Iosif Brodskij, poeta russo di straordinaria profondità e finezza intellettuale, ha lasciato un’eredità poetica che esplora i confini tra il nulla e l’essere, tra la transitorietà dell’uomo e l’infinità dello spazio. Nei versi “Ma dalle nubi non torna più azzurro l’uccellino, e anche noi non siamo proprio dèi in miniatura. Perciò siamo felici: siamo un niente. E cime, ed orizzonti, eccetera, sprezzano questa pelle liscia. Corpo è rovescio dello spazio, comunque la si giri”, emerge una riflessione intensa sulla condizione umana, sulla sua fragilità e sulla sua insignificanza di fronte all’universo.
Ma dalle nubi non torna più azzurro l’uccellino,
e anche noi non siamo proprio dèi in miniatura.
Perciò siamo felici: siamo un niente. E cime,
ed orizzonti, eccetera, sprezzano questa pelle liscia.
Corpo è rovescio dello spazio, comunque la si giri.
Iosif Brodskij e la felicità nonostante la finitudine
Il primo verso, “Ma dalle nubi non torna più azzurro l’uccellino”, evoca una perdita irreversibile. L’immagine dell’uccellino, spesso simbolo di leggerezza, libertà e speranza, viene qui rovesciata: una volta scomparso tra le nubi, esso non ritorna più. Questa immagine suggerisce la natura effimera delle cose, la loro impossibilità di essere recuperate o ripristinate. La stessa condizione vale per l’essere umano, che non ha il potere di riportare indietro ciò che è stato, né di invertire il flusso del tempo.
L’idea di perdita si collega poi alla riflessione sulla condizione umana: “E anche noi non siamo proprio dèi in miniatura”. Qui Brodskij sembra sfidare l’antropocentrismo, quell’illusione per cui l’uomo si crede padrone dell’universo, dotato di un potere quasi divino. La consapevolezza della nostra fragilità e limitatezza, dunque, è il primo passo verso un’esistenza più autentica.
L’ossimoro “Perciò siamo felici: siamo un niente” introduce una riflessione sorprendente. Apparentemente, il nulla è associato a un’idea di vuoto e disperazione. Tuttavia, per Brodskij, è proprio questa consapevolezza della nostra irrilevanza a liberarci dal peso dell’onnipotenza e dell’illusione di controllo. L’accettazione della nostra insignificanza cosmica diventa paradossalmente una fonte di felicità. È una felicità che nasce dall’assenza di pretese, dal riconoscimento che non siamo obbligati a dominare il mondo né a cercare un significato assoluto in ogni cosa.
Questa prospettiva riecheggia in parte il pensiero di filosofi come Albert Camus, che nel suo mito di Sisifo trova nell’accettazione dell’assurdo l’unica forma di libertà possibile. Se l’esistenza non ha un senso ultimo, allora possiamo smettere di cercarlo ossessivamente e semplicemente esistere, nella nostra pienezza di esseri effimeri.
Iosif Brodskij prosegue con “E cime, ed orizzonti, eccetera, sprezzano questa pelle liscia”. Qui viene introdotta un’immagine di contrapposizione tra la maestosità della natura e la precarietà umana. Le cime e gli orizzonti, simboli dell’immensità e dell’eterna solidità della natura, guardano con indifferenza alla nostra esistenza limitata e mortale. Il verbo “sprezzano” suggerisce un distacco quasi crudele: la natura non ha bisogno di noi, non si cura delle nostre vicende, né delle nostre paure o speranze. L’essere umano è un passante in un paesaggio che rimarrà indifferente alla sua presenza e alla sua scomparsa.
Ancora una volta, la poesia di Brodskij si avvicina alla riflessione esistenzialista: l’universo è silenzioso di fronte alle domande dell’uomo, e ogni tentativo di trovare un dialogo con esso si scontra con la sua indifferenza. Tuttavia, questa constatazione non è necessariamente motivo di angoscia, ma può trasformarsi in un invito a vivere con maggiore autenticità, senza cercare approvazione o giustificazioni esterne.
Il corpo come confine tra essere e spazio
L’ultimo verso, “Corpo è rovescio dello spazio, comunque la si giri”, è forse il più enigmatico e filosofico. Il corpo umano viene descritto come il “rovescio” dello spazio, suggerendo che l’esistenza individuale è una sorta di inversione della vastità dell’universo. Se lo spazio rappresenta l’illimitato e il perenne, il corpo umano è invece il luogo della finitezza, della delimitazione, della mortalità. Il nostro corpo, in altre parole, è il segno tangibile della nostra separazione dal cosmo infinito, un confine tra ciò che è e ciò che potrebbe essere.
Questa visione richiama alcune riflessioni della fenomenologia di Merleau-Ponty, secondo cui il corpo non è solo un oggetto tra gli oggetti, ma è il mezzo attraverso cui percepiamo e abitiamo il mondo. Il nostro rapporto con lo spazio, quindi, non è solo teorico o astratto, ma è profondamente radicato nella nostra fisicità.
Nei suoi versi, Iosif Brodskij ci offre una visione profonda e disincantata dell’esistenza. L’essere umano non è un piccolo dio, ma nemmeno un padrone dell’universo. È una creatura effimera, insignificante su scala cosmica, ma proprio questa consapevolezza può diventare una forma di liberazione. L’accettazione del nostro “niente” ci permette di abbracciare la vita con leggerezza, senza l’ossessione di doverla giustificare.
La poesia di Brodskij non consola, ma illumina. Non promette un senso assoluto, ma ci invita a guardare il mondo con occhi nuovi, riconoscendo la bellezza della nostra precarietà e della nostra temporaneità. In questo, il suo messaggio resta straordinariamente attuale e universale.