La citazione di Herman Melville tratta da Moby Dick, pronunciata dal capitano Achab racchiude una delle più potenti riflessioni metafisiche della letteratura americana. In poche frasi, Melville ci offre una visione della realtà che non è soltanto narrativa, ma filosofica, esistenziale e profondamente tragica.
“Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono soltanto maschere di cartone, ma in ogni evento, nell’atto vivo, nell’azione indubitata, qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole, sporge le sue fattezze sotto la maschera bruta. E se l’uomo vuol colpire, colpisca sulla maschera!”
Herman Melville e il capitano Achab
Nel parlare di “maschere di cartone”, Achab si riferisce alla superficie visibile delle cose, a quel velo sottile che riveste ogni evento, ogni oggetto, ogni essere umano. Per Melville, la realtà così come si presenta ai nostri sensi non è che una rappresentazione, un’illusione teatrale che nasconde qualcosa di più profondo e inafferrabile. La maschera, come simbolo, è fragile (“di cartone”) eppure capace di celare una forza arcana, una verità ultima. In questo senso, ogni cosa che accade, ogni atto umano, ha due dimensioni: quella visibile, apparente, e quella nascosta, misteriosa.
Il concetto è vicino alla visione gnostica del mondo: la materia è inganno, l’essenza vera delle cose è invisibile, occultata dietro un velo. Ma Melville non si ferma qui. Non nega l’importanza del visibile; anzi, indica in esso la strada per penetrare nell’invisibile. L’atto del “colpire la maschera” non è un gesto futile o illusorio: è, al contrario, un modo per affermare la volontà umana di andare oltre le apparenze.
Achab e la balena bianca: il simbolo e l’ossessione
Nel contesto del romanzo, questa riflessione si inserisce nella narrazione della caccia a Moby Dick, la mitica balena bianca. Per Achab, Moby Dick non è solo un animale: è una maschera. Rappresenta qualcosa di più profondo, di più universale: il Male, l’Ignoto, il Destino. La balena diventa così il simbolo della realtà nascosta dietro le apparenze, e colpirla significa tentare di forzare quel mistero, di costringerlo a svelarsi.
Achab non è semplicemente un capitano alla caccia di una preda, ma un uomo tragicamente consapevole che dietro ogni forma esiste una sostanza sfuggente. Egli si fa strumento della rivolta umana contro l’incomprensibile. Vuole colpire il male stesso, la causa prima della sofferenza, anche se ciò significa sfidare l’ordine del mondo, persino Dio. È un Prometeo moderno, disposto a essere annientato pur di non piegarsi a un universo che resta muto.
L’elemento razionale nel mistero
Eppure Melville non cede a una visione del tutto nichilista. Egli scrive che ciò che si cela dietro la maschera è “qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole”. In questa frase si intravede un’apertura alla possibilità che, nonostante l’oscurità e il dolore, esista un ordine, una coerenza profonda nella struttura del reale. Anche quando il senso sfugge, Melville lascia intendere che esso esiste. È una forma di fede laica nella razionalità dell’universo, per quanto inaccessibile all’intelletto umano.
Questa tensione tra ciò che si manifesta e ciò che resta nascosto, tra la maschera e il volto, tra il simbolo e il significato, attraversa tutto Moby Dick. Ogni personaggio, ogni tempesta, ogni scena marinaresca è letta in chiave allegorica. La nave Pequod non è solo un peschereccio, è il mondo stesso, un microcosmo in balia delle forze cosmiche.
L’uomo che colpisce la maschera
Quando Achab afferma che “se l’uomo vuol colpire, colpisca sulla maschera”, sta rivendicando un’azione eroica. Anche se ciò che si trova dietro la maschera è inafferrabile, l’uomo ha il dovere morale e esistenziale di tentare. Questo gesto non è vano: è l’espressione ultima della dignità umana. Colpire la maschera significa non accettare la realtà passivamente, significa interrogare il mondo, metterlo in discussione, tentare di attraversarlo.
In un certo senso, questa è anche una definizione della letteratura e della filosofia: esse colpiscono la maschera. Lo scrittore, il poeta, il pensatore non si accontentano del dato, vogliono capire cosa si cela dietro le parole, dietro i volti, dietro i gesti quotidiani. La letteratura, come Moby Dick, diventa un mezzo per esplorare l’abisso.
La citazione di Melville ci restituisce l’immagine di un mondo complesso, ambiguo, abitato da simboli e misteri. Achab, con tutta la sua ossessione e il suo titanismo, rappresenta l’uomo moderno che si rifiuta di credere che il mondo sia soltanto superficie. Egli ci ricorda che, anche quando il senso si sottrae, anche quando la maschera non cade, vale la pena lottare, interrogare, colpire. Perché è solo così, in quell’atto di volontà e consapevolezza, che si afferma la vera libertà dell’uomo.