Le frasi de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello rappresentano uno dei vertici della riflessione esistenziale nella letteratura italiana. Con la sua scrittura tagliente e lucida, Luigi Pirandello ci regala pagine intrise di ironia amara, consapevolezza tragica e critica sottile alla condizione umana.
Il fu Mattia Pascal: il romanzo dell’identità perduta
In questo romanzo, diventato simbolo della crisi d’identità moderna, il protagonista Mattia Pascal incarna l’illusione di poter fuggire da sé stesso per ricominciare da capo. Ma ciò che scopre, e che ci insegna, è che la libertà assoluta è una trappola e che comprendere troppo la vita spesso significa perdere il desiderio di viverla.
Pubblicato nel 1904, Il fu Mattia Pascal è uno dei capolavori di Luigi Pirandello, romanzo simbolo della crisi dell’identità moderna. Il protagonista, Mattia Pascal, approfitta di un errore burocratico che lo dà per morto per cambiare vita e reinventarsi. Ma il tentativo di diventare un “altro” fallisce: senza un’identità ufficiale, senza legami, Mattia scopre che la libertà assoluta è una forma di prigionia.
Con uno stile ironico e profondo, Luigi Pirandello esplora i limiti dell’individuo, la relatività della verità e l’impossibilità di sfuggire a sé stessi. Un’opera attualissima, che ancora oggi ci parla di maschere, ruoli sociali e desiderio di autenticità.
Rileggere oggi le frasi de Il fu Mattia Pascal di Pirandello significa confrontarsi con i grandi dilemmi dell’esistenza: chi siamo davvero? È possibile cambiare? La razionalità è un aiuto o un ostacolo alla felicità? Le parole di Luigi Pirandello ci accompagnano con profondità e intelligenza in questo viaggio interiore, rivelandosi più attuali che mai.
Per questo abbiamo selezionato delle frasi de Il fu Mattia Pascal più significative del romanzo, per offrirti non solo spunti di riflessione, ma anche veri e propri strumenti per interpretare la vita, tra maschere sociali, identità multiple e verità scomode.
Un viaggio tra le frasi de Il fu Mattia Pascal per scoprire cosa significa vivere
Capire la vita è forse il più grande paradosso dell’esistenza. In Il fu Mattia Pascal, Pirandello mette in scena il dramma di un uomo che, creduto morto, prova a ricominciare da capo. Ma ciò che scopre – e che noi scopriamo con lui – è che non basta cancellare il passato per sentirsi davvero liberi. Anzi, più si cerca di sfuggire alle definizioni imposte, più ci si perde in un labirinto di solitudine e consapevolezza.
Le frasi de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello sono piccole sentenze filosofiche, dense di ironia e dolore, che toccano temi universali come l’identità, il destino, la libertà, la follia del vivere. In questo articolo, le abbiamo raccolte e commentate per aiutarti a leggerle con occhi nuovi, e magari a trovare in esse un riflesso delle tue stesse domande interiori.
Ecco le frasi de Il fu Mattia Pascal da leggere, rileggere e meditare
Scopri tutta la bellezza filosofica di questa breve selezione delle più celebri e significative frasi de Il fu Mattia Pascal, scelte per la loro forza evocativa e il loro potere di sintesi. Non sono commentate, perché parlano da sole. Da leggere con attenzione, in ognuna si nasconde un dubbio, una verità scomoda, una scintilla di pensiero che ancora oggi ci riguarda da vicino.
1. C’è chi comprende e chi non comprende, caro signore. Sta molto peggio chi comprende, perché alla fine si ritrova senza energia e senza volontà. Chi comprende, infatti, dice: «Io non devo far questo, non devo far quest’altro, per non commettere questa o quella bestialità». Benissimo! Ma a un certo punto s’accorge che la vita è tutta una bestialità, e allora dica un po’ lei che cosa significa il non averne commessa nessuna: significa per lo meno non aver vissuto, caro signore.
2. Il male della scienza, guardi, signor Meis, è tutto qui: che vuole occuparsi della vita soltanto.
3. «Beate le marionette,» sospirai, «su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà; nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato.
4. Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire – spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o sessanta giri?”
5. Amicizia vuol dire confidenza
6. Folle! Come mi ero illuso che potesse vivere un tronco reciso dalle sue radici?
7. Lessi così di tutto un po’, disordinatamente; ma libri, in ispecie, di filosofia. Pesano tanto: eppure, chi se ne ciba e se li mette in corpo, vive tra le nuvole.
8. Il destino di Roma è l’identico. I papi ne avevano fatto – a modo loro, s’intende – un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere.
9. E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.
10. E mentr’io attenderò al molino, il fattore mi ruberà i frutti della campagna; e se mi porrò invece a badare a questa, il mugnajo mi ruberà la molenda. E di qua il mugnajo e di là il fattore faranno l’altalena, e io nel mezzo a godere.
11. Nulla s’inventa, è vero, che non abbia una qualche radice, più o men profonda, nella realtà; e anche le cose più strane possono esser vere, anzi nessuna fantasia arriva a concepire certe follie, certe inverosimili avventure che si scatenano e scoppiano dal seno tumultuoso della vita; ma pure, come e quanto appare diversa dalle invenzioni che noi possiamo trarne la realtà viva e spirante! Di quante cose sostanziali, minutissime, inimmaginabili ha bisogno la nostra invenzione per ridiventare quella stessa realtà da cui fu tratta, di quante fila che la riallaccino nel complicatissimo intrico della vita, fila che noi abbiamo recise per farla diventare una cosa a sè!
12. Oh perché gli uomini,» domandavo a me stesso, smaniosamente, «si affannano così a rendere man mano più complicato il congegno della loro vita? Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza crede onestamente d’arricchire l’umanità (e la impoverisce, perché costano tanto care), che gioja in fondo proviamo noi, anche ammirandole?»
13. La Terra non girava… — E dàlli! Ma se ha sempre girato! —Non è vero. L’uomo non lo sapeva, e dunque era come se non girasse. Per tanti, anche adesso non gira. L’ho detto l’altro giorno a un vecchio contadino, e sapete come m’ha risposto? ch’era una buona scusa per gli ubriachi. Del resto, anche voi scusate, non potete mettere in dubbio che Giosuè fermò il Sole.
Ma lasciamo star questo. Io dico che quando la Terra non girava, e l’uomo, vestito da greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta e piena d’oziosi particolari. Si legge o non si legge in Quintiliano, come voi m’avete insegnato, che la storia doveva esser fatta per raccontare e non per provare? —Non nego, — risponde don Eligio, — ma è vero altresì che non si sono mai scritti libri così minuti, anzi minuziosi in tutti i più riposti particolari, come dacché, a vostro dire, la Terra s’è messa a girare.
14. (Riguardo ai Casinò) Vi seggono, di solito, certi disgraziati, cui la passione del giuoco ha sconvolto il cervello nel modo più singolare: stanno li a studiare il così detto equilibrio delle probabilità, e meditano seriamente i colpi da tentare, tutta un’architettura di giuoco, consultando appunti su le vicende de’ numeri: vogliono insomma estrarre la logica dal caso, come dire il sangue dalle pietre; e son sicurissimi che, oggi o domani, vi riusciranno. Ma non bisogna meravigliarsi di nulla.
15. Dopo avere errato un pezzo sperduto in quella nuova libertà illimitata, avevo finalmente acquistato l’equilibrio, raggiunto l’ideale che m’ero prefisso, di far di me un altr’uomo, per vivere un’altra vita, che ora, ecco, sentivo, sentivo piena in me.