Una frase di Gesualdo Bufalino sulle parole nell’amore

25 Agosto 2025

Leggiamo questa citazione di Gesualdo Bufalino tratta da "Il Malpensante" in cui l'autore ci mostra un'amara verità all'inizio e alla fine di un amore.

Una frase di Gesualdo Bufalino sulle parole nell'amore

Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano dalla penna raffinatissima e ironica, in Il Malpensante consegna al lettore una delle sue osservazioni sulla vita sentimentale:

«Con le donne accade due volte di non saper cosa dire: all’inizio e alla fine d’un amore.»

La frase, nella sua semplicità apparente, racchiude una visione profonda delle dinamiche affettive, delle fragilità umane e del ruolo ambiguo del linguaggio nell’esperienza amorosa. Essa illumina i due poli opposti di una relazione: l’alba e il tramonto, il tempo dell’attesa e quello della perdita, accomunati da un medesimo smarrimento della parola.

Gesualdo Bufalino e il silenzio dell’inizio

All’inizio di un amore il silenzio nasce dall’imbarazzo, dalla paura di sbagliare, dalla consapevolezza che ogni parola potrebbe determinare un destino. Chi si avvicina a una donna che gli piace si trova improvvisamente fragile, spogliato delle proprie sicurezze. Gesualdo Bufalino coglie questa dimensione con lucidità: non è un difetto, ma una condizione universale.

Le parole, che nella vita quotidiana scorrono con facilità, diventano in quel frangente esitanti, quasi inutili. Si cercano frasi capaci di impressionare, di affascinare, ma si teme al tempo stesso di apparire goffi o banali. L’amore nascente trasforma il linguaggio in un campo minato, dove ogni espressione porta con sé la possibilità di avvicinare o allontanare.

In questa prospettiva, il silenzio dell’inizio non è solo un vuoto, ma un segno di autenticità. Spesso l’innamorato preferisce tacere, lasciare che lo sguardo o un gesto parlino più delle parole. Bufalino sembra suggerire che in quell’attimo le parole non bastano, perché ciò che si prova è più grande della capacità di dirlo.

Il silenzio della fine

All’estremo opposto, alla fine di un amore, il silenzio assume un’altra forma: non più trepidazione, ma impotenza. Quando un sentimento si consuma, quando il rapporto si spegne, le parole appaiono superflue, incapaci di colmare il vuoto o di sanare le ferite.

Ci si accorge allora che spiegare non serve, che giustificazioni e discorsi rischiano solo di aggravare il dolore. Come all’inizio, anche alla fine le parole tradiscono la loro insufficienza: non riescono a trattenere chi vuole andare, non riescono a consolare chi resta.

Questo silenzio è spesso più amaro, perché non è gravido di speranza, ma di perdita. È il silenzio delle stanze vuote, delle frasi non dette, dei ricordi che si ripetono nella mente senza trovare più interlocutore. Eppure, come al principio, anche qui il tacere rivela qualcosa di vero: ci sono momenti in cui l’anima parla più delle parole.

La circolarità dell’amore secondo Bufalino

Bufalino, con fine ironia, mette in parallelo i due estremi della vicenda amorosa. L’inizio e la fine, pur così diversi, sono accomunati dall’incapacità di dire. La parola, che dovrebbe essere lo strumento per comunicare, sedurre, chiarire, diventa inadeguata nei momenti cruciali.

Questa osservazione rivela una concezione circolare dell’amore: si parte dal silenzio e si torna al silenzio. Nel mezzo, forse, c’è l’illusione che il linguaggio possa tenere insieme due persone: le dichiarazioni, le promesse, le confidenze. Ma Bufalino ci avverte che, al fondo, il linguaggio non regge l’urto né dell’intensità del desiderio iniziale né della durezza della separazione finale.

Il ruolo ambiguo del linguaggio

La riflessione di Bufalino apre a una più ampia considerazione sul linguaggio. Se le parole tradiscono nei momenti più significativi dell’amore, che valore hanno davvero? Forse non sono lo strumento principale dell’amore, ma solo un ornamento, un tentativo di dare forma a ciò che vive soprattutto nei gesti, negli sguardi, nei silenzi.

Molti poeti hanno insistito su questa insufficienza della parola. Dante, parlando di Beatrice, ammette che la lingua non può descrivere pienamente la sua bellezza. Leopardi, nei Canti, trasforma spesso il silenzio in una dimensione quasi metafisica, dove si esprime più di quanto le parole possano dire. Bufalino, con la sua ironia tagliente, colloca questa riflessione non in un registro lirico, ma nel quotidiano, nell’esperienza comune di chi ama e soffre.

L’aforisma di Bufalino non è solo un’osservazione sul rapporto tra uomini e donne, ma una lezione esistenziale. Esso ci ricorda che ci sono momenti in cui il silenzio è inevitabile, e forse persino necessario. All’inizio, perché l’amore è troppo nuovo e fragile per essere imbrigliato nelle parole; alla fine, perché l’amore è ormai perduto e nessun discorso può cambiarne il destino.

In entrambi i casi, ciò che conta è l’esperienza vissuta, non la sua traduzione linguistica. Bufalino, da grande scrittore, mostra paradossalmente il limite della scrittura stessa: anche i migliori narratori sanno che ci sono emozioni che resistono alla parola.

«Con le donne accade due volte di non saper cosa dire: all’inizio e alla fine d’un amore.» In questa battuta, che unisce ironia e malinconia, Gesualdo Bufalino ha colto un tratto universale dell’esperienza amorosa. L’inizio e la fine, i due poli della vicenda sentimentale, sono momenti di silenzio, di smarrimento, di incapacità della parola.

Ciò non significa che l’amore non abbia bisogno di parole, ma che le parole da sole non bastano. Sono i silenzi, i gesti, gli sguardi a raccontare le verità più profonde. Forse è proprio in questo, nel riconoscere i limiti del linguaggio, che risiede la saggezza dell’amore: capire quando parlare e quando tacere, accettando che i momenti più intensi si vivono più con il cuore che con la lingua.

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