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I versi di Guido Gozzano da dedicare per la festa della mamma

Leggiamo questi versi tratti dalla parte III della poesia "La casa del Sopravvissuto", di Guido Gozzano, in cui si parla della dolce e vigile madre.

Nella poesia di Guido Gozzano, autore tra i più significativi del primo Novecento italiano, troviamo una voce che mescola nostalgia, ironia e una profonda delicatezza emotiva. I versi tratti da La casa del sopravvissuto, perfetti da dedicare il giorno della Festa della mamma, rappresentano uno dei momenti più intimi e intensi del suo percorso poetico. In essi si intrecciano i temi della famiglia, della quiete domestica, del tempo che si è ritirato in un mondo interiore, dove ogni parola è superflua perché l’amore profondo si esprime nel silenzio condiviso.

“Con la Mamma vicina e il cuore in pace,
s’aggira, canticchiando un melodramma;
sospira un po’… Ravviva dalla brace
il guizzo allegro della buona fiamma…
Canticchia. E tace con la cara Mamma;
la cara Mamma sa quel che si tace”

Guido Gozzano e la figura della madre

Il quadro che Guido Gozzano dipinge è semplice: un uomo (forse l’autore stesso, forse un alter ego) si muove lentamente nella casa, in compagnia della madre. È un momento di pausa, quasi fuori dal tempo: il protagonista canticchia un’aria melodrammatica, sospira, aggiusta il fuoco. È un gesto antico e quotidiano, come quelli che scandivano la vita domestica delle famiglie borghesi. Ma quel gesto semplice, nella poesia, si carica di un significato quasi sacrale. La “buona fiamma” non è solo il fuoco nel camino, ma è il simbolo della vita, del calore dell’affetto, della memoria tenace e luminosa.

Il valore del silenzio

Il centro emotivo della scena è nel silenzio condiviso con la madre. “Canticchia. E tace con la cara Mamma; / la cara Mamma sa quel che si tace.”, chiara citazione ai versi di Dante Alighieri: Dante, Inf., XIX, 39: «Tanto m’è bel quanto a te piace: / tu sei signore, e sai ch’i’ non mi parto / dal tuo volere, e sai quel che si tace». Il personaggio a cui Dante si rivolge è Virgilio.

Qui Guido Gozzano riesce a esprimere una delle verità più profonde dei legami familiari: esistono forme di comunicazione che non hanno bisogno di parole, che si fondano su una comprensione assoluta, empatica. Quel “sa quel che si tace” è una delle frasi più toccanti e universali della poesia italiana del Novecento: racconta la familiarità che conosce i pensieri non detti, i dolori e le speranze che non hanno bisogno di essere spiegati, perché sono già compresi. Non è un silenzio vuoto o imbarazzato, ma un silenzio pieno di contenuti condivisi, dove la parola non è necessaria perché l’anima dell’altro è già lì, accanto, in ascolto.

La madre come figura simbolica

La madre, in questi versi, non è solo una presenza familiare, ma un archetipo. È il rifugio, il grembo che accoglie, la custode della memoria e della continuità affettiva. Non è una figura idealizzata in modo retorico, ma un essere umano concreto, che partecipa silenziosamente alla vita del figlio. Nella cultura poetica italiana, la madre è spesso celebrata come simbolo di purezza e amore incondizionato (si pensi a Pascoli o a Ungaretti), ma in Gozzano assume una funzione più domestica e malinconica. La sua presenza restituisce senso e calore a una casa che, forse, avrebbe potuto essere muta e vuota.

Il titolo stesso della poesia, La casa del sopravvissuto, allude a una dimensione dolorosa: chi parla è qualcuno che è rimasto, che ha perduto qualcosa – forse una persona, forse un’epoca, forse solo la giovinezza. Il ritorno alla casa e alla madre è anche un ritorno alla propria origine, alla propria identità più profonda, che cerca riparo e comprensione in un mondo sempre più frantumato.

Guido Gozzano, nella sua poetica, fu spesso attratto dall’idea della fine, del crepuscolo, della malattia e della nostalgia. La sua sensibilità post-decadente si esprime in forme eleganti e misurate, ma sempre con un fondo di malinconia. In questa poesia, tuttavia, quella malinconia è temperata da una calma dolce, da una pace che solo gli affetti sinceri possono offrire.

Un altro elemento rilevante dei versi di Guido Gozzano è la scelta lessicale. L’uso della parola “Mamma” con la maiuscola, ripetuta più volte con l’aggettivo “cara”, restituisce un tono affettuoso e familiare. Non è “madre”, forma più formale e distaccata, ma proprio “Mamma”, il termine dell’infanzia, dell’intimità, del cuore. Anche qui si rivela una finezza poetica: l’affetto più profondo viene detto con parole semplici, quotidiane, perché la verità emotiva non ha bisogno di ornamenti.

In definitiva, questi versi rappresentano una delle vette della poesia del “tempo sospeso”. In essi il presente non è drammatico né esaltato, ma lieve, sereno, capace di riconoscere nella piccola vita domestica una bellezza discreta. Guido Gozzano ci restituisce una scena che molti lettori possono riconoscere: un momento in cui, pur senza parlare, si è perfettamente compresi. Una fiamma che arde, una madre accanto, un silenzio che abbraccia.

Questa poesia ci ricorda che la sopravvivenza non è solo una condizione fisica, ma anche – e soprattutto – affettiva. Si sopravvive davvero solo quando si conserva la possibilità di amare e di essere amati. E la cara Mamma, in quel silenzio che sa tutto, ne è la più tenera e umana conferma. In ultimo, auguri a tutte le mamme, sia nel giorno della festa della mamma, sia ogni giorno fino alla fine dei tempi.

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