La frase di Margaret Doody, messa in bocca ad Aristotele nel romanzo Aristotele Detective condensa in poche parole una riflessione sulla condizione umana. In essa si incrociano due piani: il gusto per l’ordine come esigenza razionale e la constatazione dell’inevitabile caos che attraversa l’esistenza. La tensione fra queste due forze — ordine e disordine — è un nodo filosofico, psicologico e perfino narrativo, che Doody sfrutta sapientemente per dare profondità al personaggio e, al tempo stesso, per interrogare il lettore.
«Non mi piace il disordine. Ma spesso la vita è disordinata. È un errore aspettarsi troppo ordine»
Margaret Doody e il suo Aristotele
L’ordine è spesso percepito come sinonimo di bellezza, giustizia e comprensione. Sin dai filosofi greci, l’universo è stato pensato come kosmos, termine che in greco antico indica proprio un insieme ordinato e armonico. Aristotele stesso, nella realtà storica, concepiva la conoscenza come un sistema organico, in cui le cause e le finalità degli eventi possono essere comprese e classificate.
La preferenza per l’ordine nasce anche da un bisogno emotivo: l’ordine rassicura, dà l’impressione di poter dominare la realtà, di trovare un senso nei suoi fenomeni. In un contesto narrativo come quello di Aristotele Detective, dove si indaga un mistero, la ricerca dell’ordine si traduce nel desiderio di trovare indizi coerenti, di ricostruire una verità. Senza ordine, la comprensione sembra vacillare.
Il disordine come dato di fatto
Ma la seconda parte della frase introduce il rovescio della medaglia: la vita è spesso disordinata. Qui Doody, attraverso la voce di Aristotele, ci ricorda che la realtà non obbedisce sempre ai nostri schemi. Gli imprevisti, le contraddizioni, gli eventi casuali e irrazionali sono parte integrante dell’esistenza.
Il disordine, tuttavia, non è solo un ostacolo; è anche ciò che mantiene viva la dinamica della vita. Un mondo perfettamente ordinato, senza frizioni né deviazioni, sarebbe statico, privo di sorpresa. La letteratura stessa — e il romanzo di Doody lo dimostra — vive di conflitti, incidenti e deviazioni: senza di essi, non vi sarebbe trama né evoluzione.
L’errore dell’eccesso di aspettativa
Il cuore della citazione sta nell’ultima frase: «È un errore aspettarsi troppo ordine». Qui il discorso si sposta sul terreno delle aspettative umane e della loro gestione. Aspettarsi che tutto nella vita segua schemi razionali e controllabili significa esporsi a una frustrazione costante.
Sul piano filosofico, questo ammonimento richiama la medietà aristotelica: la virtù sta nell’equilibrio tra gli estremi. Non si tratta di rinunciare all’ordine, ma di non assolutizzarlo. Accettare un certo grado di disordine significa vivere in sintonia con la natura mutevole del mondo.
Sul piano psicologico, l’eccessiva ricerca di ordine può sfociare in rigidità, ansia e incapacità di adattamento. Una persona che non tollera l’imprevisto si trova continuamente disarmata di fronte alla realtà. In questo senso, il consiglio di Aristotele/Doody è un invito a coltivare la flessibilità.
L’ordine e il disordine nella conoscenza
Il contesto del romanzo, che mescola elementi di giallo e di ricostruzione storica, amplifica il significato della frase. Un’indagine, per sua natura, parte dal disordine: frammenti di informazioni sparse, contraddizioni nei racconti, mancanza di prove. Il lavoro dell’investigatore consiste nel ricostruire un quadro coerente.
Ma il romanzo di Doody, come molta narrativa moderna, mette in guardia dal credere che ogni mistero possa essere risolto in modo perfettamente ordinato. A volte restano zone d’ombra, elementi inspiegabili o incoerenti. Ciò non invalida la ricerca della verità, ma ci obbliga a riconoscere i limiti della nostra comprensione.
Una lezione di realismo
L’invito a non aspettarsi troppo ordine è, in definitiva, un richiamo al realismo. Non significa abbandonarsi al caos, ma sapere che la vita non si lascia incasellare completamente. In termini esistenziali, si tratta di accogliere la complessità senza cercare di ridurla a uno schema rigido.
Molte tradizioni filosofiche e spirituali hanno espresso concetti analoghi. Il taoismo, ad esempio, sottolinea l’alternanza di yin e yang, il fluire armonico di forze opposte che non si annullano ma si completano. Anche nella filosofia occidentale contemporanea, pensatori come Edgar Morin parlano di pensiero complesso, capace di tenere insieme ordine e disordine senza annullarne le differenze.
Il disordine come opportunità
Paradossalmente, l’accettazione del disordine può diventare una fonte di creatività. Molte scoperte scientifiche e artistiche nascono da deviazioni inattese, da errori o incidenti che aprono strade nuove. L’eccesso di ordine rischia di soffocare la possibilità di innovazione.
In questo senso, la frase di Doody può essere letta anche come un incoraggiamento a non irrigidirsi nei metodi e nelle aspettative, ma a lasciare spazio all’improvvisazione e alla sorpresa. Nel romanzo, questa apertura consente al personaggio di cogliere indizi che non rientrano nei modelli predefiniti.
La citazione di Margaret Doody unisce in poche righe un nucleo di saggezza antica e una sensibilità narrativa moderna. L’ordine resta un valore fondamentale, ma il disordine è parte integrante della vita, e ignorarlo o combatterlo a oltranza significa fraintendere la realtà. Accettare questa ambivalenza è forse una delle più difficili lezioni dell’esistenza: saper mettere ordine quando serve, ma anche vivere serenamente quando l’ordine sfugge.
In fondo, la vita, come il buon romanzo, si muove in questo spazio intermedio — abbastanza ordinata da poter essere raccontata, abbastanza disordinata da valere la pena di essere vissuta.