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Una frase di Jorge Luis Borges sulla natura della verità

Leggiamo questa riflessione che in un saggio - "La mappa segreta" - fa Jorge Luis Borges sulla natura della verità, e del perché sia indecifrabile.

Questa riflessione, contenuta ne La mappa segreta, raccolta postuma di appunti e saggi di Jorge Luis Borges pubblicata da Adelphi, porta con sé il peso di un’intera vita dedicata alla scrittura, alla filosofia, alla letteratura e al pensiero. In poche parole, Borges compie una vera e propria torsione del concetto di verità, distanziandosi dall’idea che essa sia un oggetto nascosto, un enigma, un segreto da decifrare. Al contrario, egli suggerisce che la verità sia immediata, banale, quasi deludente nella sua semplicità. Ed è proprio questa sua semplicità a renderla insopportabile.

«Forse, al contrario di quanto si crede di solito, la verità non è un mistero, ma qualcosa che tutti sappiamo e cerchiamo di dimenticare, perché non è né arguta né stupefacente.»

Jorge Luis Borges e sua riflessione sulla verità

Borges è da sempre stato un autore che ha giocato con i paradossi, i labirinti, le simmetrie e le illusioni del sapere. Nei suoi racconti, spesso la conoscenza si rivela una trappola, e la realtà, lungi dall’essere un fondamento solido, si frammenta in specchi, sogni e finzioni. Tuttavia, in questa nota raccolta nel libro finale, si coglie una sorta di disincanto maturo, quasi una rinuncia all’idea romantica della verità come qualcosa da conquistare con lo sforzo dell’intelletto o dell’intuizione. Borges sembra suggerire che, sotto l’impalcatura delle nostre sofisticate costruzioni intellettuali, la verità riposa da sempre, evidente e dimessa.

Ma perché allora la dimentichiamo? Perché la verità, in questa visione, non è «né arguta né stupefacente»? Il pensiero borgesiano si accosta qui a una sorta di filosofia dell’ovvietà dimenticata. L’uomo moderno, immerso nella complessità e nella sovrabbondanza di informazioni, sembra cercare risposte sempre più straordinarie, più complesse, più brillanti. La verità, se non sorprende, se non si distingue per il suo carattere spettacolare, non ci interessa più. Preferiamo l’enigma, il mistero, l’occulto. Preferiamo, direbbe Borges, l’invenzione alla realtà.

La verità che “tutti sappiamo” ma cerchiamo di dimenticare può essere intesa come quella semplice consapevolezza dell’essere mortali, dell’essere limitati, dell’essere parte di un tutto che non ci è dato controllare. In molte delle sue opere, Borges ha affrontato il tema del tempo e dell’identità, mettendo in scena personaggi che, nel tentativo di possedere un sapere assoluto o eterno, finiscono per perdersi in un gioco infinito di specchi. In Funes, il memorioso, il protagonista possiede una memoria assoluta che si rivela però una maledizione, non un dono. Analogamente, chi cerca la verità come se fosse un mistero rischia di restare intrappolato in una ricerca infinita, dimenticando che, forse, la verità era lì fin dall’inizio, chiara e disadorna.

Questa visione ha radici anche nella tradizione filosofica. Già Platone, nel Fedone, parlava della verità come di un ricordo (anamnesi), qualcosa che l’anima conosceva già prima della nascita. Ma, diversamente dal pensiero platonico, Borges non attribuisce alla verità un carattere sacro o trascendente: egli ne sottolinea piuttosto l’aspetto anti-spettacolare, la sua natura “non stupefacente”. La verità, proprio perché non è eccezionale, viene rimossa dalla nostra coscienza. La dimentichiamo perché non brilla abbastanza, perché è troppo simile alla quotidianità, troppo vicina all’esperienza comune.

L’indecifrabile verità

In questo senso, Borges sembra anche denunciare una tendenza moderna alla spettacolarizzazione del pensiero. Viviamo in un’epoca in cui tutto deve sorprendere, scioccare, cambiare prospettiva. L’arte, la filosofia, la scienza cercano costantemente il “nuovo” e l’“inaspettato”, mentre la verità — nella sua veste semplice e sobria — viene trascurata, considerata noiosa o scontata. Borges, con la sua ironia sottile e la sua profondità filosofica, ci invita invece a ripensare il nostro rapporto con la conoscenza e con la realtà. Ci invita a una forma di umiltà intellettuale: riconoscere che la verità non è sempre nascosta, ma può essere sotto i nostri occhi, e proprio per questo cerchiamo di evitarla.

Infine, c’è un’eco quasi buddista in questa riflessione di Jorge Luis Borges: l’idea che la verità sia qualcosa di evidente ma rifiutato, una verità dell’impermanenza, del vuoto, dell’assenza di essenza. La mente, abituata ad aggrapparsi a concetti, identità e narrazioni, respinge questa verità troppo elementare, troppo nuda. La verità non serve a esaltare il nostro ego, non ci eleva né ci glorifica. È, semplicemente, ciò che è.

Con La mappa segreta, Jorge Luis Borges ci lascia uno degli ultimi tasselli del suo universo letterario e filosofico. Un universo in cui il senso si nasconde spesso dove meno lo cerchiamo, e in cui la verità, come un volto familiare che non vogliamo riconoscere, ci accompagna silenziosamente, in attesa che smettiamo di ignorarla.

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