La frase “Se non lo sai, non posso spiegartelo”, pronunciata da Stella, paziente psichiatrica nel romanzo Follia di Patrick McGrath, è una delle più enigmatiche e dense di significato dell’intera opera. Essa arriva come risposta a una domanda dello psichiatra Peter, che le chiede di spiegare cos’è per lei l’amore: «Già, l’amore» dissi. «Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare. Come lo descriveresti?» – domanda apparentemente razionale, fredda, scientifica. Ma la risposta di Stella, tanto evasiva quanto definitiva, apre un abisso di senso. In queste poche parole si condensano temi fondamentali: l’indicibilità dell’amore, la sua natura soggettiva, il conflitto insanabile tra passione e ragione.
“Già, l’amore” dissi. “Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare. Come lo descriveresti?”.
Qui Stella fece un’altra pausa. Poi, con voce stanca, riprese: “Se non lo sai non posso spiegartelo”.
Patrick McGrath e l’amore distruttivo e autodistruttivo
“Se non lo sai, non posso spiegartelo” è una frase che rovescia il campo d’indagine. Non è Stella a essere sotto osservazione, ma Peter stesso, e con lui ogni lettore che tenta di capire l’amore attraverso la logica. In un colpo solo, la paziente invalida ogni pretesa di oggettività, dichiarando l’impossibilità di spiegare un sentimento che, per sua natura, sfugge alle parole. È l’ineffabilità dell’amore a emergere con forza: esso non si descrive, non si misura, non si analizza. Lo si vive, o non lo si comprende.
Questa posizione è antica quanto la letteratura stessa. Platone, nei Dialoghi, ammette la difficoltà di definire l’amore. Dante lo sublima e lo rende motore cosmico, ma non tenta mai davvero di spiegarlo. Anche i poeti romantici lo lasciano indefinito, sospeso tra cielo e abisso. McGrath, attraverso la voce di Stella, restituisce alla letteratura questo senso di mistero che accompagna da sempre il sentimento amoroso, ma lo fa in un contesto clinico, dove tutto dovrebbe essere analizzabile. E invece no: l’amore, ci dice Stella, resta fuori dal laboratorio, dalla diagnosi, dalla razionalità.
L’impossibilità della condivisione
Il “non posso spiegartelo” suggerisce anche una solitudine strutturale dell’esperienza amorosa. L’amore che ha travolto Stella è stato vissuto in modo totale, esclusivo, probabilmente ossessivo. Ma nessuno, neppure uno psichiatra, può davvero comprenderlo se non l’ha vissuto. In fondo, la frase implica: “Non puoi capirmi, non sei me”.
È una barriera tragica: l’incomunicabilità. Nonostante i tentativi di Peter di ricondurre il sentimento a una narrazione coerente, a un sintomo da collocare in un quadro clinico, l’amore rimane irriducibile. Ed è proprio in questa irriducibilità che si annida il dolore più profondo di Stella: non solo l’amore l’ha distrutta, ma nessuno può capire la natura della sua distruzione. La sua sofferenza resta incompresa, e per questo ancora più solitaria.
La frattura tra ragione e passione
Il confronto tra Peter e Stella è anche il confronto tra due modalità inconciliabili di intendere l’esistenza. Peter, lo psichiatra, rappresenta la razionalità, il controllo, la necessità di categorizzare. Stella incarna il caos, la forza bruciante del desiderio, la discesa negli abissi del sentire. Quando Peter chiede: “Parliamo di questo sentimento che non riuscivi a dominare”, sembra cercare una spiegazione, forse una giustificazione. Ma in realtà mostra la sua estraneità a quel tipo di esperienza. Per lui, l’amore che non si domina è una patologia. Per Stella, invece, è l’unico amore possibile.
Questo squilibrio mostra l’inadeguatezza del linguaggio clinico nel trattare la complessità delle emozioni. McGrath, attraverso la voce di Stella, denuncia la riduzione dell’amore a fenomeno patologico, ricordando che a volte ciò che sembra follia è solo un’espressione estrema, forse tragica, del bisogno d’amare.
“Se non lo sai, non posso spiegartelo” è anche una provocazione. Stella si rivolge implicitamente a chiunque cerchi di incasellare l’amore entro confini definiti. È come se dicesse: “Hai mai amato davvero? Hai mai sentito qualcosa che ti consumava dall’interno, che sfidava ogni logica, che ti portava sull’orlo della rovina? Se no, non capiresti mai”. McGrath ci costringe a guardarci dentro: quanto siamo disposti a lasciarci travolgere? Quanto riusciamo a tollerare che l’amore non sia perfetto, equilibrato, sano?
Amore e distruzione
Nel contesto del romanzo, queste parole assumono un peso ancora maggiore. Follia è la storia di un amore ossessivo, distruttivo, borderline. Stella si innamora di un uomo rinchiuso in un ospedale psichiatrico per uxoricidio. Il suo sentimento la porterà a perdere tutto: il marito, il figlio, la libertà, l’integrità. È una passione assoluta, quella che vive, che non ammette compromessi. In questo senso, l’amore diventa una forza dirompente, simile a una possessione, e la frase che pronuncia è la sua unica difesa: l’impossibilità di spiegare ciò che ha vissuto diventa anche la sua giustificazione. “Non posso spiegarlo, ma era reale”.
La citazione di McGrath ci invita a riflettere sull’amore come esperienza irriducibile, solitaria e potentemente soggettiva. In un’epoca che cerca di codificare ogni emozione, che medicalizza il dolore e razionalizza l’affetto, Follia ci ricorda che esistono territori dell’anima che non possono essere cartografati. L’amore che Stella ha vissuto non è comprensibile perché non è dicibile: è vissuto sulla pelle, nella carne, nella perdita.
“Se non lo sai, non posso spiegartelo” non è solo una risposta. È un verdetto, una resa e al tempo stesso un atto di resistenza contro chi cerca di normalizzare l’inspiegabile. È la voce di chi ha amato fino al limite della distruzione e, pur perdendo tutto, rivendica il diritto di non essere capita. Perché in fondo, nell’amore assoluto, non c’è spazio per spiegazioni: c’è solo il fuoco.