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I versi di Patrizia Cavalli sulla calda aria di primavera

Leggiamo questi versi pieni di tepore, di Patrizia Cavalli, in cui è descritta la dolce calura della primavera che lentamente chiama a sé l'estate.

I versi di Patrizia Cavalli che aprono con «Era la primavera quasi estiva, / la gelosa stagione e la vacanza / per le strade più belle e infrequentate…» sono un piccolo frammento di vita colto con sguardo lucido e affettuoso, come spesso accade nella poesia dell’autrice umbra. Nella sua scrittura, ogni dettaglio, ogni parola apparentemente semplice, custodisce una stratificazione emotiva e percettiva profonda, mai gridata ma sempre presente. Questi versi offrono lo spunto per un’esplorazione dei temi ricorrenti nella sua poesia: il tempo, il paesaggio urbano, la percezione soggettiva, la bellezza celata nelle cose ordinarie.

Era la primavera quasi estiva,
la gelosa stagione e la vacanza
per le strade piú belle e infrequentate.
Era il ponte di nuovo attraversato
gli alberi verdi cadenti sulla riva,
l’impiegato sensibile a passeggio
insieme al gruppo per mostrare
e far capire le bellezze visibili
e invisibili.

La primavera “quasi estiva” nei versi di Patrizia Cavalli

L’espressione “primavera quasi estiva” è già in sé un’immagine complessa. Siamo in un tempo di mezzo, nel passaggio tra stagioni, quando il calore inizia a farsi sentire, ma non è ancora pienamente estate. Questa soglia tra due momenti dell’anno corrisponde simbolicamente anche a una soglia emotiva, un confine tra il desiderio e la sua realizzazione, tra l’attesa e il compimento.

È “la gelosa stagione”, dice la poetessa, aggettivo che sorprende: la gelosia non è abitualmente associata alla primavera, simbolo di rinascita e leggerezza. Ma qui la gelosia può essere intesa come esclusività, come qualcosa che si mostra solo a chi sa guardare davvero. È la stagione che trattiene per sé, che si mostra con pudore, e perciò rende ancora più preziosa l’esperienza di chi la attraversa con lo sguardo di chi ama.

La città vissuta come vacanza

«…e la vacanza / per le strade più belle e infrequentate» suggerisce un modo di abitare la città fuori dalla routine. La “vacanza” non è solo tempo libero, ma uno stato dello spirito: la possibilità di guardare con occhi nuovi gli spazi quotidiani, di riscoprire ciò che spesso si dà per scontato. Le strade “più belle e infrequentate” sono quelle che sfuggono alla massa, ai percorsi abituali: sono vie secondarie, angoli nascosti, scorci segreti che rivelano la loro bellezza solo a chi sa deviare dai tragitti obbligati.

La poesia di Patrizia Cavalli, in fondo, è sempre anche una riflessione sullo sguardo: sul modo in cui guardiamo il mondo e su ciò che scegliamo di vedere. L’osservatore attento, come l’impiegato “sensibile a passeggio”, è colui che si concede il lusso del rallentamento, della contemplazione.

Il “ponte di nuovo attraversato” è immagine di passaggio, di ritorno, forse di un’abitudine che si rinnova o di una consuetudine che torna a farsi significativa. I “verdi cadenti sulla riva” sono alberi che non solo danno colore e ombra, ma accompagnano visivamente il movimento, lo rendono poesia. E qui entra in scena un personaggio quasi sorprendente: «l’impiegato sensibile a passeggio», figura che, pur nella sua banalità apparente, racchiude un mondo interiore delicato. È un impiegato, dunque parte della macchina lavorativa urbana, ma “sensibile”: una contraddizione solo apparente. È colui che, pur avendo un ruolo sociale definito, non ha perso la capacità di emozionarsi, di guardare, di sentire.

Egli è in compagnia di un gruppo, forse una visita guidata, ma l’immagine è poetica più che descrittiva: «insieme al gruppo per mostrare / e far capire le bellezze visibili / e invisibili». C’è, qui, una tensione tra ciò che può essere spiegato e ciò che resta ineffabile. Le bellezze “visibili” possono essere nominate, descritte, indicate. Ma quelle “invisibili” sono affidate alla sensibilità, all’intuizione, al silenzio condiviso. È questa tensione tra parola e silenzio, tra presenza e assenza, che abita la poesia di Cavalli.

La poesia della quotidianità

Patrizia Cavalli è maestra nel trasformare l’ordinario in straordinario. Non cerca immagini rarefatte, non costruisce scenari esotici: il suo mondo è quello delle strade cittadine, delle stagioni, dei piccoli gesti, delle figure comuni. Ma è proprio questa scelta a rendere la sua poesia così intensa e significativa: ci ricorda che la poesia non sta altrove, ma dentro il reale, dentro i giorni qualsiasi, se solo impariamo a guardarli con attenzione e rispetto.

I suoi versi, come questi, non si impongono con forza, ma si insinuano con dolcezza. Ci invitano a fermarci, a pensare, a guardare meglio. In un mondo che corre, Cavalli ci restituisce il tempo della contemplazione. In un tempo in cui il visibile domina, lei ci parla delle “bellezze invisibili”, cioè delle emozioni, delle risonanze interiori, delle sfumature dell’anima.

In questi pochi versi, Patrizia Cavalli riesce a restituirci una geografia dell’anima urbana: la città vissuta non come contenitore caotico, ma come luogo di rivelazioni poetiche. L’impiegato sensibile, le strade infrequentate, la stagione quasi estiva, il ponte e gli alberi: tutto si intreccia in una tessitura lieve e precisa. La poesia diventa così uno strumento per riappropriarsi del mondo, per imparare a vedere di nuovo. E soprattutto, per sentire che anche nelle ore comuni può nascondersi una vacanza dello spirito, una felicità discreta, una forma di bellezza che, pur invisibile, lascia un segno profondo.

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