Tra le frasi più celebri di Oscar Wilde, e tra quelle che più hanno contribuito a definire la sua idea di letteratura, troviamo l’affermazione contenuta nella prefazione de Il ritratto di Dorian Gray:
“Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o sono scritti male.”
Questa dichiarazione, apparentemente semplice e diretta, racchiude in realtà un’intera concezione estetica, una visione della letteratura e dell’arte che ha segnato profondamente la cultura europea di fine Ottocento e che continua a interrogare lettori e critici ancora oggi.
Oscar Wilde e i libri
Quando Oscar Wilde pubblicò Il ritratto di Dorian Gray nel 1890, il romanzo suscitò scandalo. Alcuni critici lo giudicarono immorale, corrotto, addirittura pericoloso per la società. Le descrizioni di bellezza sensuale, il culto dell’edonismo, i riferimenti velati a rapporti omosessuali e la decadenza morale del protagonista furono interpretati come un invito alla corruzione.
Per difendersi da queste accuse, Wilde scrisse una prefazione che divenne una sorta di manifesto dell’estetismo. In essa condensò i principi fondamentali del movimento: l’arte non ha doveri morali, non deve educare né punire, ma semplicemente esistere in quanto arte. È in questo contesto che si colloca la citazione in questione.
Arte e morale: due piani distinti
L’affermazione di Wilde scardina un’idea radicata per secoli, secondo cui la letteratura avrebbe un ruolo educativo e morale. Dalla tradizione classica a quella cristiana, passando per l’Umanesimo e l’Illuminismo, il libro era stato spesso visto come strumento di formazione del cittadino o del fedele.
Wilde, invece, rivendica una netta distinzione: la morale appartiene alla vita e ai comportamenti umani, non all’arte. Un romanzo, una poesia o un dramma non sono buoni o cattivi in base ai valori che trasmettono, ma in base alla loro qualità estetica. Un libro, quindi, è valido se è scritto bene, se possiede stile, forza evocativa, originalità; è mediocre se manca di tutto questo, indipendentemente dai contenuti morali che veicola.
Il principio dell’“arte per l’arte”
Questa posizione si inserisce nella più ampia corrente dell’aesthetic movement, riassunta dal motto francese l’art pour l’art (“l’arte per l’arte”). L’arte, secondo tale concezione, non ha altro fine che se stessa: non deve insegnare, non deve propagandare ideologie, non deve piegarsi a criteri utilitaristici.
Wilde, con la sua ironia e la sua intelligenza provocatoria, portò questa idea all’estremo. Non solo difese il diritto dell’arte a non avere scopi morali, ma arrivò a dire che ogni tentativo di giudicare un libro in base alla morale è un segno di incomprensione.
Un’affermazione ancora attuale
La frase di Wilde è tanto più interessante se pensata nel contesto contemporaneo. Ancora oggi i libri – e più in generale le opere artistiche – vengono spesso giudicati sulla base del loro contenuto etico o politico. Ci sono romanzi accusati di essere “troppo violenti”, “troppo espliciti”, “politicamente scorretti”.
La riflessione di Wilde invita invece a distinguere: non è il tema trattato a rendere un libro valido o meno, ma il modo in cui viene trattato. Un romanzo che affronta argomenti controversi, persino disturbanti, può essere grande letteratura se è scritto con intensità, profondità e bellezza; al contrario, un libro che veicola valori positivi può risultare scadente se manca di qualità stilistica.
Il paradosso di Wilde
In tipico stile wildiano, questa affermazione contiene anche un paradosso. Wilde stesso, infatti, non era indifferente alla morale: Il ritratto di Dorian Gray è un’opera che mette in scena il conflitto tra bellezza e corruzione, tra desiderio e rovina. È un romanzo in cui la ricerca esasperata del piacere conduce alla perdizione, e in questo senso ha una forte componente etica.
Eppure, Wilde rifiuta che si riduca l’opera a un sermone morale. Non è un libro “contro” l’edonismo, né un libro “a favore”: è un romanzo che esplora, con intensità estetica, i rischi e le seduzioni dell’estetismo stesso. La sua forza non risiede in una lezione di morale, ma nel modo in cui sa affascinare e inquietare il lettore.
La qualità come criterio
Alla luce di questa prospettiva, la frase di Wilde può essere riletta come un invito a recuperare il valore della qualità estetica nella lettura. In un’epoca come la nostra, in cui spesso prevalgono criteri commerciali o ideologici, Wilde ci ricorda che la prima domanda da porsi davanti a un libro non è: “Quale messaggio trasmette?” bensì: “Com’è scritto? È capace di toccare, emozionare, coinvolgere?”
L’arte, dice Wilde, deve essere giudicata per la sua bellezza e la sua forza espressiva. Solo dopo, eventualmente, possiamo riflettere sui valori che comunica, ma senza confondere i due piani.
“Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o sono scritti male.” Questa celebre affermazione di Oscar Wilde non è solo una difesa del suo romanzo più famoso, ma un manifesto che continua a interpellarci.
Essa ci ricorda che l’arte vive di libertà e non può essere ingabbiata nei confini della morale o della pedagogia. Ci invita a giudicare le opere non per ciò che ci dicono, ma per come ce lo dicono. E ci insegna che il valore di un libro risiede nella sua capacità di trasformare l’esperienza del lettore attraverso la scrittura, non nella sua aderenza a una presunta virtù.
In fondo, la letteratura che resiste al tempo non è quella che ci impartisce lezioni morali, ma quella che sa parlarci con potenza estetica, svelando le mille sfumature della condizione umana. È questo il messaggio che Wilde consegna ai posteri, e che rende la sua voce ancora viva e necessaria.