I versi di Patrizia Valduga sul tempo in cui viviamo

20 Agosto 2025

Leggiamo questi amari versi, forse, però, i meno amari della poesia, di Patrizia Valduga poetessa e traduttrice da riscoprire assolutamente.

I versi di Patrizia Valduga sul tempo in cui viviamo

I versi di Patrizia Valduga, che fanno parte di una poesia contenuta in Prima antologia, colpiscono per la loro forza corrosiva e per la lucidità con cui mettono a nudo una delle grandi trasformazioni della società contemporanea: l’avvento della televisione come strumento di fascinazione collettiva, capace di imporsi non solo come mezzo di intrattenimento, ma come potere capillare che modella comportamenti, desideri e illusioni. La poetessa utilizza un linguaggio diretto, scandito da immagini folgoranti, per denunciare una condizione di servitù moderna che nasce proprio dall’incanto televisivo.

Le tivú ci hanno fatto l’incantesimo…
Se non scarica il cielo una saetta,
tutti servi dal secolo ventesimo!

Classifiche, sondaggi, lotterie…
siamo solo strumenti di collaudo
per i bordelli… o per le osterie…

Patrizia Valduga e l’incantesimo televisivo

Il termine “incantesimo” è centrale: non è soltanto un vezzo poetico, ma la definizione precisa di ciò che la televisione ha rappresentato per il Novecento e oltre. L’immagine evoca la perdita di coscienza critica, il lasciarsi trascinare da uno spettacolo ipnotico che ammalia e immobilizza. Non a caso Patrizia Valduga parla di “servi dal secolo ventesimo”: la modernità, che avrebbe dovuto portare progresso e libertà, finisce per produrre nuove forme di schiavitù, non più fondate su catene fisiche, ma su strumenti culturali e mediatici.

Questa riflessione trova riscontro in molte analisi sociologiche e filosofiche del Novecento: basti pensare a Guy Debord e alla sua teoria della società dello spettacolo, dove le immagini diventano strumenti di dominio e sostituiscono la realtà stessa. L’incantesimo televisivo descritto dalla poetessa è quindi parte di un discorso più ampio, che riguarda la capacità dei media di plasmare la coscienza collettiva.

La servitù moderna

Il verso “tutti servi dal secolo ventesimo” è una denuncia amara: la televisione non emancipa, non libera, ma crea dipendenza e passività. I telespettatori diventano sudditi inconsapevoli, incatenati non da un potere visibile ma da un flusso continuo di immagini e contenuti.

Qui risuona la capacità tipica di Valduga di coniugare lirismo e sarcasmo: l’uso del termine “servi” richiama epoche di sudditanza politica, ma trasportato nel contesto moderno acquista un significato nuovo. Non siamo più oppressi da monarchi o tiranni, ma da strumenti apparentemente innocui che colonizzano il nostro tempo libero e la nostra immaginazione.

Classifiche, sondaggi, lotterie

Il richiamo a “classifiche, sondaggi, lotterie” smaschera alcuni dei meccanismi principali della televisione e, più in generale, della società dei consumi. Questi strumenti non hanno soltanto funzione di intrattenimento, ma servono a creare illusioni di partecipazione e di democrazia.

  • Le classifiche danno l’impressione che il pubblico conti, che sia lui a decidere cosa valga e cosa no. In realtà spesso sono strumenti per guidare il consumo, stabilendo gerarchie artificiali di valori.

  • I sondaggi promettono di restituire la voce della gente, ma in realtà riducono l’opinione pubblica a numeri manipolabili.

  • Le lotterie incarnano il sogno dell’arricchimento improvviso, mantenendo viva la speranza di un riscatto che, statisticamente, è quasi impossibile.

Valduga coglie così la dimensione illusoria e alienante di questi dispositivi: invece di emancipare, essi rafforzano la dipendenza, alimentano false speranze, e soprattutto trasformano le persone in “strumenti di collaudo”, cavie inconsapevoli di un grande esperimento sociale.

Strumenti di collaudo: bordelli e osterie

L’immagine finale è tra le più dure: “siamo solo strumenti di collaudo / per i bordelli… o per le osterie…” Qui la poetessa esprime una critica feroce (citando Dante Alighieri) alla riduzione dell’essere umano a consumatore passivo di piaceri immediati, che siano di natura sessuale o conviviale. I bordelli e le osterie diventano simboli di un abbassamento culturale, di una civiltà che invece di crescere e pensare, si rifugia nel consumo e nell’intrattenimento più elementare.

La televisione, in questo senso, non è più semplice mezzo di comunicazione, ma un ingranaggio di un sistema che spinge verso la mercificazione totale: corpi, emozioni, desideri, tutto viene ridotto a merce o spettacolo.

Una voce poetica scomoda

Il pregio dei versi di Patrizia Valduga sta nel loro rifiuto di edulcorare la realtà. Non c’è nostalgia né moralismo, ma una denuncia spietata, quasi satirica, della condizione contemporanea. Lo stile, diretto e scandito da rime e immagini aspre, richiama la tradizione della poesia civile, che utilizza il linguaggio poetico come strumento di resistenza.

Inoltre, Patrizia Valduga non si limita a descrivere, ma coinvolge il lettore in un atto di consapevolezza: riconoscersi come “servo” o come “strumento di collaudo” è doloroso, ma è il primo passo per spezzare l’incantesimo.

Anche se i versi nascono in un contesto dominato dalla televisione, la loro attualità è evidente. Oggi, infatti, potremmo sostituire la parola “tivú” con “social network” o “smartphone”, senza perdere nulla della forza del messaggio. L’incantesimo mediatico non si è dissolto, si è anzi moltiplicato e reso più pervasivo.

Le classifiche sono ora i trend di internet, i sondaggi sono i like e le reazioni, le lotterie sono le promesse di viralità o di guadagno facile. La critica di Patrizia Valduga al secolo ventesimo si estende così, per analogia, al ventunesimo, mostrando come la servitù moderna non sia affatto finita, ma solo mutata di forma.

Nei suoi versi, Patrizia Valduga ci consegna una riflessione lucida e tagliente sul potere dei media e sulla fragilità umana di fronte alle seduzioni dell’intrattenimento. L’incantesimo televisivo diventa metafora di una condizione più ampia: quella di una società che rischia di ridursi a consumare classifiche, sondaggi e lotterie, senza più esercitare pensiero critico.

“Servi dal secolo ventesimo”, scrive la poetessa. Un monito che vale ancora oggi, nell’era digitale, come invito a riconoscere le catene invisibili che ci avvolgono e a ritrovare, nella coscienza e nella cultura, lo spazio per una libertà autentica.

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