Le ricordanze è una delle poesie che potremmo definire “manifesto” di un preciso periodo poetico di Giacomo Leopardi, composta tra il 26 agosto e il 12 settembre 1829 a Recanati. La prima pubblicazione avvenne nel 1831, all’interno della raccolta I Canti, e il testo rappresenta una profonda riflessione sulla memoria, sul dolore e sul contrasto tra le illusioni giovanili, fino al culminare con la rievocazione di Nerina, per poi approdare, malinconicamente alla dura realtà dell’età adulta.
«Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.»
Giacomo Leopardi e il suo “Canto” immortale: “Le ricordanze”
La struttura del componimento segue uno schema di endecasillabi sciolti, divisi in sette lasse diseguali. La critica ha evidenziato una netta distinzione tra le lasse dispari e quelle pari:
Le lasse dispari (I, III, V, VII) hanno un carattere più lirico e descrittivo, rievocando i ricordi giovanili e la figura di Nerina, la fanciulla amata dal poeta e ormai perduta.
Le lasse pari (II, IV, VI) sono dominate dalla riflessione sulla realtà presente, sottolineando la perdita delle speranze e il disinganno della vita adulta.
Il titolo stesso del componimento, Le ricordanze, richiama il concetto fondamentale della rimembranza, un tema centrale nel pensiero leopardiano. Lo Zibaldone testimonia come, a partire dal 1821, Leopardi considerasse il ricordo non solo una dimensione poetica, ma anche un’esperienza estetica essenziale. Egli scriveva, infatti, che il presente non può essere poetico, mentre il passato, perché indefinito e vago, assume una valenza lirica e malinconica.
Analisi dei versi
I versi selezionati appartengono a una delle sezioni più intense della poesia, in cui Leopardi, guardando il mare e i monti azzurri in lontananza, rievoca le illusioni della giovinezza e il desiderio di un altrove irraggiungibile.
In questi versi emerge con forza il contrasto tra il passato e il presente, tra le speranze giovanili e la consapevolezza della sofferenza.
Il paesaggio come specchio dell’anima
L’incipit della strofa è caratterizzato da una forte dimensione deittica:
«Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro…»
L’uso dell’aggettivo “lontano” e del dimostrativo “quei” indica una distanza sia spaziale che temporale, inoltre questo verso richiama un passo del Werther di Goethe: “Io mi vedeva dinanzi le montagne […] io mi stava assiso le ore intere, contemplando coll’ardente brama di oltrepassarle” . Il paesaggio è descritto con un senso di malinconica lontananza: il mare e i monti azzurri, che Leopardi scorge da Recanati, assumono una connotazione simbolica, rappresentando la speranza giovanile di un futuro migliore.
Questa tecnica descrittiva richiama L’infinito, dove il poeta utilizza una serie di riferimenti spaziali (il colle, la siepe) per evocare una condizione interiore. Anche qui, la realtà esterna diventa il riflesso di un’esperienza soggettiva: il mare e i monti non sono solo elementi naturali, ma incarnano il desiderio di evasione e di scoperta.
L’illusione di un futuro felice
Il cuore del passo si trova nel verso:
«Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!»
Qui Leopardi esprime l’inganno delle illusioni giovanili. Il verbo “mi pensava”, con una costruzione riflessiva tipica del linguaggio poetico leopardiano, enfatizza l’atto interiore del fantasticare. L’uso di “arcani mondi” e “arcana felicità” suggerisce che il poeta immaginava un futuro misterioso e meraviglioso, alimentato dall’idea che al di là del suo mondo esistesse una realtà più bella e appagante.
Ma questa felicità era una finzione, un’illusione costruita, plasmata dalla mente. Leopardi, con il verbo “fingendo” adopera un latinismo, ovvero quella finzione che deriva dal verbo latino Fingo, che significa, creare, plasmare, in questo caso solo attraverso i ricordi che ricreano la vita passata quasi come fosse tangibile anche nel presente.
Il disinganno e il desiderio di morte
I versi finali segnano il passaggio dalla speranza all’amara consapevolezza:
«Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.»
Leopardi riflette sulla propria giovinezza, quando era “ignaro del suo fato”, inconsapevole del destino di sofferenza che lo attendeva. Il poeta si rende conto che la vita non è altro che dolore e privazione: l’aggettivo “nuda” esprime l’idea di un’esistenza spoglia di gioie e di speranze. Da notare l’uso del dimostrativo “questa”, già utilizzato da Leopardi e che lo stesso poeta poteva leggere in altri autori, come Poliziano, nella poesia CXXVI delle sue rime, o in Torquato Tasso, nel suo Rinaldo.
L’ultimo verso è uno dei più tragici dell’intero componimento. Il poeta confessa apertamente che avrebbe preferito la morte piuttosto che vivere una vita segnata dal dolore. Questo pensiero non è un semplice momento di disperazione, ma una riflessione esistenziale profonda, in linea con la sua concezione del mondo: la vita è caratterizzata da un inesorabile sfaldarsi di ogni speranza, e la morte appare come l’unica via d’uscita dalla sofferenza.
La memoria e il senso della poesia
I versi di Le ricordanze mostrano con chiarezza come Leopardi concepisse la memoria come uno strumento fondamentale della poesia. Il passato, pur essendo fonte di dolore, è anche l’unico spazio in cui è possibile ritrovare frammenti di bellezza e di senso.
L’illusione giovanile, pur essendo un inganno, è comunque preferibile alla consapevolezza dell’età adulta. Guardando il mare e i monti azzurri, il poeta rivive le speranze di un tempo, ma con la dolorosa certezza che esse non si realizzeranno mai.
Questo contrasto tra sogno e realtà, tra passato e presente, è ciò che rende Le ricordanze una delle poesie più struggenti di Leopardi. La sua forza sta proprio nella capacità di trasformare il dolore in bellezza, di rendere poetico ciò che nella realtà è fonte di sofferenza.
Alla fine, la memoria non è solo un rifugio nostalgico, ma diventa una forma di resistenza alla crudeltà della vita. Leopardi ci insegna che, anche se il presente è privo di speranza, il passato conserva ancora il potere di emozionarci e di farci sentire vivi.