La citazione di Jack London tratta dal celebre romanzo Il richiamo della foresta ci introduce a una riflessione profonda sulla condizione umana (e animale), sulle origini dell’estasi, e sul ritorno alle radici più autentiche dell’essere. Attraverso le vicende del cane Buck, London descrive un viaggio di trasformazione che porta l’individuo – umano o animale – a riscoprire la propria essenza primordiale. In questa frase, si esplora uno stato di elevazione estrema: l’estasi vissuta come un totale oblio dell’esistenza, un’esperienza paradossale in cui si è supremamente vivi proprio nel momento in cui ci si dimentica di esserlo.
C’è un’estasi che caratterizza il culmine della vita e oltre la quale la vita non può innalzarsi. E il paradosso di vivere è tale che questa estasi arriva quando si è sommamente vivi e viene come un totale oblio dell’essere vivi.
Questa estasi, questo dimenticarsi di vivere, viene all’artista fuori di sé colto da una vampata di passione; viene durante la battaglia campale al soldato pazzo di guerra quando rifiuta la tregua; e venne a Buck alla testa del branco mentre faceva risuonare il vecchio grido del lupo, teso a inseguire il cibo ancora vivo che fuggiva rapido davanti a lui sotto la luna. Stava scandagliando le profondità della sua natura e di parti della sua natura ancora più profonde di lui, le stesse che risalivano nel grembo del Tempo.
Jack London e l’estasi al culmine della vita
Jack London sottolinea che questa estasi non è un’esperienza ordinaria, ma qualcosa che appartiene al “culmine della vita”, ovvero uno stato di intensità assoluta. È una condizione in cui tutte le forze vitali si concentrano al massimo, dove la consapevolezza razionale viene sostituita da un flusso travolgente di energia. In tale contesto, l’estasi diventa sinonimo di pieno coinvolgimento nell’atto che si sta compiendo, sia esso un’opera d’arte, una battaglia o una caccia.
Per London, quest’estasi rappresenta una forma di trascendenza terrena, accessibile non attraverso la fuga dalla realtà, ma tramite un’immersione profonda nel presente. Essa è l’espressione più pura della vita perché annulla la distanza tra l’individuo e l’azione: chi sperimenta l’estasi, pur dimenticando se stesso, vive un’esistenza più autentica e intensa.
London utilizza tre immagini potenti per illustrare questa idea: l’artista, il soldato e Buck.
L’artista vive l’estasi nel momento in cui è interamente assorbito dall’atto creativo. Questo stato può essere paragonato al cosiddetto “flusso” descritto dagli psicologi moderni: un’esperienza in cui il tempo e lo spazio sembrano svanire, e l’individuo si ritrova completamente immerso nella propria opera. In quell’istante, l’artista si dimentica di vivere perché è totalmente fuso con il processo creativo.
Anche sul campo di battaglia si può raggiungere un’estasi paradossale. Il soldato, spinto al limite della resistenza fisica e mentale, si perde nel fervore della guerra. In questa situazione estrema, la paura della morte viene superata dall’adrenalina e dall’istinto primordiale di sopravvivenza. Non c’è più consapevolezza di sé: esiste solo l’azione, la lotta, e l’urgenza del momento.
Buck e il richiamo del lupo
Infine, l’estasi di Buck è profondamente legata alla natura. Alla testa del branco, Buck incarna la libertà selvaggia: non è solo un leader, ma l’incarnazione stessa di un istinto ancestrale che lo spinge a inseguire la preda sotto la luce della luna. In questo momento, Buck si riconnette con la sua essenza più profonda, una parte di sé che risale al “grembo del Tempo”. L’istinto del lupo, che vive in lui nonostante la sua natura di cane addomesticato, si risveglia con tutta la sua forza primordiale.
Il viaggio di Buck, nel romanzo, è metafora del ritorno alle origini e alla libertà. Nel mondo civilizzato, Buck vive intrappolato in una realtà artificiale che lo separa dalla sua vera natura. La sua trasformazione da cane domestico a capobranco è una celebrazione del potere della natura di richiamare gli esseri viventi verso la loro autenticità più profonda.
Questo “richiamo della foresta” può essere interpretato come il richiamo delle radici: ciò che è autentico e puro, ma che spesso dimentichiamo nella nostra quotidianità. L’estasi che Buck sperimenta è il culmine di questo ritorno alle origini, uno stato in cui non c’è posto per le convenzioni o per la consapevolezza razionale, ma solo per la fusione con l’istinto e la vita.
Una delle riflessioni più profonde contenute in questa citazione è il paradosso secondo cui l’estasi nasce dall’oblio della vita, ma è anche l’espressione massima del vivere. Questo apparente contrasto riflette l’essenza stessa della condizione umana, in cui momenti di pienezza spesso comportano un distacco dall’io e dalla consapevolezza di esistere.
L’estasi, allora, rappresenta un’apertura verso qualcosa di più grande di sé. Che si tratti della creazione artistica, della lotta per la sopravvivenza o della connessione con la natura, questo stato permette all’individuo di trascendere i limiti della propria esperienza e di riconciliarsi con una realtà universale e primordiale.
La citazione di Jack London invita a considerare l’estasi non solo come un momento raro e straordinario, ma come qualcosa di profondamente legato alla vita. Essa non appartiene solo agli artisti, ai guerrieri o ai leader di un branco: anche noi, nella nostra quotidianità, possiamo sperimentare questa estasi quando siamo interamente presenti in ciò che facciamo, che sia un gesto d’amore, un atto creativo o una connessione con la natura.
London, attraverso le vicende di Buck, ci ricorda che il vero senso della vita non sta solo nella razionalità, ma nella capacità di abbandonarsi a ciò che ci rende vivi nel profondo. La sfida è ascoltare il “richiamo della foresta” che risuona dentro di noi e lasciarsi guidare verso un’estasi autentica, dove la vita tocca il suo culmine.