Patrizia Valduga, con la sua poesia densa e intensa, ci consegna una riflessione profonda sull’amore, sulla sua natura di legame inestricabile e tormentoso. Nei versi tratti dalla raccolta Prima antologia l’autrice offre una visione dell’amore che sfugge alle rappresentazioni idilliache e si inoltra nei meandri del desiderio e della sofferenza. L’amore, per Valduga, non è soltanto un incontro felice, ma un legame viscerale e, a volte, doloroso, che trascende la volontà individuale.
Era questo, mi dicevo, l’amore?
A due a due agglutinati insieme,
per i bisogni del tormento insieme,
l’uno nell’altra cuore contro cuore
L’amore come fusione e tormento nei versi di Patrizia Valduga
L’immagine dell’”agglutinarsi insieme” suggerisce una coesione quasi viscerale tra due persone, un legame che non lascia spazio all’autonomia individuale, ma si trasforma in una simbiosi in cui l’uno si fonde con l’altro. Il verbo “agglutinare” richiama l’idea di una coesione indissolubile, qualcosa che va oltre il semplice stare insieme e si trasforma in una fusione dell’essere.
Questo legame, tuttavia, non è descritto in termini puramente positivi: l’amore, in questi versi, non è semplicemente un’armoniosa unione, ma un vincolo dettato anche dal “bisogno del tormento”. Il dolore, il desiderio, la sofferenza diventano elementi strutturali della relazione amorosa, non meri incidenti di percorso ma aspetti costitutivi del sentimento stesso. Questo richiama la tradizione letteraria della passione amorosa come esperienza totalizzante e ambivalente, che unisce estasi e pena, attrazione e repulsione.
Valduga sottolinea la fisicità del sentimento con l’immagine di due corpi “cuore contro cuore”, un’immagine che richiama l’intimità più profonda e la necessità di annullare le distanze. Il cuore, simbolo della passione e della vita, diventa il punto di contatto tra i due amanti, unendo la dimensione emotiva a quella fisica.
Questa scelta linguistica si inserisce nella poetica di Valduga, nota per la sua capacità di coniugare erotismo e introspezione, lirismo e concretezza. Il corpo, nella sua poesia, non è mai un semplice involucro, ma il veicolo attraverso cui si esprime l’anima, il desiderio e la sofferenza.
L’idea dell’amore come esperienza totalizzante e dolorosa ha una lunga storia nella letteratura. Dalla “Vita Nova” di Dante, con la sua visione mistica e tormentata di Beatrice, fino alla poesia moderna di Paul Celan e Alda Merini, l’amore è spesso descritto come un’esperienza che porta con sé tanto la gioia quanto il dolore.
In questo senso, la poesia di Valduga può essere accostata a quella di poeti come Gaspara Stampa o Sibilla Aleramo, che hanno esplorato l’amore nella sua dimensione più viscerale e sofferta. Ma c’è anche un’eco della poetica di Leopardi, per il quale l’amore è un’illusione destinata a sfumare nel dolore dell’esistenza.
Un interrogativo senza risposta
La poesia si apre con una domanda: Era questo, mi dicevo, l’amore? Questa incertezza iniziale segna l’intero componimento, suggerendo un’indagine interiore su cosa significhi davvero amare. L’assenza di una risposta definitiva lascia spazio all’ambiguità: l’amore è un vincolo indissolubile o una condanna? Una dolce unione o un’inevitabile sofferenza?
Questa domanda, lungi dall’essere retorica, è il cuore pulsante della poesia. È un interrogativo che accompagna da sempre la letteratura e l’esistenza umana. Valduga non offre una soluzione, ma ci costringe a riflettere sulla natura stessa del sentimento amoroso, sulla sua capacità di elevarci e, al contempo, di consumarci.
Attraverso questi versi, Patrizia Valduga ci restituisce una visione intensa e complessa dell’amore. Lungi dall’essere un semplice idillio, l’amore è descritto come una condizione di simbiosi e tormento, un legame che si nutre di desiderio e sofferenza, di bisogno e fusione. La poetessa ci invita a riflettere su quanto l’amore sia una condizione necessaria, ma al tempo stesso intrisa di ambivalenza e contraddizione.
Alla fine, forse non c’è una risposta definitiva all’interrogativo iniziale. Forse l’amore è tutto questo: un’energia che ci lega e ci tormenta, un abbraccio che ci stringe e ci soffoca, un bisogno che ci riempie e ci svuota. E nella bellezza di questi versi, troviamo lo spazio per riconoscere la nostra stessa esperienza, per accettare che l’amore è tanto un rifugio quanto una tempesta.
Adesso, però, appaghiamo i nostri sensi con la poesia di Patrizia Valduga nella sua interezza:
Adesso calma e sangue freddo. Dunque
per lui… per un avvenire qualunque…
un po’ di sangue, un grido… era l’amore?
Era questo, mi dicevo, l’amore?A due a due agglutinati insieme,
per i bisogni del tormento insieme,
l’uno nell’altra cuore contro cuore
«ecco vengo, sí, godi godi amore…»
Un po’ di sangue, un grido, un paio d’urla…
«anch’io… anch’io…» ansimi da burla…Ma da ogni parte in me, ma il senso in me,
giorni e notti ammucchiarsi dentro me,
avventarsi di annate in un istante,
vedendomi vecchia, peggio, invecchiante,
quel senso… sí, non si era mai perduto,
e avrei fino allo spasimo voluto
il piacere, il piacere finalmente,
il piacere dei sensi e della mente.Oh paese dell’anima occupata!
Solo una volta lui mi ha penetrata
da parte a parte con tutto il coltello.Amore, gli dicevo, amore bello,
io cosa faccio, cuore del mio cuore?
Come hai detto? non sento… per favore
non potresti parlare un po’ piú forte?
Mi stai mandando, sappilo, alla morte…
cosa faccio cosí? che umiliazione…
che cosa? «Guarda la televisione.»
Che umiliazione per un po’ di affetto!Partita con la testa, gli hanno detto,
andata con la testa, inoffensiva,
le braccia in croce ed ero ancora viva,
se è vita questa mia bava di vita.
Poi farmi eccitare dalle sue dita
al buio, dentro un letto d’ospedale…
Oh sento male io, mi sento male!
vestita per la bara… ma perché?…
Lui morto, su di me, assieme a me,
e andare morto sulla morta, e…