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Le frasi di Giacomo Leopardi sulla felicità e il rapporto uomo e natura

In occasione della ricorrenza della Scoperta dell'America, avvenuta il 12 ottobre del 1492, ecco un estratto dell'incantevole Dialogo tra Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez naviganti verso le Indie, in cui Giacomo Leopardi illumina il senso e l'essenza della felicità.

Nel brano di Giacomo Leopardi tratto dal Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez delle Operette Morali, il grande poeta e filosofo italiano esplora uno dei temi centrali della sua riflessione: il rapporto tra l’uomo e la natura, in particolare il desiderio umano per qualcosa che va oltre la vita quotidiana e il riconoscimento di beni considerati spesso insignificanti.

In questo dialogo immaginario, Giacomo Leopardi mette in bocca a Cristoforo Colombo una profonda riflessione sulla precarietà della vita e il valore delle cose semplici, che in condizioni estreme, come nel caso di un lungo viaggio in mare, acquisiscono un’importanza straordinaria.

Un estratto che vi proponiamo in occasione della ricorrenza della Scoperta dell’America, avvenuta il 12 ottobre del 1492:

“Lo per lo stesso rispetto giudico che la vita si abbia da molto poche persone in tanto amore e pregio come da’ navigatori e soldati. Quanti beni che, avendoli, non si curano, anzi quante cose che non hanno pur nome di beni, paiono carissime e preziosissime ai naviganti, solo per esserne privi!

Chi pose mai nel numero dei beni umani l’avere un poco di terra che ti sostenga? Niuno, eccetto i navigatori, e massimamente noi, che per la molta incertezza del successo di questo viaggio, non abbiamo maggior desiderio che della vista di un cantuccio di terra; questo è il primo pensiero che ci si fa innanzi allo svegliarci, con questo ci addormentiamo;

e se pure una volta ci verrà scoperta da lontano la cima di un monte o di una foresta, o cosa tale, non capiremo in noi stessi dalla contentezza; e presa terra, solamente a pensare di ritrovarci in sullo stabile, e di potere andare qua e là camminando a nostro talento, ci parrà per più giorni essere beati.”

Introduzione al Dialogo di Giacomo Leopardi

La prima spedizione di Cristoforo Colombo attraverso l’Atlantico, iniziata nell’agosto del 1492 con tre equipaggi, e con lo scopo di trovare una nuova via per le Indie, fa da contesto storico a questo dialogo. Dopo settimane di navigazione, tra ansie e scoperte, quando lo scoraggiamento sembra prevalere sulla speranza, in una notte tranquilla, simile a quella descritta nel “Canto notturno” di Giacomo Leopardi, si tenta di valutare il senso di questa impresa.

Attraverso le parole dei due protagonisti del dialogo, il lettore intuisce che la scoperta del Nuovo Mondo non è l’obiettivo principale del discorso, ma serve piuttosto come mezzo per illustrare la noia esistenziale e l’incertezza della vita, che rendono comunque l’uomo attaccato alla propria esistenza.

Questo Colombo riflette sulla “solitudine incognita” che esiste al di là del mare e afferma che, sebbene il viaggio possa portare gloria e utilità, la vitalità conferita dal pericolo è ciò che davvero importa. Egli considera la fatica e la preoccupazione come condizioni preferibili alla noia, distinguendosi così dagli eroi esploratori della conoscenza moderna. Anche se Leopardi aveva in passato celebrato Colombo con toni eroici (ad esempio, nella canzone dedicata ad Angelo Mai), in questo caso mette in luce un Colombo diverso, più concentrato sul senso esistenziale del viaggio che sulle conquiste scientifiche.

Nonostante il viaggio si basi sulle più avanzate conoscenze dell’epoca, l’impresa di Colombo serve principalmente come antidoto alla noia esistenziale, quel vuoto lasciato dall’assenza del dolore. Giacomo Leopardi, nel contesto della sua “teoria del piacere”, aveva più volte sottolineato questo concetto, evidenziando il paradosso secondo cui per desiderare la vita, che di per sé è un male, bisogna correre rischi e affrontare pericoli. Come accade a coloro che, gettandosi in mare da una rupe, trovano sollievo nel rendersi conto di essere sopravvissuti.

L’Incertezza della Vita e la Fragilità Umana

Nel dialogo, Cristoforo Colombo riflette sul fatto che poche persone amano e apprezzano la vita quanto i navigatori e i soldati, figure che, essendo costantemente esposte al pericolo, riescono a comprendere il valore di beni che solitamente vengono dati per scontati. Questi beni non sono gli oggetti materiali, ma piuttosto le necessità fondamentali come un pezzo di terra solida su cui camminare. Per i navigatori, l’esperienza della precarietà durante il viaggio — l’assenza di stabilità e sicurezza — rende la visione di una semplice porzione di terra una fonte di immensa gioia e soddisfazione.

Questa riflessione si ricollega al concetto leopardiano di “infinito desiderio” e alla costante insoddisfazione dell’uomo, che tende a sottovalutare i beni a sua disposizione finché non ne è privato. L’uomo, come sostiene Leopardi in molte delle sue opere, è intrappolato in una continua ricerca di felicità e appagamento, ma spesso questi vengono trovati solo nel momento in cui le condizioni esterne li rendono più difficili da ottenere. La necessità e la privazione agiscono come potenti catalizzatori della consapevolezza e del desiderio.

Le parole di Colombo sottolineano anche l’importanza della stabilità fisica e mentale, rappresentata metaforicamente dalla terraferma. Per i navigatori, l’incertezza del mare rappresenta l’insicurezza della vita stessa, un elemento ricorrente nelle riflessioni leopardiane sulla condizione umana. L’elemento marino, infatti, è spesso utilizzato da Leopardi per simboleggiare la vastità e l’imprevedibilità dell’esistenza, mentre la terra rappresenta la sicurezza e la stabilità a lungo bramata. La visione di un lembo di terra diventa, quindi, sinonimo di salvezza, di un rifugio dal caos e dall’incertezza che domina la vita sul mare.

Questo dialogo offre anche una visione molto moderna del rapporto dell’uomo con l’ambiente. Leopardi, pur essendo un pensatore del XIX secolo, anticipa in qualche modo le discussioni contemporanee sul valore della natura e del mondo materiale. L’idea che un pezzo di terra possa essere più prezioso di ogni altra cosa materiale ci invita a riflettere su come tendiamo a trascurare ciò che è essenziale nelle nostre vite finché non lo perdiamo o non siamo privati di esso.

Cristoforo Colombo parla di un’emozione intensa e immediata che lui e i suoi compagni proveranno alla vista della terra, e successivamente, quando finalmente metteranno piede sulla terraferma. Questa felicità, tuttavia, è transitoria. Nonostante l’euforia che accompagna il ritrovamento di ciò che prima mancava, Leopardi ci ricorda che questa sensazione di appagamento è temporanea. Dopo pochi giorni, la normalità e l’abitudine prenderanno di nuovo il sopravvento, e ciò che appariva straordinario tornerà a sembrare banale.

La natura effimera della felicità

Questo passaggio riflette uno dei temi centrali del pensiero leopardiano: la natura effimera della felicità. Per Leopardi, l’uomo è destinato a desiderare costantemente qualcosa che non può raggiungere in modo definitivo. Anche quando ottiene ciò che credeva essere la fonte della sua felicità, questa svanisce rapidamente, e l’individuo torna a sentire l’insoddisfazione esistenziale.

L’accostamento tra navigatori e soldati non è casuale. Entrambi i gruppi sono esposti a un costante rischio di vita e, per questo motivo, comprendono meglio il valore di ciò che hanno e ciò che potrebbe essere perso. Questa visione del mondo, che si contrappone a quella di chi vive una vita più stabile e protetta, riflette l’idea che l’esposizione al pericolo e alla precarietà possa condurre a una maggiore consapevolezza e apprezzamento della vita.

Leopardi, attraverso le parole di Colombo, ci invita a riflettere su come tendiamo a dare per scontato ciò che abbiamo, finché non ci troviamo in situazioni di necessità o privazione. Solo allora, secondo il pensatore, impariamo a valorizzare le cose semplici e fondamentali, come un pezzo di terra sotto i nostri piedi o la possibilità di camminare liberamente.

Il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez si inserisce nella più ampia riflessione leopardiana sulla condizione umana e la difficoltà di trovare una felicità duratura. Attraverso il personaggio di Cristoforo Colombo, Giacomo Leopardi offre una meditazione sul valore della stabilità, dell’appagamento e della consapevolezza. In un mondo caratterizzato dall’incertezza e dall’insoddisfazione, il poeta ci ricorda che sono spesso le cose più semplici, quelle che diamo per scontate, a essere le più preziose quando vengono a mancare.

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