Nei versi della poesia Arte poetica, contenuta nella raccolta L’artefice, Jorge Luis Borges condensa una riflessione profonda sull’essenza dell’arte, che si situa tra rivelazione interiore e ritorno alle origini. Le immagini che evoca – lo specchio, Ulisse, Itaca – sono simboli potenti e carichi di tradizione letteraria, e diventano per Borges strumenti di un discorso che supera la dimensione estetica per toccare il senso stesso dell’esperienza umana.
Talora nelle grigie sere un volto
ci guarda dal profondo d’uno specchio;
l’arte dev’esser come quello specchio
che ci rivela il nostro stesso volto.
Ulisse, è fama, stanco di prodigi,
pianse d’amore quando scorse Itaca
umile e verde. L’arte è questa Itaca
di verde eternità, non di prodigi.
Jorge Luis Borges e il topos dello specchio
La poesia si apre con un’immagine inquieta e familiare al tempo stesso: “Talora nelle grigie sere un volto / ci guarda dal profondo d’uno specchio”. Il riflesso che ci fissa non è sempre rassicurante. Borges richiama qui un’esperienza che ha qualcosa di onirico e spettrale: lo specchio, oggetto comune e quotidiano, diventa portale verso qualcosa di più profondo e sconosciuto. Non è solo la superficie riflettente di un’immagine esterna, ma lo spazio simbolico dove si manifesta il nostro “vero volto” – non quello che offriamo al mondo, ma quello che a volte tentiamo di evitare.
È proprio a questa funzione che Jorge Luis Borges richiama l’arte: “l’arte dev’esser come quello specchio / che ci rivela il nostro stesso volto”. Il compito dell’arte, secondo il poeta argentino, non è stupire o distrarre, non è l’intrattenimento o l’evasione, ma la rivelazione. Un’opera d’arte autentica ci mette di fronte a noi stessi, ci obbliga a un confronto, ci costringe a guardare dove normalmente distogliamo lo sguardo. In questa concezione, l’arte non ha nulla di consolatorio o decorativo: è una pratica che porta alla conoscenza, che rende visibile l’invisibile. Lo specchio borgesiano non è narciso, ma è coscienza.
Questo rapporto tra arte e rivelazione trova una delle sue immagini più suggestive nel paragone con Ulisse. “Ulisse, è fama, stanco di prodigi, / pianse d’amore quando scorse Itaca / umile e verde.” Borges, che spesso nei suoi scritti ha dialogato con i miti e con le letterature antiche, prende qui una delle figure archetipiche dell’esplorazione e del ritorno per riformularne il significato.
L’eroe che ha visto il ciclope, che ha udito il canto delle sirene, che ha vissuto le meraviglie e gli orrori del mondo, non si commuove di fronte a nuove imprese, ma di fronte al paesaggio modesto e quotidiano della sua terra. La stanchezza del prodigio è forse la chiave: l’uomo che ha conosciuto tutto cerca finalmente la semplicità, la verità nascosta nel familiare.
Ecco allora che Borges scrive: “L’arte è questa Itaca / di verde eternità, non di prodigi.” Itaca, con la sua umiltà verdeggiante, diventa per il poeta l’immagine dell’arte autentica. Un’arte che non promette meraviglie artificiali o illusioni momentanee, ma che offre uno spazio di verità e di ritorno. È interessante notare l’aggettivo “verde”, che richiama la vita, la fertilità, la continuità del tempo: Borges sembra volerci dire che è nella pazienza dell’attesa, nella fedeltà alle cose semplici, che si trova la vera eternità. Il colore verde diventa quindi il segno di ciò che permane, che radica, che accoglie il ritorno.
In questa lettura, l’arte non è né fuga né orpello, ma il cammino che ci riconduce a noi stessi. Proprio come Ulisse, il lettore – o il poeta – attraversa esperienze, forme, linguaggi, per giungere infine a un punto d’arrivo che è anche un punto d’origine. Non si tratta di creare meraviglia per la meraviglia, ma di svelare, attraverso le parole, un paesaggio interiore che ci appartiene profondamente.
Ulisse e Itaca
Il legame tra poesia e verità, tra immaginazione e conoscenza, è da sempre al centro del pensiero poetico di Borges. Tuttavia, questi versi rivelano anche la sua diffidenza per l’effetto e il virtuosismo, per quella parte dell’arte che mira solo all’impressione, al miracolo. In questo senso, Arte poetica è una dichiarazione di poetica contro il barocco dell’apparenza e a favore di una poesia che si assume la responsabilità del vero. Lo specchio che riflette il volto, e non una maschera.
Borges, maestro del paradosso e del labirinto, in questi versi appare invece essenziale, diretto, classico. Eppure, sotto questa superficie limpida, c’è una profondità filosofica che scava nel senso stesso della creazione artistica. L’arte, per Borges, è tanto meno effimera quanto più sa rinunciare al prodigio. Solo così può raggiungere quella “eternità verde” che, come Itaca, ci aspetta al termine di ogni viaggio, non per stupirci, ma per accoglierci.