La poesia di Luis Sepulveda da cui sono tratti i versi “L’ultima nota del tuo addio / mi disse che non sapevo nulla…” nasce in un momento particolare, quasi sospeso nel tempo, in cui realtà e memoria si intrecciano fino a diventare un’unica trama. Siamo sull’Espresso Basilea–Parigi. Luis Sepúlveda, “Lucho”, sta tornando da Gijón, dove ha partecipato come ospite scrittore alla Semana Negra. Non sa che, nella casa della Foresta Nera che condivide con Margarita — compagna da cui è ormai sentimentalmente distante — qualcuno lo attende. Non Margarita, ma Carmen, la donna amata in gioventù, la donna da cui si era separato vent’anni prima e che mai aveva smesso di abitare una parte segreta della sua memoria.
L’ultima nota del tuo addio
mi disse che non sapevo nulla
e che arrivavo
al necessario tempo
di imparare i perché della materia.Così, fra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.Che i solfeggi e i sol
raddoppiano la fame dell’orecchio.
Che è la strada, e la polvere,
la ragione dei passi.
Che la via più breve
fra due punti
è il giro che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
Luis Sepulveda e Carmen Yanez
Il ritorno di Carmen non è solo un ritorno fisico. È un ritorno di senso, un ritorno di destino. E Margarita, che ha capito da tempo quale sia la verità nascosta tra le pieghe di quella casa, invita Carmen e perfino suo figlio Jorge Amadeus, pur sapendo che quel gesto potrebbe cambiare per sempre gli equilibri della sua stessa vita. La generosità di Margarita — che si prende cura di tutti i bambini, dei tre avuti con Luis e del figlio di Carmen — è il gesto più silenziosamente poetico di tutta la vicenda: protegge ciò che deve accadere, senza ostacolarlo, senza possederlo.
Quando Lucho entra in casa e trova Carmen, qualcosa si riaccende. Non tanto un’emozione nuova, quanto un’emozione antica che riprende a respirare. La loro storia, interrotta due decenni prima, ricomincia a scorrere come se avesse atteso proprio quel momento per riallacciarsi con naturalezza.
È su quel treno, mentre viaggiano verso Parigi, che Sepúlveda scrive la poesia i cui versi descrivono il tempo dell’apprendimento, il tempo dell’amore che ritorna e che, tornando, illumina diversamente il passato. Come spesso faceva, Lucho in seguito ritoccherà quei versi, ma il nucleo emotivo nasce lì, tra Basilea e Parigi, in un vagone che diventa, per alcune ore, l’officina di un pensiero nuovo.
La prima immagine è un paradosso: l’addio porta conoscenza. O meglio, rivela quanto ancora non si conosca. Sepúlveda comprende, a distanza di anni, che ogni separazione lascia una ferita che è anche una domanda. Arrivavo al necessario tempo di imparare i perché della materia: il poeta capisce che la vita è fatta di leggi non scritte, e che l’amore — come la materia — segue dinamiche precise, ma difficili da decifrare finché non si vive abbastanza.
I “perché della materia” sono i perché della vita: cosa ci tiene uniti, cosa ci separa, cosa resta quando tutto sembra perduto. Il viaggio ricongiunto con Carmen è proprio questo: la possibilità di entrare in un tempo nuovo, dove apprendere ciò che la giovinezza non aveva permesso di comprendere.
Nel treno che li porta verso Parigi, in quel momento sospeso, Sepúlveda formula una sorta di matematica emotiva: l’amore, per lui, non è un’astrazione ma una pratica concreta del vivere. Sommare diventa un verbo dell’intimità: sommare due vite, sommare esperienze, sommare presenze. Sottrarre, invece, è lasciare andare, è sottrarre pezzi di sé fino a sentirsi svuotati. Le separazioni — quelle vere — sottraggono, dissolvono parti identitarie, e l’io diventa un contenitore più leggero ma anche più povero.
“La via più breve fra due punti è il giro che li unisce in un abbraccio sorpreso”
Qui la poesia raggiunge uno dei vertici più alti del suo significato. Sepúlveda rovescia un principio matematico: la linea retta non è la via più breve. Lo è invece il “giro”, cioè il percorso inatteso, il ritorno, la deviazione che permette finalmente di incontrarsi davvero. L’amore trova la sua verità nei movimenti circolari, in quelle traiettorie che sembrano allontanare ma che, alla fine, ricongiungono.
Il loro abbraccio ritrovato, quindi, non è solo un gesto fisico, ma una forma geometrica dell’esistenza: ciò che si era spezzato ritorna sorprendentemente a chiudersi.
La poesia non può essere separata dal contesto umano in cui nasce. La casa di Gijón, dove Carmen e Lucho vivranno fino alla morte di Sepúlveda, diventa un luogo quasi magico. I due animali, D’Artagnan e il Compagno Yoyo, sono parte integrante di questa nuova armonia. Il gatto, in particolare, osserva Lucho mentre scrive, quasi fosse il custode silenzioso della sua creatività. È lui il vero padrone della casa, come raccontano gli amici: un osservatore attento, ironico, specchio di un universo domestico ritrovato.
Questi versi non sono solo un testo poetico, ma un documento di vita. Parole nate tra pietra e pietra, tra passato e presente, tra ciò che si era smarrito e ciò che si è finalmente ricostruito. Luis Sepúlveda parla di addii e di ritorni, di materia e di abbracci, di vie brevi che diventano lunghe e di vie lunghe che, alla fine, si rivelano sorprendentemente brevi.
La poesia diventa così la testimonianza di una seconda possibilità, di un amore che non chiede più spiegazioni ma solo presenza. In questo senso, l’abbraccio sorpreso tra due punti è la più bella definizione dell’amore che ritorna: un cerchio che finalmente si chiude, senza fretta, senza rimpianti, senza più addii.