I versi di Michele Mari sull’amore che non ha pietà

1 Agosto 2025

Leggiamo questi versi di Michele Mari tratti dalla sua raccolta di poesie "Cento poesie d'amore a Ladyhawke" in cui si narra di un amore spietato.

I versi di Michele Mari sull'amore che non ha pietà

I versi di Michele Mari tratti dalla raccolta Cento poesie d’amore a Ladyhawke condensano con struggente lucidità l’esperienza di una disillusione amorosa che sfocia in trasformazione, devianza e amara auto-consapevolezza. In pochi versi, Mari racconta una parabola interiore che va dalla vocazione alla fedeltà alla sua sconfitta, da un ideale puro al deragliamento in una condizione opposta e colpevole. Si tratta di uno dei passaggi più intensi della raccolta, che intreccia amore, rimpianto, umiliazione e un senso di fatalismo.

“Ero fatto per esserti fedele
ma tu mi sei passata davanti
come un treno che non ferma
cosí lo scambio mi ha deviato sul binario
dei traditori e dei puttanieri”

Michele Mari e l’amore che passa oltre

Il primo verso – “Ero fatto per esserti fedele” – ha una forza che va oltre la semplice dichiarazione d’intenti: non si tratta solo di un desiderio o di un proposito, ma di una vera e propria identità. Il soggetto poetico si riconosce nella fedeltà come se fosse un destino iscritto nella sua natura. La fedeltà è dunque un tratto originario, un elemento costitutivo della personalità, quasi una vocazione. Questo tema – quello della fedeltà come predisposizione dell’anima – riecheggia nella tradizione letteraria italiana, ma Mari lo declina con una sensibilità moderna, che non teme di rivelare le fratture dell’io e i suoi cedimenti.

L’evento che cambia il corso

Il secondo e il terzo verso – “ma tu mi sei passata davanti / come un treno che non ferma” – introducono un elemento dinamico e traumatico. La figura femminile, destinataria dell’amore, non ricambia, non si ferma. È travolgente, veloce, irraggiungibile. Il treno che non ferma è un’immagine potentissima: richiama la fretta, l’indifferenza, il tempo che non aspetta. Ma anche il pericolo, il senso di schiacciamento che un passaggio improvviso può comportare. Questo evento – il mancato arresto del treno, il mancato incontro – diventa il punto di svolta. Non si tratta di una rottura tra due persone che si erano legate, ma di un mancato aggancio: il soggetto è stato semplicemente superato, lasciato ai margini senza possibilità di appello.

Lo scambio, la deviazione, la colpa

Il quarto verso – “cosí lo scambio mi ha deviato sul binario” – introduce la metafora ferroviaria in modo ancora più incisivo. Lo “scambio” è il meccanismo che cambia la direzione dei treni, deviarli verso un altro binario. La scelta di questa parola, che nella vita quotidiana può indicare anche un baratto o una transazione, accentua l’idea di uno slittamento forzato. Il soggetto non cambia strada per volontà propria, ma è spinto da un evento esterno. Tuttavia, non può negare la propria responsabilità: è lui che percorre, poi, il binario sbagliato.

L’ultimo verso – “dei traditori e dei puttanieri” – è un colpo secco, uno schiaffo alla nobiltà iniziale. Il soggetto si autodefinisce in modo brutale, senza sconti, evocando due figure archetipiche della disonestà affettiva: il traditore e il puttaniere. L’uno rompe la promessa, l’altro banalizza il desiderio. Ma la chiave di lettura è ambigua: questa condizione è una colpa vera o un destino inevitabile? L’amore mancato, o solo intravisto, ha trasformato un uomo leale in un essere cinico, senza più punti di riferimento. La tragedia, dunque, non sta solo nella perdita dell’amata, ma nella perdita di sé.

La poetica di Michele Mari

Michele Mari è noto per la sua scrittura barocca, colta, ricca di riferimenti letterari, ma anche per una passione autentica per l’infanzia, la memoria e le ossessioni affettive. In Cento poesie d’amore a Ladyhawke, Mari condensa in versi il lungo e travagliato rapporto con una figura femminile, Ladyhawke, che è insieme reale e mitologica, concreta e cinematografica. L’amore descritto in questa raccolta è sempre asimmetrico, segnato dall’idolatria, dall’abbandono, dalla distanza, ma anche da una forza narrativa che lo rende eterno, mitico.

Nei versi analizzati, il tono è malinconico ma mai lamentoso. Il poeta non cerca consolazione, né accusa l’oggetto del desiderio. Piuttosto, si accusa da solo, analizza il proprio fallimento e lo traduce in destino poetico. C’è qualcosa di tragico, quasi dostoevskiano, in questa caduta dal paradiso della fedeltà all’inferno della dissipazione. Eppure, anche nella colpa, c’è una forma di bellezza e di verità. Mari non giustifica il tradimento, ma lo racconta come conseguenza inevitabile di una vocazione d’amore frustrata.

L’ironia nascosta

Anche se la poesia appare drammatica, non manca una sottile ironia. Il linguaggio ferroviario – treno, binario, scambio – ha un che di grottesco, se applicato a un sentimento così intimo. È come se l’autore giocasse con la retorica del destino, sfiorando il paradosso: l’amore mancato diventa un meccanismo meccanico, un sistema binario che devia l’identità. Questa ironia – mai esplicita, ma sempre sul fondo – è tipica della poesia di Mari, che riesce a fondere patetico e comico, lirico e quotidiano, con straordinaria efficacia.

Questi versi di Michele Mari sono un piccolo capolavoro di sintesi emotiva e letteraria. Raccontano un amore mai sbocciato, la frustrazione di un’anima fedele costretta a tradire se stessa, e lo fanno con immagini incisive, crude, spiazzanti. La poesia non redime il soggetto, non offre catarsi, ma mostra con lucidità la traiettoria di una disillusione che diventa identità. E in questa trasformazione sta tutta la potenza tragica e affascinante della scrittura di Mari.

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