Una frase di Maria Zambrano sul valore della meraviglia

14 Maggio 2025

Leggiamo questa frase pregna di significato tratta dal saggio "Filosofia e poesia" dell'intellettuale Maria Zambrano, sulla violenza e sulla meraviglia.

Una frase di Maria Zambrano sul valore della meraviglia

Questa affermazione di Maria Zambrano, intellettuale spagnola del Novecento, si staglia come una delle più intense riflessioni sulla genesi del pensiero filosofico. Il passo è tratto dal suo saggio Filosofia e poesia, opera nella quale la filosofa cerca di restituire alla filosofia la sua origine mitopoietica e lirica, una radice che si è spesso smarrita nel razionalismo sistematico e nella tecnicizzazione del pensiero.

“La violenza vuole, mentre la meraviglia non vuole nulla. A questa è perfettamente estraneo il volere; le è estraneo e perfino nemico tutto quanto non persegue il suo inestinguibile stupore estatico. E, ciò nonostante, la violenza viene a romperla e rompendola invece di distruggerla fa nascere qualcosa di nuovo, un figlio di entrambe: il pensiero, l’instancabile pensiero filosofico.”

Maria Zambrano, la violenza e la meraviglia

Maria Zambrano distingue due forze archetipiche: la meraviglia e la violenza. La meraviglia – che richiama alla mente l’originario thaumázein greco – è per lei uno stato primigenio dell’essere, un’estasi, un’apertura disarmata e pura alla realtà. Non vuole nulla, dice Zambrano, e in ciò risiede la sua radicale alterità rispetto alla volontà e al dominio. La meraviglia non è uno strumento, non è orientata a uno scopo, non si muove secondo un’intenzionalità. È, al contrario, pura ricezione, abbandono, silenzio dinanzi all’ignoto.

In questa condizione estatica, il soggetto non esercita alcuna pressione sul mondo. Si lascia semplicemente attraversare da esso. E tuttavia, proprio questo stato contemplativo, che si sottrae al fare e al volere, è anche estremamente fragile. Ed è qui che interviene la violenza: forza disgregatrice, dirompente, che spezza la quiete estatica della meraviglia.

Ma – e qui Zambrano compie un passaggio straordinario – la violenza non distrugge semplicemente la meraviglia: la rompe, sì, ma nel romperla non la annienta. Al contrario, il contrasto tra le due genera qualcosa di nuovo: il pensiero, e in particolare il pensiero filosofico. Questo pensiero nasce dunque non dalla sola contemplazione estatica né dalla sola forza bruta, ma da un incontro-scontro tra due potenze originarie: la passività luminosa della meraviglia e l’azione cieca della violenza.

Zambrano, che si muove spesso ai margini della filosofia sistematica per farsi cantatrice del pensiero poetico, ci propone una visione in cui la filosofia stessa è figlia di una lacerazione. Non è il frutto di un sapere già costituito, né la conquista pacifica della ragione, ma piuttosto la risposta a una frattura, a un trauma originario. In questo senso, la filosofia non è mai completamente serena, né interamente razionale. È inquietudine, ferita, tensione permanente tra il desiderio di comprendere e l’esperienza dell’incomprensibile.

Questa tensione richiama in modo suggestivo quanto accade nella storia del pensiero greco. Per Platone e Aristotele, la meraviglia è l’origine della filosofia. Ma se si legge Zambrano con attenzione, si nota che per lei la meraviglia non basta a generare pensiero: è necessaria anche una forza di rottura, un’irruzione che spezza l’incanto e costringe la coscienza a interrogarsi. Così, la filosofia non è solo figlia della luce, ma anche dell’ombra che la attraversa. È figlia di un conflitto.

La violenza, in questo quadro, non è soltanto la brutalità fisica o politica. È anche la violenza dell’evento, della perdita, della frattura esistenziale che ci costringe a domandarci il senso delle cose. È l’urto del dolore, il trauma che rompe l’equilibrio e inaugura il pensiero come necessità. Senza questa rottura, la meraviglia resterebbe pura contemplazione ineffabile; con essa, nasce invece la parola che cerca di dire, di spiegare, di comprendere.

Eppure, Zambrano non celebra la violenza. Anzi, la considera nemica della meraviglia, che è l’origine stessa della poesia e dell’amore. La violenza resta una forza negativa, ma necessaria, come una doglia che accompagna il parto del pensiero. È un mezzo crudele, eppure a volte inevitabile, perché dalla frattura può germogliare la consapevolezza. È l’oscura levatrice di una coscienza più profonda.

Maria Zambrano allieva di Jose Ortega

Il pensiero che nasce da questa unione tragica non può dunque essere né puramente poetico né puramente razionale. È un pensiero che sa della sua origine dolorosa, che porta con sé le tracce della meraviglia infranta e del trauma subito. È, come dice Zambrano, “instancabile”, perché non trova mai quiete definitiva. È condannato a cercare, a interrogare, a ricomporre ciò che è stato spezzato.

In definitiva, questa citazione racchiude un’intera visione del pensiero come esperienza viva, inquieta, poetica e ferita. Maria Zambrano ci invita a considerare la filosofia non come sapere astratto, ma come risposta a un’urgenza esistenziale. Essa nasce non nel chiuso delle accademie, ma nel cuore dell’essere, là dove la meraviglia e la violenza si toccano e si combattono. E nel loro abbraccio doloroso, il pensiero si accende – fragile, irrequieto, eppure necessario.

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