Una frase di Lalla Romano sul valore della bellezza

2 Dicembre 2025

Leggiamo assieme questa illuminante e, forse, salvifica citazione di Lalla Romano tratta dalla sua opera "Nei mari estremi".

Una frase di Lalla Romano sul valore della bellezza

La citazione di Lalla Romano tratta da Nei mari estremi  è una di quelle frasi che si imprimono nella mente come un lampo di lucidità. Poche parole che racchiudono un intero programma di vita, una riflessione filosofica, un’idea di letteratura e un’etica dell’esistenza. In essa si intrecciano due concetti soltanto apparentemente distanti: la bellezza, che spesso associamo al piacere, all’armonia, all’estetica; e la salvezza, che immediatamente richiama un piano morale, spirituale o perfino religioso.

Lalla Romano, però, smonta questa dicotomia e indica una via diversa: la bellezza può essere una forma di salvezza, ma solo se è liberata dall’edonismo superficiale; la salvezza può essere un’esperienza autentica, ma solo se non cade nel bigottismo. Si tratta di un invito alla purezza dello sguardo e alla pienezza dell’esperienza.

«Bellezza come salvezza. Conseguenza: pulire la bellezza dall’edonismo – e la salvezza dal bigottismo»

Lalla Romano e la salvezza nel bello

Per comprendere la prima parte della citazione, bisogna osservare cosa intende Lalla Romano per “bellezza”. Non si tratta di una bellezza decorativa, compiacente, fatta di apparenze o di artifici. È una bellezza che implica profondità, autenticità, coinvolgimento. La bellezza, per lei, non è mai un fatto puramente estetico: è una via di accesso al reale, una soglia che consente di percepire l’essenza delle cose. È ciò che permette all’individuo di aprire gli occhi, di interrogarsi, di vivere con maggiore intensità e consapevolezza.

Quando Lalla Romano afferma che la bellezza deve essere “pulita dall’edonismo”, invita a liberarla da tutto ciò che la riduce a mero consumo visivo o emotivo. L’edonismo, nel contesto contemporaneo, spesso si trasforma in una ricerca ossessiva del piacere immediato, in una estetizzazione continua della vita, in cui la bellezza diventa una merce. Il rischio, allora, è che essa perda ogni potere trasformativo.

Romano, invece, vuole recuperare la bellezza come esperienza etica: qualcosa che ci mette di fronte al mondo e ci costringe a guardarlo con attenzione, rispetto, cura. Nella sua scrittura, la bellezza è fatta di dettagli quotidiani — un paesaggio alpino, un gesto familiare, un silenzio che pesa — e proprio in questa dimensione minuta trova il proprio valore.

La bellezza salvifica, dunque, non è quella che distrae, che consola, che promette un godimento immediato: è quella che ferisce, che illumina, che apre.

La salvezza oltre il bigottismo

La seconda parte della citazione è altrettanto densa: «pulire la salvezza dal bigottismo». Se la bellezza può essere distorta dall’edonismo, la salvezza può essere tradita dal bigottismo. Romano mette in guardia da una concezione rigida, moralistica, dogmatica della salvezza, intesa come adesione cieca a norme o principi. Il bigottismo svuota la salvezza del suo significato umano: la trasforma in un meccanismo automatico o in una forma di giudizio.

Per la scrittrice piemontese, invece, la salvezza è un processo intimo, personale, legato alla capacità di riconoscersi nella propria fragilità e di trovare un varco verso un senso più alto della vita. Il bigottismo, con la sua pretesa di possedere la verità, soffoca questa dimensione. Impone formule, invece di aprire percorsi. Stabilisce confini, invece di favorire l’esperienza.

Pulire la salvezza dal bigottismo significa restituirle un orizzonte aperto: la possibilità di trasformazione umana, di rigenerazione interiore, di comprensione profonda dell’esistenza. Non si tratta di una salvezza religiosa nel senso tradizionale, ma di una forma di salvezza esistenziale, che riguarda il modo in cui l’individuo si rapporta al mondo, al dolore, al limite.

Bellezza e salvezza, per Romano, sono strettamente collegate: entrambe richiedono un esercizio di attenzione, una pulizia dello sguardo. Non esiste bellezza salvifica se lo sguardo è inquinato dall’egoismo, dalla superficialità o dalla ricerca ossessiva del piacere. Non esiste salvezza autentica se lo sguardo è oscurato dal pregiudizio, dalla chiusura mentale, dal moralismo soffocante.

Lalla Romano propone una visione in cui la bellezza diventa una forma di conoscenza e la salvezza una forma di libertà. Ci invita a guardare il mondo non per consumarlo, ma per comprenderlo; non per giudicarlo, ma per accoglierlo; non per sentirci superiori, ma per sentirci parte di una realtà più ampia.

La citazione conserva una sorprendente attualità. Viviamo in un’epoca dominata dalle immagini, dove la bellezza rischia spesso di ridursi a estetizzazione vuota; allo stesso tempo, assistiamo alla rinascita di forme di moralismo e rigidità che ingabbiano l’esperienza umana. Romano ci offre un invito opposto: purificare la bellezza dal consumo e la salvezza dal dogma; cercare una via interiore capace di unire etica ed estetica; ricordare che la vera bellezza salva perché apre, non perché seduce.

In questa sintesi potente si racchiude l’intero messaggio del suo libro: una ricerca di senso, di rigore, di autenticità che ancora oggi possiamo sentire come un richiamo urgente.

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