di gesti affettivi, conferme, scelte, iniziative che riversiamo su amici, partner, colleghi o persino su estranei, aspettandoci da loro una presa in carico che in realtà ci compete.
Questa dinamica è tanto più pervasiva quanto più cerchiamo di eludere il confronto con le nostre fragilità. Scaricare sugli altri le colpe per ciò che ci manca o per ciò che non riusciamo a compiere è, in fondo, un modo per sottrarci al rischio del fallimento e alla paura di essere responsabili del nostro destino. Kaur lo dice senza giri di parole: “non fanno ciò che dovevamo fare da soli”. È una chiamata all’autonomia, alla lucidità e, in un certo senso, anche al coraggio.
Aspettative e delusioni
C’è un aspetto relazionale importante in questi versi: l’intreccio tra aspettative e delusioni. Spesso ce la prendiamo con gli altri perché non soddisfano desideri impliciti, mai espressi con chiarezza. Aspettiamo che ci capiscano al volo, che ci proteggano, che ci guariscano, che si comportino come immaginiamo debbano comportarsi. Quando questo non accade – e spesso non accade – la delusione si trasforma in rabbia. Ma Kaur ribalta il punto di vista: quella rabbia è uno specchio, un riflesso della nostra incapacità di prenderci cura di noi stessi.
Questo non significa negare che esistano relazioni tossiche, ingiustizie o responsabilità oggettive degli altri nei nostri confronti. Il punto non è deresponsabilizzare chi ci fa del male. Piuttosto, la poesia ci invita a distinguere tra ciò che è nostro e ciò che appartiene all’altro. A discernere tra colpa e responsabilità. A non usare gli altri come contenitori delle nostre insoddisfazioni interiori.
Rupi Kaur ci parla, in fondo, di autonomia emotiva. Una condizione faticosa da raggiungere, ma fondamentale per costruire rapporti sani. Essere autonomi emotivamente non vuol dire essere freddi, indipendenti a tutti i costi, autosufficienti. Vuol dire saper riconoscere i propri bisogni, senza caricarli sulle spalle altrui. Vuol dire fare i conti con le proprie scelte – anche quelle sbagliate – e imparare da esse. Vuol dire, soprattutto, accettare che la felicità e la pienezza non possano venire esclusivamente da fuori.
Questo concetto si lega anche alla crescita personale. Prendersi la responsabilità delle proprie emozioni, delle proprie scelte e dei propri percorsi è il primo passo per emanciparsi da una condizione di dipendenza o di stagnazione. Non è un cammino facile: spesso è più comodo incolpare il partner che non ci capisce, l’amico che non ci chiama, il genitore che non ci ha dato ciò che volevamo. Ma rimanere in questa posizione significa rinunciare al potere trasformativo dell’autoconoscenza.
Il linguaggio come specchio
Rupi Kaur utilizza un linguaggio semplice, ma estremamente incisivo. La sua poesia è priva di punteggiatura, come un flusso diretto di pensiero. Questa scelta stilistica rispecchia il contenuto stesso: la responsabilità come qualcosa che non si può spezzare, evitare, delimitare. È continua, e scorre dentro di noi, esattamente come le parole che leggiamo. Il verso breve, spezzato, impone una lettura riflessiva, quasi esitante, come a indicare la difficoltà di affrontare ciò che è davvero nostro.
I versi di Rupi Kaur offrono una lezione potente, benché amara: la responsabilità personale è il primo atto d’amore verso se stessi. Accettare che ci siano cose che solo noi possiamo fare per noi stessi è difficile, ma necessario. Ci obbliga a diventare adulti nel senso più profondo del termine. Ci libera, però, dall’inganno delle attese e dal peso delle frustrazioni proiettate sugli altri.
Attraverso la sua scrittura, Kaur ci ricorda che ogni cambiamento parte da un gesto intimo e personale: assumere la responsabilità del proprio sentire, della propria cura, delle proprie scelte. È un invito alla maturità, alla dignità e, in ultima analisi, a una forma di amore autentico: quello per sé, senza alibi né deleghe.