Una frase di Gesualdo Bufalino che descrive la Sicilia

13 Novembre 2025

Leggiamo assieme questa citazione di Gesualdo Bufalino tratta da "La luce e il lutto", raccolta di articoli e saggi sull'isola, patria dello scrittore.

Una frase di Gesualdo Bufalino che descrive la Sicilia

La citazione di Gesualdo Bufalino, tratta dal libro La luce e il lutto, è una delle più intense e penetranti rappresentazioni della Sicilia mai scritte. Con la sua prosa limpida e poetica, Bufalino riesce a condensare in poche righe la contraddizione viva e irriducibile dell’isola, che egli conosce e ama con una lucidità venata di malinconia. “Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne…” — l’incipit stesso è una dichiarazione d’intento: non si tratta di negare la geografia, ma di mettere in discussione la semplicità dei confini, perché la Sicilia, più che un’isola, è un universo.

Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato,cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla del zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava.

Vi è una Sicilia «babba» , cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia «sperta», cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica, una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbaglio delirio…

Bufalino invita il lettore a diffidare delle definizioni troppo nette. Secondo gli atlanti, la Sicilia è un’isola: circondata dal mare, delimitata da coordinate, disegnata come un corpo chiuso e compatto. Eppure, egli ci dice, questo non basta a comprenderla. L’isola, per definizione, dovrebbe essere unitaria, omogenea, “un grumo compatto di razza e costumi”. Ma la Sicilia è l’esatto opposto: è mista, cangiante, composita. In essa convivono — e si scontrano — anime diverse, culture stratificate, voci che vengono da mondi lontani.

Gesualdo Bufalino e le cento Sicilie

Bufalino coglie una verità profonda: la Sicilia è un crocevia, un luogo di passaggi. È stata colonia greca, provincia romana, emiro arabo, regno normanno e poi spagnolo; ogni dominazione ha lasciato una traccia, una parola, un gusto, un gesto. Il risultato non è un’identità unitaria, ma una molteplicità irriducibile. È per questo che l’autore può dire che la Sicilia “è il più composito dei continenti”: perché in essa si riflette, come in un microcosmo, la varietà stessa del mondo.

Le immagini con cui Gesualdo Bufalino descrive l’isola sono visive, tattili, quasi sinestetiche: “Vi è una Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla del zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava.
In queste righe, il paesaggio diventa linguaggio: ogni colore è un volto dell’isola, un sentimento. Il verde è la quiete ombrosa degli Iblei, il bianco è la luce abbagliante del sale, il giallo è la fatica delle miniere, il biondo è la dolcezza, il rosso è la violenza della terra vulcanica. È come se la Sicilia non potesse essere colta in una sola immagine: ogni tentativo di ridurla si frantuma in una molteplicità di sfumature.

Le “Sicilie” morali

Ma Bufalino non si ferma alla descrizione del paesaggio: il suo vero interesse è per l’anima, per la geografia morale e psicologica dei siciliani. “Vi è una Sicilia babba, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia sperta, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode.
In queste due parole del dialetto — babba e sperta — c’è già un trattato di antropologia. La prima Sicilia è ingenua, fatalista, forse rassegnata; la seconda è scaltra, aggressiva, capace di trasformare la sopravvivenza in astuzia. Tra queste due polarità si gioca la vita dell’isola: dolcezza e durezza, lentezza e frenesia, ingenuità e furbizia.

Bufalino continua il suo affresco con un ritmo quasi musicale: “Vi è una Sicilia pigra, una frenetica, una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbaglio delirio…
Ogni proposizione apre un nuovo volto, un’altra maschera. La Sicilia è molteplice perché gli uomini che la abitano sono contraddittori: amano e odiano, pregano e bestemmiano, lavorano e sognano. È una terra di estremi, dove ogni sentimento si spinge fino al limite: la pigrizia diventa immobilità metafisica, la frenesia si muta in febbre, la gioia si rovescia in dolore.

La Sicilia come metafora dell’animo umano

Bufalino, pur parlando della sua terra, sembra in realtà descrivere la condizione umana universale. La Sicilia è un simbolo dell’uomo stesso, fatto di ombre e luci, di passioni e di stanchezze. L’isola non è chiusa dal mare, ma aperta come una ferita, attraversata da tensioni e contraddizioni. Così è anche l’anima: apparentemente compatta, in realtà piena di fratture.

In questo senso, la citazione può essere letta come una meditazione sull’identità. Bufalino rifiuta l’idea di un’identità pura, immobile, definitiva: per lui, essere siciliani — e per estensione, essere umani — significa accettare la propria molteplicità, abitare la contraddizione. È una lezione di tolleranza e di realismo insieme: non esistono nature semplici, ma solo complessità da comprendere.

Tra luce e lutto

Il titolo del libro, La luce e il lutto, contiene già questa duplicità. La Sicilia di Bufalino è sempre sospesa tra splendore e malinconia, tra abbaglio e dolore. La luce è quella del sole, dei colori, della lingua; il lutto è quello della memoria, della storia, della consapevolezza che ogni bellezza è segnata dalla perdita. Anche in questa citazione la luce — quella delle saline e dei mieli — convive con il lutto — quello del zolfo e della lava.

Gesualdo Bufalino guarda la sua terra con occhi d’amore e di ironia, con l’intelligenza di chi sa che la verità non sta mai da una parte sola. La sua Sicilia è “un continente in miniatura”, ma anche un laboratorio dell’animo umano, dove convivono l’innocenza e la colpa, la grazia e la disperazione.

Nella riflessione di Gesualdo Bufalino, la Sicilia diventa una metafora del mondo e della vita stessa. Non è un’isola, ma un intreccio di terre, di storie, di destini. Non è un confine, ma un crocevia. In essa tutto si mescola e tutto si contraddice, come nel cuore degli uomini.

La sua forza sta proprio qui: nella capacità di tenere insieme ciò che altrove si divide. Come la lava e il miele, come la dolcezza e la ferocia, come la luce e il lutto.
E allora sì, gli atlanti hanno ragione: la Sicilia è un’isola. Ma solo sulla carta. Nell’anima — come scriverebbe Bufalino — è un continente intero, mutevole, dolente, infinito.

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