I versi di Pedro Salinas sull’amore che diventa assenza

3 Luglio 2025

Pedro Salinas, uno dei massimi esponenti della Generazione del ’27 spagnola, esplora nella sua raccolta La voz a ti debida (“La voce a te dovuta”) la tensione tra assenza e presenza, tra l’io e il tu, tra desiderio e parola. Nei versi della poesia XXXII, che qui prendiamo in esame,

I versi di Pedro Salinas sull'amore che diventa assenza

Pedro Salinas, uno dei massimi esponenti della Generazione del ’27 spagnola, esplora nella sua raccolta La voz a ti debida (“La voce a te dovuta”) la tensione tra assenza e presenza, tra l’io e il tu, tra desiderio e parola. Nei versi della poesia XXXII, che qui prendiamo in esame, questa tensione si fa particolarmente acuta. Si apre una ferita semantica e affettiva: qualcosa è cambiato, l’oggetto del desiderio è sfuggito, eppure resta vivo nel linguaggio, irraggiungibile ma presente.

Non ti ritrovo piú
laggiú nella distanza, esatta col suo nome,
dove tu eri assente.
Per venirmi a cercare
l’abbandonasti. Uscisti dall’assenza,
e ancora non ti vedo e non so dove sei.
Invano ti potrei cercare
là dove il mio pensiero tante volte
andò a sorprendere il tuo sonno,
o il tuo riso, o il tuo gioco.

Pedro Salinas e un “tu” assente

“Non ti ritrovo più
laggiù nella distanza, esatta col suo nome,
dove tu eri assente.”

Questi versi iniziali introducono subito il tema dello smarrimento. Il soggetto lirico si confronta con un’assenza paradossale: non riesce più a ritrovare “laggiù”, in quella distanza che aveva una volta un nome esatto, colei che prima era semplicemente assente. Questo passaggio dalla assenza alla scomparsa è centrale. Prima, la donna era assente ma rintracciabile in una precisa collocazione, in una memoria stabile, quasi topografica. Ora non più: quell’assenza ha perso anche il suo nome, la sua “esattezza”. La distanza non è più misurabile, è diventata indefinita, assoluta.

“Per venirmi a cercare
l’abbandonasti. Uscisti dall’assenza,
e ancora non ti vedo e non so dove sei.”

Il paradosso continua e si approfondisce. La donna – o meglio, ciò che essa rappresenta – è uscita dall’assenza, ha lasciato quel luogo noto dove era solita non essere. È come se si fosse mossa verso l’io poetico, come se avesse voluto infrangere l’assenza stessa. Ma nonostante questo avvicinamento, resta invisibile, irrintracciabile. Non la si vede, non si sa dove sia. È una figura fantasmaticamente presente, ma in modo frustrante, imprendibile. L’apparente tentativo di riavvicinamento si dissolve in un nuovo enigma.

“Invano ti potrei cercare
là dove il mio pensiero tante volte
andò a sorprenderti nel sonno,
o il tuo riso, o il tuo gioco.”

Qui l’io lirico constata l’inutilità del ritorno mentale ai luoghi della memoria affettiva. Quel pensiero che tante volte si è recato a “sorprendere” la donna nel suo sonno, nel suo riso, nei suoi giochi – immagini della vitalità, della tenerezza e della spensieratezza – ora si ritrova disorientato. Quei momenti, un tempo vivi, non sono più accessibili. L’oggetto amato si è spostato altrove, ha oltrepassato la soglia del ricordo, lasciando dietro di sé uno spazio vuoto, un’eco.

Ma chi è, in fondo, questo “tu” che sfugge, che si sottrae alla memoria e al tempo? In tutta la raccolta La voce a te dovuta, Pedro Salinas costruisce un dialogo intensissimo tra il poeta e un “tu” che assume le sembianze di una donna, di un’amata, ma che, a uno sguardo più profondo, appare sempre più astratta, sempre più simbolica. Non è un “tu” carne e ossa, ma un’idea, un’emanazione dell’assoluto, una forma che travalica i confini del tempo e della realtà.

Nel caso di questa poesia, in particolare, possiamo cogliere un’ulteriore interpretazione, che apre a una lettura metapoetica: il “tu” è la lingua stessa, la parola poetica. Salinas, poeta del linguaggio e dell’amore inteso come epifania comunicativa, sembra qui rivolgersi non a una donna reale, ma alla lingua, al discorso, a quella voce che rende possibile ogni incontro, ogni riconoscimento, ogni evocazione.

Quando dice “non ti ritrovo più”, è come se stesse confessando l’impossibilità momentanea della poesia stessa, il vuoto lasciato da una lingua che non risponde più, che ha abbandonato i suoi luoghi abituali – la memoria, il sentimento, l’immaginazione – per muoversi altrove. E quando afferma che “uscisti dall’assenza” ma che “ancora non ti vedo”, ci si trova davanti al mistero della parola poetica che si manifesta e si nasconde allo stesso tempo: un’epifania mancata.

Anche il passaggio in cui ricorda “il sonno, il riso, il gioco” può essere letto come un richiamo agli atti originari della parola: il sogno come immaginazione, il riso come suono vivo, il gioco come creatività. Sono le forme primarie in cui la lingua si manifesta nella poesia. Ma ora, quelle forme non rispondono più, non si fanno trovare. La lingua, come l’amata, si è sottratta, è diventata altro. È presente in un nuovo luogo, forse più profondo, più segreto, dove non basta il ricordo per raggiungerla.

Pedro Salinas e la lingua come interlocutrice

Alla luce di tutto questo, si può concludere che la poesia XXXII di Pedro Salinas non è soltanto una riflessione sull’amore e la perdita, ma anche una meditazione sulla poesia stessa come linguaggio sfuggente, sul rapporto tra l’io e la parola. L’amata è la lingua, che prima abitava l’assenza con nome certo, che si lasciava evocare dalla memoria, ma che ora è altrove. Si è mossa verso il poeta, ma resta invisibile: una presenza inafferrabile, un enigma vivo.

Salinas non cerca una donna: cerca la voce, la parola, la lingua – quella che dà senso e forma all’esperienza umana. Una lingua che sfugge, ma che è sempre desiderata, inseguita, amata.

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